giovedì 31 luglio 2014

Una delegazione del Comitato abbraccia Augusto e Annette


Oggi, una delegazione del Comitato Civico ViviAssemini ha portato la propria solidarietà ad Augusto Santo Melis ed alla moglie Annette, commercianti asseminesi vessati da Equitalia.
Ringraziamo per l’ospitalità ricevuta e per l’incoraggiamento che Augusto è riuscito a trasmetterci, nonostante il suo gravissimo stato di disagio.
Augusto conduce da anni una battaglia che va ben oltre il suo legittimo interesse ed i suoi bisogni. Non chiede assistenza fine a se stessa. Egli lotta da cittadino per il riconoscimento di un diritto e per l’affermazione di un principio costituzionale che riguarda un numero crescente di persone. Egli chiede di poter riprendere a vivere nella normalità. In quella stessa normalità che gli è stata tolta da una legislazione demenziale. Oltre a non poter più esercitare la sua attività, dopo l’ultima proroga, il 16 settembre dovrà liberare la casa in cui abita, per morosità incolpevole.
Se chi di dovere non interverrà prontamente con gli strumenti normativi disponibili, Augusto ed Annette sono destinati a dormire in strada e privi di risorse sufficienti per sopravvivere.   

martedì 29 luglio 2014

Basta con i bilanci in ritardo, imposti ed opachi



Per l’ennesima volta, l’attuale amministrazione comunale di Assemini, si appresta ad approvare il bilancio preventivo in forte ritardo, senza alcun coinvolgimento dei cittadini e delle loro organizzazione sociali. Un fatto grave che violenta i principi della produttività della spesa pubblica e della democrazia partecipativa.

Riteniamo che per amministrare non ci voglia solo un programma, ma un progetto che sia in grado di riscoprire il valore delle nostre radici per poi modellarlo con strategie di sviluppo, con nuovi apporti culturali e nuove esperienze. Quindi, bisogna avere un’idea di come Assemini era e di come tutti vogliamo che diventi. In tutto questo, il cittadino deve assumere un ruolo cardine. Assemini dovrebbe essere amministrata partendo da ciò che i cittadini desiderano per poi confrontarsi su ciò che può e deve essere fatto, chiarendo i livelli di difficoltà e gli oneri derivanti. Il bilancio di un Comune non è solo un documento contabile, ma lo strumento per realizzare il programma di governo. Esso esprime lo spirito e la reale volontà e capacità di attuare il cambiamento. La maggioranza ha il dovere di includere i cittadini nelle scelte dirette ad influenzare la loro vita, mettendo a loro disposizione gli strumenti di programmazione e di successivo controllo. Per questo ci saremo aspettati un bilancio partecipato e trasparente. Esattamente l’esatto contrario di quanto finora fatto e promesso dal Sindaco in campagna elettorale.


Bilancio partecipato vuol dire coinvolgere gli asseminesi prima di ogni previsione qualificante, condividendo le politiche sociali come quelle legate agli investimenti infrastrutturali; la pianificazione urbanistica come quella della cultura, dello sport, dell’ambiente e dello sviluppo economico. Le strategie di un’amministrazione comunale dovrebbero esprimere la sinergia degli sforzi per raggiungere obiettivi condivisi. Oltre che partecipato, il bilancio, deve essere trasparente. Non basta renderlo pubblico, occorre che sia chiaro. Bisogna scomporre le voci che, così come appaiono, non dicono nulla. Occorre entrare nel merito di tutte le componenti di spesa. Il cittadino deve sapere dove fanno a finire i soldi che mette a disposizione con i propri sacrifici, con le tasse e le imposte versate. Chi governa deve garantire la tracciabilità delle risorse e delle spese. Un bilancio trasparente consente di dimostrare ai cittadini che esiste un controllo dei costi, delle entrate e dello stato di avanzamento degli investimenti. I cittadini devono sapere perché il programma è fermo o in cronico ritardo; perché le risorse finanziarie vincolate dal Patto di Stabilità sono aumentate, passando a 2 milioni e 400 mila euro, compromettendo la realizzazione dei lavori pubblici. Il Sindaco spieghi a chi fanno capo le responsabilità e di quanto aumenteranno le nuove tasse dovute al mancato avvio del nuovo bando per il servizio di raccolta differenziata che premia la ditta incaricata e non gli utenti. Questa è un scelta di democrazia e di rispetto. 

Una Città in ritardo con i cambiamenti globali



‹‹Come molte altre città della Sardegna, da troppo tempo Assemini segue una traiettoria di sviluppo molto debole, resa incerta dagli effetti prodotti dai profondi cambiamenti politico-istituzionali ed economici della società italiana ed europea. Esaurendosi i fattori che avevano generato la sua traiettoria di sviluppo, Assemini è in una fase di stallo economico con pesanti ripercussione socioculturali ed ambientali. L’economia è il punto cruciale attorno a cui si generano i problemi e si trovano le soluzioni.
Diversamente da molte città italiane, Assemini non ha dato molta importanza ai segni di indebolimento della sua struttura socio-economica, all’affievolimento delle sue capacità generative ed attrattive. Confidando nella stabilità economica che il suo rango di “città del divertimento”/“città della ceramica” sembrava garantirle. Stessa cosa relativamente alla presenza di un polo industriale prevalentemente chimico di dimensioni medio-alte di elevata qualità tecnologica. Assemini non ha anticipato e non si è predisposta ad affrontare i cambiamenti richiesti dal contesto globale di “competizione territoriale”, causando una caduta del livello delle aziende in esercizio ed indebolendo ulteriormente quelle che si trovavano già in difficoltà. Una accentuazione dell’incertezza sul futuro della città stessa che non ha registrato, da parte degli operatori, sufficiente capacità reattiva ed una incisiva azione propositiva.

Oggi Assemini si trova in una fase di collasso economico e senza alcuna strategia di sviluppo. Nelle ultime consiliature il focus della riflessione e dei processi decisionali si è spostato, dando rilevanza assoluta al PUC (piano urbanistico comunale) senza però ragionare preventivamente sullo stato attuale e senza confrontarsi guardando al futuro. È passata in secondo piano l’urgenza di rafforzare la sua base economica e l’esigenza di spronare l’innovazione per rispondere alle crescenti e mutevoli esigenze sociali. La crisi, come spesso accade, ha attivato o accelerato processi di trasformazione della struttura socio-economica che, nel caso di Assemini, indeboliscono maggiormente il suo tessuto economico e le sue capacità di rinnovamento e di investimento. Il benessere perdona anche gli errori gestionali ed amministrativi. La crisi, invece, li accentua››.

domenica 27 luglio 2014

Obiettori di coscienza per accompagnare il cambiamento.


«La politica non è una parolaccia. È lo strumento che rende duraturi i cambiamenti, nel bene o nel male. Spetta a noi scegliere da che parte stare o se costruire attivamente nuovi percorsi. Dalla nostra scelta dipenderà il futuro di tutti. Convivere e condividere produce azione politica, ossia reazione all’indignazione: la vera rivoluzione. La solidarietà virtuale è nobile, ma non produce cambiamento. Essa è comodità in un modo malato che invoca giustizia e sviluppo, concretezza. La parola democrazia deve ritrovare il suo significato etimologico e passionale, espressione convinta di libertà e giustizia. Le negatività del nostro tempo sono fenomeni umani. Il cambiamento non potrà che dipendere dal prevalere di una umanità evoluta, educata, formata. Nessun genitore dovrà permettersi il lusso di giustificare o rassegnarsi alle storture del nostro tempo. Al contrario dovrà alimentare con coraggio il senso di rispetto della dignità umana con valutazioni e scelte appropriate. La confusione del potere con le responsabilità genera orrori. Chi alimenta questa stortura è complice di un sistema marcio e contaminante di cui gli stessi figli saranno prigionieri innocenti.
Non dobbiamo solo delegare, ma appropriarci del nostro ruolo, delle nostre responsabilità. Bisogna unire le forze, ragionare in un’ottica di nuovo sistema. Bisogna impedire il prevalere di personalismi per facilitare un nuovo ordine collettivo. Bisogna superare le logiche partitiche sterili e condividere, con i giusti, percorsi comuni verso il bene. Nessuno deve rinunciare alla propria identità, ma deve imparare ad ascoltare rafforzando l’obiezione di coscienza contro un modus operandi improduttivo e devastante. Bisogna governare senza vendette. Queste escludono la collegialità, riportando tutto al personalismo. Governare significa esercitare il potere. Non esiste un potere buono, perciò deve essere almeno responsabile, condiviso, trasparente e partecipato. La strada non è l’autogestione, ma la capacità di essere pienamente rappresentativi attraverso le scelte. Vuol dire essere inclusivi per avere la forza di annientare le storture ed i loro strumenti personali e materiali. Significa favorire l’organizzazione, la progettualità e la conseguente applicazione dei programmi. Il rispetto degli stessi. Significa favorire nuove organizzazioni sociali che amplifichino la democrazia sostanziale. La partitocrazia punta principalmente al consenso, all’arrivismo amministrativo, al potere, alla spartizione. Essa vive in un altro mondo. Il protagonismo civico punta solo al cambiamento. Del resto, nulla di diverso sarebbe possibile. Le storture partitocratiche ricadono sui cittadini, alimentate dal personalismo, dall’avidità, dalla frustrazione. La partecipazione sociale è una doverosa ed imprescindibile conseguenza.

Non dobbiamo accettare il “meno peggio”, ma costruire alternative con la conoscenza, con l’abnegazione e l’impegno civico. L’efficacia della decisione è tanto maggiore, quanto essa è espressione della sovranità popolare. Ogni scempio davanti ai nostri occhi è il risultato di azioni sbagliate o, peggio, dell’indifferenza. La libertà non la regala nessuno, essa è una conquista che va mantenuta. La libertà è condizionata non assoluta. Essa è rispettabile nel momento in cui non invade l’esercizio di quella altrui.  Autodeterminarsi significa esercitare la sovranità nel rispetto del più grande valore aggiunto esistente: l’identità, le differenze, le diversità. Questo ci differenzia dalla meccanica, infatti sono i metodi e gli strumenti che vanno forgiati contro la bestialità, l’opportunismo e la discriminazione».

sabato 26 luglio 2014

Bisogna far emergere i drammi del nostro tempo



‹‹Oggi, rispetto ad ieri, siamo nella condizione di sapere. Oggi, rispetto ad ieri, siamo pronti e liberi di applaudire pubbliche manifestazioni di dissenso. In pochi sono disposti ad andare oltre con gli strumenti democratici che il nostro tempo ci mette a disposizione. Tutto finisce in un momento. Il tunnel degli orrori che quotidianamente attraversiamo o che guardiamo da lontano, sembra alimentare l’angoscia aumentando il sentimento di impotenza. Usiamo i Social Networks per condividere, per alimentare l’informazione che ci piace e per rimuovere quella che non condividiamo. Di tutto ciò rimane solo conoscenza e dietro la porta che ci separa dalla strada, tutto continua imperterrito. Si guarda a dimensioni sempre più vaste, dimenticando quelle a portata di mano. La rivoluzione spesso evocata ha bisogno di essere una maturazione della coscienza, prima ancora che fredda ed estemporanea conseguenza dell’indignazione. Ognuno di noi deve calarsi nel tunnel, convivere con umiltà le paure e le angosce degli ultimi, se intende dare loro voce. Non ci sono post da rimuovere, ma comportamenti da cambiare. Calarsi nella realtà, senza perdersi è la chiave di volta della rivoluzione pacifica. Chi è libero deve lottare per rendere libero chi non lo è. Deve considerare l’ingiustizia tale, indipendentemente da chi la subisce; dal colore della sua pelle; dalla lingua madre; dalla religione che pratica. Una lotta di condivisone senza fine, duratura.

Chi quotidianamente vive nel tunnel, con i suoi drammi ed i suoi dolori, non può uscirne da solo. Egli è vittima di una condizione oggettiva; è di fatto impossibilitato a dare e ritrovare fiducia. Spetta a chi è più fortunato attivarsi per ridare dignità. Spetta a chi ha la possibilità di guardare gli eventi negativi con maggiore lucidità, impedire che l’annullamento e la morte possano essere la soluzione alla sofferenza. Il volontariato non è una tendenza, ma un atto quotidiano che apre la mente. Per comprendere i drammi del nostro tempo, quelli che in tanti vogliono vedere solo da lontano, bisogna avere il coraggio di viverli, per farli emergere in tutta la loro essenza e per contribuire a superarli. Nessuno di noi potrà cambiare il mondo, ma potrà costruire un percorso più nobile; attenuare le sofferenze; porre le basi culturali per costruire nuove fondamenta. È questa la vera rivoluzione perché è sostanziale››.

venerdì 25 luglio 2014

I badanti in politica sono un peso da estirpare


‹‹Da troppo tempo i sardi lasciano che le sorti della propria Terra, ad ogni livello amministrativo, siano decise da altri. Hanno accettato che riforme importanti potessero imporre gli stessi effetti contemporaneamente in Val d’Aosta come in Sicilia, passando casualmente per la nostra Isola. Hanno rifiutato di progettare un percorso di crescita e di sviluppo socio-economico autonomo, preferendo sperare nell’assistenza di Stato. Tutto ciò ha creato drammi: anonimato, arretratezza, dissipazione di risorse e disoccupazione. Spetta solo ai sardi collaborare correttamente per costruire una Sardegna sovrana in cui l’autonomia non sia il fine, ma un mezzo per avviare un processo crescente e progressivo di autodeterminazione. Per fare ciò, ci vogliono comunità forti, determinate, cognitive, capaci di progettare e realizzare. Comunità che trovano nella pianificazione e nella prestazione dei servizi, le ragioni per unirsi orgogliosamente. L’attore primario di ogni realtà è la persona, che viene prima della società civile e della stessa famiglia. La persona per realizzarsi ha bisogno di istituzioni sociali rappresentative, capaci di spingere la Sardegna in una direzione piuttosto che in un’altra. Nessuna organizzazione sociale, nessun partito e nessun movimento devono sentirsi esclusi né titolari di verità assolute.

Lo scenario è la Sardegna, Nazione senza Stato. Lo Stato italiano non ha mai voluto riconoscere il valore intrinseco dell’identità, così come la classe dirigente non ha mai voluto smettere di barattare la sorte dei sardi con la loro personale affermazione politica. Troppo spesso si preferisce essere privilegiati anonimi a Roma piuttosto che protagonisti per la Sardegna anche attraverso la valorizzazione delle proprie comunità. Nel frattempo, ci sono aspetti della nostra esistenza che non possono essere vissuti passivamente. Ci sono situazione della vita che si manifestano in tutta la loro oscenità e crudezza. Non di tutto possiamo farcene una ragione specie quando si sconfina nel disumano. Uomini e donne violentate nella loro dignità; anziani - talvolta malati - ridotti a fonte di ingiusti guadagni e relegati nell’inutilità; bambini a cui si nega scientemente il futuro, preda dei bisogni più crudeli; l’ambiente devastato da biechi interessi; il dominio dell’illegalità. “Farsene una ragione”, considerandoci impotenti, non è la risposta all’ambizione di un mondo più giusto. L’individuo è quotidianamente intrappolato in un processo mediatico-formativo in cui spesso prevale l’effimero, la forma, la superficialità. Ma, anche conoscenza sostanziale che provoca spesso solo indignazione momentanea. La rassegnazione prevale nella convinzione che nulla potrà cambiare, alimentando la violenza, radicandola››

giovedì 24 luglio 2014

Il Comune tuteli l’ambiente e la salute pubblica



Sono ancora depositate al protocollo del Comune di Assemini le firme apposte dai cittadini nel mese di febbraio del 2012 nella “petizione” con cui si chiedeva sicurezza rispetto all’aumento indiscriminato di installazioni radio-base. Assemini appare visibilmente disseminata di antenne per la telefonia cellulare senza che si siano mai avute sufficienti rassicurazioni sul rischio di inquinamento elettromagnetico. Questo in una città già gravemente compromessa da altri fattori inquinanti. Senza mettere minimamente in discussione l’utilità della telefonia, riteniamo che occorra monitorare le emissioni elettromagnetiche a garanzia della salute pubblica, nonché di una reale valorizzazione e cura dell’ambiente.

Più volte gli asseminesi sono intervenuti sull’argomento per chiedere maggiori controlli. Nel mese di febbraio del 2012, appunto, si costituì anche un comitato spontaneo che attivò una raccolta firme tra i residenti del quartiere di via Asproni, senza ottenere alcuna risposta. Lo stesso Comitato popolare ViviAssemini si è rivolto pubblicamente all’attuale amministrazione comunale per stimolare azioni conseguenti, ma non si è ricevuta alcuna risposta. A seguito di ulteriori e numerose segnalazioni, invitiamo l’Amministrazione comunale di Assemini di passare ai fatti ed attivarsi per: attuare una regolamentazione equilibrata delle installazioni; assicurare la pianificazione delle installazioni in contraddittorio con i Gestori e le Associazioni rappresentative dei cittadini; provvedere a considerare - in sede di applicazione della tassazione degli immobili - condizioni di vantaggio per compensare la loro svalutazione a causa della presenza di antenne in aree pubbliche; garantire il monitoraggio costante delle emissioni a tutela della salute pubblica. 


Secondo gli studi più recenti anche il CNR ha evidenziato l’influenza derivante da tali emissioni. L’esposizione anche a bassa intensità di campo può generare un effetto termico nocivo (a breve termine); cancerogenesi, effetti sul sistema immunitario e nervoso (a lungo termine, anche dopo pochi anni e per soli 30 minuti al giorno di esposizione). Altri studi hanno dimostrato una stretta correlazione tra la prossimità delle stazioni radio-base e l’insorgenza di tumori maligni, con una crescente prevalenza di cancro soprattutto nei soggetti che vivono a distanze inferiori a 500 metri dai ripetitori. L’assorbimento dell’energia irradiata da parte dei bambini è superiore rispetto agli adulti. 

martedì 22 luglio 2014

Assemini morirà di sterile globalizzazione



Pur non conoscendo le ragioni che hanno indotto il Gruppo Folk Città di Assemini ad esibirsi in Decimomannu, esprimiamo tutta la nostra amarezza per la scarsa valorizzazione delle tradizioni della nostra città e della sua identità. Assemini, in questo modo, è destinata a morire come una città qualunque, priva di anima, assorbita dalla cultura dominante di una sterile e pericolosa globalizzazione standardizzante.
Rammentiamo che l’attuale amministrazione comunale non ha partecipato nemmeno ai bandi per l’insegnamento della lingua sarda, ponendosi fuori dall’unico sistema di crescita e sviluppo possibile: valorizzazione delle diversità.
Riteniamo che Assemini necessiti di istituire la Consulta delle Associazioni per stilare un calendario di eventi di medio e lungo periodo, capaci di rispondere pienamente ad una impostazione progettuale della città che vogliamo.

lunedì 21 luglio 2014

La Città non è un feudo del pianto



«I giovani e gli anziani devono imparare ad unirsi per rivendicare un ruolo attivo della Regione sarda e degli Enti locali che continuano ad apparire largamente non udenti, distratti dai loro stessi privilegi e dai loro stessi convincimenti. La politica regionale, delle provincie e di molti comuni è ferma. La Sardegna deve uscire con coscienza dal pantano culturale. Deve trovare la strada per guardare oltre, rispolverando il vecchio orgoglio e creando essa stessa le occasioni di crescita e di sviluppo. La regione e gli enti locali non sono istituzioni astratte, tantomeno succursali passive delle elargizioni del “benefattore” di turno. Non esiste alcuna “mano invisibile” che aggiusta tutto, esiste un mercato che va coniugato con le esigenze sociali.
La politica sarda deve essere capace di superare i ritardi infrastrutturali per creare alternative, superando la sindrome d’impotenza. Nulla di ciò che accade è riconducibile al caso, ma alle nostre azioni o alle nostre omissioni. Il Governo italiano potrà anche rimettere in moto la macchina Italia, ma non vi sarà mai un automatico accrescimento del nostro benessere. Questo sarà solo il risultato della capacità della nostra classe politica di trasformare opportunità in concretezze.

I politici devono guardarsi attorno per comprendere le ragioni che li separano dalla gente. Devono accettare gli insuccessi ed i motivi che li hanno indotti. Non devono chiedere unità, perché questa è già in atto, contro chi non ha capito che deve amministrare nell’interesse comune. Le città non sono feudi del pianto, ma gli elementi da cui sprigionare il cambiamento. Il cittadino, nonostante l’inconcludente risultato della classe dirigente, ha il dovere di non scoraggiarsi, bensì di affermare la necessità di una comunità politica inclusiva e costruttiva, che faccia perno sul plusvalore della nostra specificità e sui bisogni sociali. È necessario che i sardi accantonino per sempre il disastroso individualismo per maturare la capacità di fare sistema all’interno di una grande intesa della Nazione sarda dentro e fuori le istituzioni. Assemini deve essere amata e modellata come se fosse una piccola nazione aperta e sistemica. I risultati positivi devono diventare contagiosi».

domenica 20 luglio 2014

Le città aiutino a superare le contraddizione della Sardegna


«Per un uomo e una donna, essere sardi, è una delle più grandi fortune. Noi sappiamo chi siamo stati e chi siamo. Viviamo in una fabbrica naturale di potenziale benessere. Conosciamo i nostri confini naturali che racchiudono un paesaggio unico al mondo; che custodiscono suoni, sensazioni, cultura, espressioni e tradizioni che attendono di essere valorizzate con coscienza autonoma. La Sardegna è un libro aperto senza fine e noi tutti abbiamo il dovere di farlo leggere con orgoglio e passione. Siamo noi il punto di congiunzione di un sistema che deve affermarsi, in cui nulla è “altra cosa”.
La Sardegna è anche Terra di umane contraddizioni e di devastanti soluzioni. Le parole unità e consapevolezza devono guidarci in un percorso di svolte che diano valore alle specificità. Dobbiamo imparare ad osare, superando e contrastando la cultura di una classe dirigente troppo spesso intrappolata. La Sardegna è la sintesi perfetta di straordinari modelli di vita. Ogni realtà territoriale ha un fascino autentico che rischia di scomparire nella pericolosa standardizzazione. La soluzione non è arrendersi nell’antipolitica, nell’astensionismo, nell’indignazione fine a se stessa. Bisogna maturare il bisogno primario di rivendicazione di una convinta e progressiva autodeterminazione. Dobbiamo diventare artefici della nostra economia e della nostra formazione partendo dagli strumenti di cui disponiamo. Come Popolo dobbiamo credere in noi stessi, istituendo e favorendo forme nuove nei rapporti esterni nel rispetto delle parti. Assemini è parte sostanziale di uno stesso sistema e deve abbandonare le chiacchiere confuse per dimostrare, con i fatti, di cosa è capace».

sabato 19 luglio 2014

Assemini, una città senza traiettoria


“Assemini è sempre stata legata al cordone ombelicale regionale che a sua volta è legata a quella del Governo italiano che a sua volta preferisce nascondersi nel torpore europeo.
Qual è il progetto che l’attuale classe dirigente ha in testa per far crescere la Sardegna? Quale è stato il progetto che fino ad ora hanno elaborato e seguito gli amministratori comunali? Domanda che continuano a rimanere inevase perché non esiste alcun progetto. Contemporaneamente l’Isola continua ad arretrare, Assemini pure, amplificando i drammi individuali e sociali della crisi generale.
Ogni cinque anni si lancia un’alternativa partitica, un’alleanza più o meno amalgamata che si impone mediaticamente all’elettore con programmi in troppi casi disarticolati ed aleatori. La parola “sistema” continua a rimanere lettera morta e la parola “progetto” un sogno. Come se la politica potesse davvero essere ricondotta in una sterile e fredda offerta promozionale. Si analizzano i punti di saturazione e si rilancia lo stesso prodotto con nuovi simboli colorati e denominazioni populiste. Quando la crisi economica imperversa, mancano le risorse finanziarie per superare i ritardi infrastrutturali e per avviare doverosi percorsi socioculturali. Conseguentemente, a mancare, è anche il conseguente ottimismo sociale. Allo stesso modo, se la politica diventa anch’essa un prodotto, entra in crisi quando a mancare è la fiducia, da intendersi quale principale mezzo di scambio.
Come emerge dal 19esimo rapporto Crenos, il centro di ricerca dell’Università di Cagliari e Sassari, la Sardegna non è competitiva. Ciò dipende principalmente: ‹‹dalla carenza di infrastrutture, da una scarsa propensione all’innovazione e da una bassa dotazione di capitale umano››. Anche il turismo stenta ad assumere un ruolo centrale nelle prospettive di sviluppo. ‹‹Diminuiscono gli arrivi e le presenze, con previsioni di ulteriore contrazione dei flussi››. Ciò non può ridursi ad una mera analisi macroeconomica, ma deve essere recepita dalla classe dirigente per attuare un progetto articolato ed inclusivo. Chi paga il costo della superficialità sono i disoccupati, principalmente giovani, ed i precari. ‹‹Il livello di guardia è stato abbondantemente superato››. Non è ammissibile che la nostra Terra sia ancora in parte sconosciuta. Non è giustificabile che dopo oltre sessant’anni di autonomia, la Sardegna, come la sardità, non trovino univoca identificazione. Non è ragionevole che il suo sviluppo debba ancora dipendere dalle sempre più disinvolte richieste di assistenza istituzionale e dal crescente asservimento indotto dei fattori della produzione. Dobbiamo imparare a scegliere per crescere; dobbiamo imparare a rendere le nostre città elementi propulsivi sia in ordine orizzontale, sia verticale”. 

venerdì 18 luglio 2014

ViviAssemini: «il Comune non crei altri disoccupati»

In queste settimane è stata segnalato al nostro Comitato l’eccessiva rigidità della disciplina sul volantinaggio e sulla distribuzione del materiale pubblicitario. Gli operatori lamentano l’impossibilità di ottemperare compiutamente al proprio lavoro per gli eccesivi limiti imposti dalle disposizioni comunali, richiamate proprio in questi giorni dall’Amministrazione di Assemini.

Oggetto della contestazione è l’art. 41 del Regolamento comunale che disciplina il servizio di gestione dei rifiuti ed igiene urbana, approvato nel 2012, nella parte in cui stabilisce il divieto di imbucare nella cassetta della posta volantini e materiale pubblicitario. Considerando il ridottissimo numero di cassette ad uso esclusivo della pubblicità presenti nelle abitazioni della città, risulta oggettivamente compromessa l’attività di distribuzione capillare con conseguenti gravi ripercussioni sulla funzionalità delle imprese, in un contesto di già grave crisi economica. Crisi che Assemini subisce passivamente per la mancanza di processi politici ed amministrativi organici di stabilizzazione della base economica e per la mancanza di strategie, traiettorie ed indirizzi di politica economica e socioculturale.


Ci rivolgiamo all’Assessore al Lavoro e Sviluppo economico, ai Capigruppo delle forze politiche di minoranza ed ai cittadini affinché convergano con produttiva partecipazione, comprensione e disponibilità sul bisogno di cancellare tale divieto e consentire agli operatori di potersi assicurare lo stipendio senza violare lo spirito del provvedimento. Inoltre, di garantire pienamente la funzione stessa dell’informazione in ogni sua forma.

giovedì 17 luglio 2014

Per crescere occorre una gestione integrata auto-sostenibile.


«Continuiamo a subire una globalizzazione che ci induce a usare il territorio come uno spazio unico, in cui le risorse locali sono solo beni da trasformare per il consumo, trascurando la sostenibilità socio-ambientale. Le specificità territoriali, ambientali, culturali ed umane sono superate dal prevalere del concetto di consumo rispetto alla produzione. Questa omologazione va superata con un nuovo progetto culturale che valorizzi le identità, attraverso la promozione di processi di “autonomia cosciente e responsabile”. Lo sviluppo deve identificarsi con la crescita delle reti civiche e della cooperazione, puntando su una forma di globalizzazione dal basso che non sia gerarchica, ma solidale. I comuni, attraverso l’assunzione concreta delle proprie funzioni dirette di governo, dovranno essere il punto di partenza di un nuovo processo economico, attivando comportamenti attivi in cui trasparenza e partecipazione siano elementi trainanti di nuove espressioni di esercizio della democrazia. Solo così si potrà consentire l’impianto di nuove forme d’impresa integrate e capaci di prendersi cura dell’ambiente.

Le politiche attendiste e centraliste sono infruttuose. La realizzazione di “nuovi istituti di decisione” consentirà un “nuovo disegno di futuro” localmente condiviso e sostenuto. I nuovi attori del domani sono i cittadini nelle loro articolazioni sociali e nell’esercizio delle loro funzioni quotidiane; con le loro professionalità ed esperienze. Produrre “nuovi scenari sociali” significa anche attuare “nuove relazioni tra popoli e culture diverse”. Le politiche settoriali vanno superate per guardare al progresso con un nuovo approccio di “gestione integrata” auto-sostenibile. Spetta ad Assemini, come ad ogni altro comune, decidere cosa, come, quando e dove produrre per creare “valore aggiunto locale” senza trascurare la biodiversità. La “valorizzazione territoriale è indivisibile”, non si possono salvaguardare alcuni aspetti, trascurandone altri».

martedì 15 luglio 2014

Bisogna invertire la piramide


«Sussidiarietà e federalismo incompiuto; rapporti ed interrelazioni che avrebbero dovuto rendere il cittadino partecipe delle scelte di governo; cittadino a cui è spesso impedito di essere regista della costruzione di un percorso di crescita armonica. Il federalismo è un principio moderno, democratico e condiviso, ma tarda ad affermarsi. La politica ispirata all’arte di “governare la società” prevale sul pluralismo e sul bisogno di trasparenza. Il dominio della confusione tra potere e responsabilità acuisce il divario tra elettore e rappresentante. Il rapporto cittadino-politico si allontana sempre più, rompendo gli equilibri già instabili di un sistema costruito faticosamente. Si è passati dalla Prima alla Seconda Repubblica senza che nessuno si sia accorto di alcun miglioramento. Si è rafforzato il centralismo sostanziale ed alimentato una classe dirigente ampiamente nominata e quindi irresponsabile.

 Pochi gli uomini e le donne libere che, ovviamente, hanno difficoltà a prevalere nella giungla contagiosa del pressappochismo interessato. I problemi che attanagliano i singoli e le famiglie crescono e si rafforzano nella confusione. Ci vuole una nuova iniezione di fiducia. Bisogna invertire la piramide ponendo alla base i rappresentanti ed al vertice il confronto sociale. Bisogna affermare chiari e duraturi valori etici e morali. La nuova arte deve essere “governare con la società”. Ci vuole vero rinnovamento, sostanziale».

lunedì 14 luglio 2014

La politica ascolti la piazza



«Non si può che asserire che è in atto un crescente mutamento culturale. L’indignazione è figlia di coloro che vogliono partecipare al cambiamento, contro la degenerazione della politica. Genitori e figli agiscono maturando una coscienza cognitiva. Essi stanno rompendo gli argini generazionali e rappresentano una fascia enorme d’individui altrimenti destinati alla marginalità sociale. La gente chiede lavoro, cura degli anziani, investimento sui giovani e sulla sicurezza. L’indignazione è presupposto per affermare un riscatto identitario in grado di affermare un’Italia dei popoli in una Europa delle specialità; una Sardegna sovrana in una Italia Federale. Assemini (come tutte le città) deve imparare a ragionare secondo un nuovo modello: “endogeno”.
La mancanza di fiducia verso la politica ha logorato il senso civico nonché la disponibilità a cooperare per migliorare le nostre città. Essa è anche la conseguenza dell’opacità dietro la quale si nascondono, in molti casi, troppi amministratori e troppi responsabili politici. Una cortina nebbiogena innalzata per non rendere conto del proprio operato ampiamente clientelare, che favorisce i furbi e relega gli onesti in uno stato di subalternità. La conseguente bassa efficienza e improduttività della spesa pubblica, creano ed alimentano una rete dissipativa che ci trattiene in uno stato d’ibernazione. Ciò che i cittadini contestano è il modo irresponsabile ed indecoroso con cui è stata trattata la questione sociale e lo sviluppo. Irresponsabile perché i cittadini sono stati considerati soggetti incapaci. Indecoroso, perché l’inadeguatezza di una classe dirigente ampiamente insensibile ed autoreferenziale non ha prodotto proposte evidentemente serie e coerenti. I cittadini stanno assolvendo un dovere: costruire ulteriori e nuove “istituzioni sociali” oltre le ideologie classiche. Chiedono trasparenza perché credono nella responsabilità e nel merito. Così facendo, gli indignati, pongono le basi per superare la sindrome d’impotenza indotta; combattono il “familismo radicato ed amorale”. È necessario che la politica ascolti la piazza e torni tra la gente con azioni fattive rivolte al “bene comune”. Le città sono l'elemento cardine da cui ripartire».

domenica 13 luglio 2014

«Assemini e differenziata: Il Garante dà ragione ad Altroconsumo. Monito al Comune sull'uso dei sacchetti»




Riportiamo la comunicazione pubblica della principale Associazione dei Consumatori a cui ci siamo rivolti per garantire il rispetto legalità.
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«Assemini e differenziata: Il Garante dà ragione ad Altroconsumo-monito al Comune sull'uso dei sacchetti»
12 Luglio 2014

In riferimento alle nuove disposizioni che il Sindaco di Assemini in modo confuso e disorganizzato postava su Fb e dopo sul sito comunale ,che ha scatenato numerose richieste di intervento e poi emanate in un ordinanza ma solo dopo aver invaso Assemini di volantini avevamo chiesto un parere ed l'intervento del Garante della Privacy in data 4 Giugno 2014.
Lo stesso Garante con nota dell' 11 Luglio 2014 rispondeva al sottoscritto di essere intervenuto presso il Comune di Assemini sul rispetto delle norme già in essere (ed in particolari quelle da noi citate per il 2005 - con dubbi da noi sollevati su un eventuale aggiramento da parte del Sindaco sulle norme per le buste semi trasparenti), lo stesso Garante insieme al Dipartimento Libertà Pubbliche e Sanità non ritiene conforme parlare di buste semi trasparenti ma classifica l'uso dei sacchetti in trasparenti o non trasparenti e su questo punto richiama lo stesso Comune sul rispetto della prescrizione per cui non ritiene proporzionato l'uso dei sacchetti trasparenti sulla raccolta porta a porta.
Nella stessa nota si può vedere che lo stesso Garante inoltre , suggerisce la conformità sulle disposizioni in materia di protezione dei dati personali

Commento:
Certamente il rispetto dell'ambiente è un bene universale e come tale va difeso, ma noi crediamo che per poter migliorare si dovrebbe mostrare magari pochino più umiltà e sopratutto condivisione di intenti mostrando rispetto e confrontandosi con chiunque eserciti un ruolo per il bene comune,ed evitando azioni che alla fine si mostrano per quello che sono,ma un buon uso sulla differenziata da parte della cittadinanza non può essere vista solo e sempre come un continuo dovere se esso non mostra organizzazione e sopratutto motivazione,una corretta educazione civica va sempre fatta insieme ai cittadini che con lo scambio comunicativo potrebbero suggerire magari proposte migliori di quelle che avevamo pensato.
Oltretutto come stabilisce il Garante( e non avevamo dubbi )se il sacchetto dovesse riportare una trasparenza rendendo visibile il contenuto al suo interno ciò potrebbe essere lesivo dei dati personali e della stessa privacy dei cittadini e che potrebbe scaturire anche in una class action al Garante che ricordiamo ha il potere di emanare sanzioni amministrative e penali.

Mattana Francesco
Rappresentante

Regione Sardegna

giovedì 10 luglio 2014

No al potere, Sì alla responsabilità

«Le risposta alle nuove sfide che coinvolgono e riguardano le città, necessitano di nuovi modelli di governance. Le città devono affrontare le sfide con un approccio integrato e globale; combinare processi basati sul territorio e sulle persone; supportare le strutture formali di governance con altre strutture più flessibili e più adattabili alle specifiche esigenze; superare le divergenze attraverso sistemi di governance mirati; collaborare per favorire una coscienza orientata ad uno sviluppo territoriale coerente ed un uso efficiente delle risorse.
Appare chiaro come i modelli di governance devono essere adeguati all’evolversi delle diverse situazioni possibili e tenere conto delle diverse scale territoriali e temporali. Le città devono operare in modo intersettoriale, evitando le visioni monosettoriali. È necessario un coordinamento orizzontale e verticale. Le città devono collaborare con altri livelli amministrativi e rafforzare la cooperazione ed i legami con altre città al fine di condividere gli investimenti ed i servizi richiesti su una più ampia scala territoriale. Le nuove modalità di governance non possono prescindere dalla partecipazione attiva e diretta della comunità e di tutte le parti interessate (associazioni consumatori, comitati, consulte, forze politiche e sociali). La classe dirigente non deve esercitare potere, ma programmare ed agire nell’alveo di una evoluta responsabilità ampiamente condivisa. La crescita deve essere strutturale.
Ragionare in termini di coinvolgimento sociale, significa anche attuare concretamente il “bilancio partecipato” comunale. Esso è lo strumento principale della previsione gestionale dell’apparato amministrativo e delle sue specifiche ripercussioni sulla comunità. A ciò deve fare seguito un “bilancio consuntivo” analitico e trasparente.

Bisogna puntare su un uso innovativo del capitale sociale contro la miopia conservatrice. In un contesto nel quale si rileva un allentamento dei rapporti tra crescita economica e progresso sociale, l’innovazione sociale offre la possibilità di ampliare lo spazio pubblico per l’impegno civico, la creatività, l’innovazione e la coesione. La capacità di fare previsioni è uno strumento particolarmente importante per la gestione delle transazioni, per il superamento dei conflitti e delle contraddizioni tra i vari obiettivi e per sviluppare una migliore comprensione della realtà, delle capacità e degli obiettivi».

martedì 8 luglio 2014

Vogliamo una città pulita

Assemini, via Baccaredda. Affianco ad una scuola

Immondizia dappertutto; periferie trasformate in discariche a cielo aperto; deiezioni ed urine di cani nei marciapiedi sconnessi e negli spazi verdi; giardini pubblici abbandonati all’incuria ed al vandalismo; blatte e topi che saltano e corrono nelle strade oramai rese deserte da una crisi subita, mentre chi amministra sta a guardare. Una puzza insopportabile che fuoriesce dalle griglie di raccolta delle acque piovane. È questa la triste immagine di una città incompiuta, abbandonata e privata di un futuro: Assemini.  

In queste settimane abbiamo raccolto centinaia di denunce. Persone indignate, stufe di ripetere sempre le stesse cose senza che nulla cambi. Negli ultimi mesi si è registrato un netto peggioramento che si contrappone paradossalmente all’aumento delle imposte e delle tasse comunali. Manca l’azione di monitoraggio, soppressa all’atto dell’insediamento della nuova giunta. Mancano azioni strutturali di prevenzione, gestione, controllo e di educazione ambientale. Viviamo un ritardo di almeno vent’anni rispetto ad altre realtà urbane anche della stessa Sardegna. Le pressione fiscale aumenta e la qualità dei servizi decresce. La colpa sembra essere sempre degli altri, ma chi amministra ha il dovere di intervenire con politiche fattive e di qualità. Nulla più di quanto avviene in altre realtà, dove alla confusa propaganda è superata da azioni concrete e lungimiranti. Altre città sono gioielli di vivibilità, Assemini non lo è.

Il Comitato Popolare ViviAssemini invita l’Amministrazione comunale a cambiare marcia evitando ulteriori umiliazioni ad una città che merita ben altro. Noi non facciamo politica arrivista, seppure legittima, ma doveroso ed esclusivo protagonismo civico. Nella qualità di cittadini paghiamo le imposte e le tasse dovute, comprese le indennità di chi amministra. Non abbiamo preferenze partitiche e ciò ci garantisce la libertà di giudicare, proporre e pretendere il rispetto dei ruoli e dei patti.  

lunedì 7 luglio 2014

L'improvvisazione è un male assoluto

«Gran parte delle città europee rilevano una crescente minaccia allo sviluppo urbano sostenibile. Ne sono causa i cambiamenti demografici (invecchiamento della popolazione, spopolamento, suburbanizzazione); instabilità economica (stagnazione, declino economico); allentamento dei rapporti tra crescita economica, occupazione e progresso sociale che spingono alla disoccupazione, al precariato ed al riposizionamento poco qualificato e mal retribuito (le singole economie non sono in grado di assicurare a tutti il lavoro); le disparità di reddito crescono aumentando il numero dei poveri (problema casa, qualità dell’istruzione, qualità dei servizi fondamentali); aumenta la segregazione sociale, la polarizzazione sociale e territoriale (consistente riduzione delle risorse nel welfare state). L’espansione urbana incontrollata e la diffusione di insediamenti a bassa intensità sono una minaccia allo sviluppo territoriale sostenibile (i servizi pubblici sono più costosi e difficili da garantire). Le risorse naturali vengono sottoposte ad uno sfruttamento eccessivo, le reti di trasporti pubblici sono insufficienti e la dipendenza dai mezzi privati ed il traffico all’interno ed intorno alle città sono pesanti; gli ecosistemi urbani sono sotto pressione a causa di una espansione urbana incontrollata che comporta una impermeabilizzazione del terreno comportando una seria minaccia della biodiversità ed aumentando il dissesto idrogeologico e la carenza idrica.

Le minacce devono essere scongiurate trasformandole in opportunità. È necessario partire dalla valorizzazione delle diversità, affiancando all’economia globale una economia locale sostenibile. Ciò deve avvenire radicando nel tessuto economico locale competenze e risorse, nonché incentivando la partecipazione sociale e l’innovazione. Bisogna creare un’economia reattiva ed inclusiva che superi il modello di sviluppo economico in cui crescita economica non significa necessariamente un maggior numero di posti di lavoro (garantire una vita dignitosa ai soggetti esclusi dal mercato del lavoro e coinvolgerli nella società); le diversità socioeconomiche, culturali, etniche e generazionali vanno sfruttate per il loro rilevante potenziale e come fonte d’innovazione. La segregazione territoriale e la povertà energetica si combattono sostenendo politiche di risparmio e di necessaria valorizzazione ambientale; lo sviluppo equilibrato del territorio come la sua valorizzazione possono produrre benefici per le comunità residenti solo se si riesce a maturare una collaborazione funzionale (trasporti; spazi sociali, culturali, sportivi ed ambientali di qualità)».

sabato 5 luglio 2014

Nessun cambiamento senza unità

«La popolazione europea, per oltre due terzi, vive nelle aree urbane. Le città sono luoghi in cui emergono problemi, ma anche dove possono trovarsi soluzioni. Sono ambienti che possono favorire l’innovazione scientifica, tecnologica e culturale, rispetto al singolo e rispetto alla comunità. Sono luoghi capaci di sfuggire alla standardizzazione, anteponendo progetti di valorizzazione identitaria. Le città, inoltre, hanno un ruolo chiave nel doveroso sforzo volto a mitigare l’impatto nei cambiamenti climatici. D’altra parte, è nelle città che si concentrano anche i problemi della disoccupazione, del precariato, della discriminazione e della povertà. Per tale motivo, devono assumere un ruolo attivo ed integrato come motore dell’economia, come luoghi di connettività, di creatività e come centri servizi.
I confini di ogni città non corrispondono più alla semplice realtà fisica, sociale, economica, culturale ed ambientale dello sviluppo urbano. Per tale motivo rendono necessari nuovi modelli di governance flessibili.

Dobbiamo considerare le città del futuro come ambienti di sviluppo sociale avanzato, di coesione sociale, di alloggi socialmente equilibrati, nonché di servizi sanitari ed educativi rivolti a tutti. Così come dobbiamo vedere nelle città una piattaforma funzionale della democrazia (libertà e giustizia); il dialogo culturale e la diversità come ricchezza; come un luogo verde, di rinascita ecologica ed ambientale; un luogo capace di attrarre ed un volano della crescita secondo un modello economico sociale e civile di mercato».

giovedì 3 luglio 2014

L’identità è l’arma moderna contro la crisi.


Il futuro della nostra città è fondamentalmente legato dalla nostra capacità di dare ad essa un’anima. Bisogna riscoprire e valorizzare l’identità come fattore della produzione, per la crescita e lo sviluppo, per sfuggire dai pericoli della globalizzazione standardizzante. Non basta sentirsi sardi, ma bisogna trasformare la sardità in un maturo stile di vita. Bisogna passare dal sentimento alla coscienza.
Il passaggio dal sentimento alla coscienza e quindi alla volontà di essere è compito anche della politica (intesa come impegno civico) e del radicarsi di una classe dirigente matura e responsabilmente ambiziosa, indipendente e per ciò stesso autonoma nel progetto, nelle scelte, nel governo (a tutti i livelli). Oggi sia la classe dirigente, sia la cultura politica mostrano troppo spesso la propria inadeguatezza davanti alle sfide che i processi storici pongono sia ai grandi stati, sia alle piccole nazioni come la nostra. Le città devono assumere un ruolo propulsivo e di congiunzione, ma anche di attuazione armonica e cosciente delle promesse progettuali e programmatiche. Devono amministrare secondo obiettivi di sistema territoriale.
Parole come autonomia, autodeterminazione, sovranità territoriale, dense di importanti significati rischiano di trasformarsi in vuoti luoghi comuni, incapaci di mobilitare ed aggregare le coscienze, se intorno a questi valori fondamentali non si instaura un circolo virtuoso di progettualità, coerenza, partecipazione, unità di popolo e sua rappresentanza, rispetto dei diritti di cittadinanza e stima della nazione sarda, per restituire nobiltà alla politica e per contribuire a risolvere la sua crisi. Non si può stimare la Sardegna ed al contempo infischiarsi della propria città. Non si può sperare che le scelte verticistiche producano gli stessi effetti in qualunque parte dell’Italia. Le differenze sono spesso abissali, per problematiche, opportunità e per risorse. Così come non si deve aspettare che la Regione sarda gestisca direttamente problematiche di pertinenza prettamente territoriale. Il rischio, sarebbe, quello di affievolire la specificità locale e le sue risorse più intime, affermando nuove forme di centralismo.
L’Unione europea; il suo allargamento; le importanti opportunità di convivenza e di collaborazione fra popoli, nazioni e stati; una unificazione europea con forti aspetti non democratici; la permanenza di non risolte questioni nazionali e regionali e altri fenomeni complessi di questa natura, hanno reso obsoleti i modi tradizionali di pensare la politica e di farla; tutto questo mette in crisi grandi e fondate ideologie politiche che nel loro marasma aprono vere e proprie emergenze nelle democrazie europee e fanno fare grandi passi indietro al concetto della diversità come valore fondante della nuova Europa.
I problemi posti da questi scenari europei non possono essere affrontati, soprattutto in un società fortemente dipendente come la nostra, dalla politica dei tancati e da una eclissi della progettualità che è spesso surrogata dalla violenza verbale e dalla aggressività, solo apparentemente motivata da opposte appartenenze ideali e politiche. Questa divisione, che ha profonde ripercussioni perfino sullo stato di convivenza nelle piccole e grandi comunità sarde, proprio perché ingiustificata ed irrazionale, comporta nel mondo della politica un abbassamento di tensione autonomista proprio nel momento in cui nella società si manifesta, invece, un grande desiderio di identità e di sovranità. Le nostre città, per crescere, non hanno bisogno di urlatori e di rivoluzionari “del fine settimana”, ma di donne ed uomini che diventino cittadini attivi e cognitivi. Che puntino all’innovazione ed al rinnovamento, attuandolo secondo una logica nazionalitaria.

Come rispondere a questo desiderio? Innanzi tutto è necessario che le forze alternative allo statalismo individuino nei principi dell’autogoverno il valore principale della loro alleanza sostanziale. Lo schierarsi secondo la obsoleta geografia parlamentare è assolutamente insufficiente a determinare le singole identità. Prima viene la volontà di affermare un progressivo autogoverno e solo dopo si stabilisca la convivenza delle diverse sensibilità. È illusorio qualsiasi obiettivo di prosperità al di fuori dell’autogoverno della Sardegna nei campi della cultura, della finanza, dell’economia e dell’ambiente. È altrettanto necessario che questa coscienza parta dai comuni e che tra di essi si inizi un dialogo che consenta di lavorare insieme per creare nuove opportunità, per migliorare i servizi, renderli meno costosi e per innovare.  

mercoledì 2 luglio 2014

Assemini deve diventare una moderna città europea


L’Unione europea costituisce, finora, l’unico esempio di creazione di un contesto politico-istituzionale soprastatuale con il dialogo e la cooperazione fra stati, senza cioè annessioni violente. Questo nonostante la presenza di difetti e talvolta di contrapposizioni anche forti tra i rappresentanti dei diversi stati. Il processo di integrazione europea rappresenta l’evento storico più rilevante che questa nostra parte dell’umanità ha conosciuto fino ad oggi.
La pace tra gli stati dell’Unione è il primo fondamentale beneficio. E’ oggettivo anche il miglioramento generalizzato delle condizioni di vita e di esistenza dei cittadini dell’Unione. L’attuale crisi non deve indurre a rinunciare all’europeismo, ma a risolverne i problemi, rendendo migliore ed uniforme il processo di crescita e sviluppo.
Il processo di integrazione europea, è ben lontano dall’essere concluso e non è certo immune da pecche di varia natura. Ma l’esistenza di queste ultime non può considerarsi motivo sufficiente per rifiutarne il processo e quanto di buono ha finora prodotto, anche per le realtà più marginali quali possono essere le aree deboli e quelle che esprimono le nazionalità senza stato.
Anche se si limitasse l’analisi ai soli problemi di natura socio economica, è appena il caso di notare come negli ultimi anni la maggior parte delle risorse messe a disposizione delle aree deboli dell’Europa (e la Sardegna, con i suoi comuni, è tra queste), provengono proprio dalla politica di coesione socio economica dell’Unione europea. La partecipazione della Sardegna e delle sue realtà territoriali al processo di unificazione dell’Europa è, in sostanza, il tema di maggiore importanza per la politica sarda nel futuro a noi più vicino. Fino ad ora, c’è stata una grave mancanza di interesse nei confronti di quanto a Bruxelles e nelle città sedi di trattati si decideva, spesso interferendo anche in materie per le quali la Sardegna ha potestà legislativa primaria. Una potestà, va detto, di cui i governi centrali non hanno tenuto conto, assumendo che la titolarità della politica estera è costituzionalmente in capo all’amministrazione centrale dello Stato, ma contravvenendo alla norma contenuta nello Statuto speciale che riconosce al Presidente della regione di interviene alle sedute del Consiglio dei ministri, quando si trattano questioni che riguardano particolarmente la regione.
In tutta l’Europa è in atto un movimento di regioni, nazionalità e stati federali che tende a far riconoscere loro un ruolo autonomo nella formazione delle decisioni europee. I governi degli stati nazione, con gradi diversi di fermezza, per lo più si oppongono alla soggettività internazionale non solo delle regioni “ordinarie”, ma anche di quelle legislative e delle nazioni senza stato, temendo, a ragione dal loro punto di vista, che ciò acceleri la definitiva crisi della loro stessa funzione. Se alla moneta unica, seguiranno una politica estera unica, un’unica giustizia ed un esercito europeo, niente resterà che non possa essere governato, con competenze più o meno piene a seconda delle specialità e identità, dalle regioni che, in un’ideale Europa dei popoli, dovranno essere referenti indirette nella formazione delle decisioni europee.
Del resto, lo stato nazione non è più in grado di far fronte a certe sfide globali, come: immigrazione clandestina, criminalità, disoccupazione, esclusione sociale, iniqua redistribuzione dei redditi. A nessuno di questi fenomeni un Paese può dare risposte isolatamente, come riconosciuto dalla Commissione europea. Ed è superfluo, lo stato come lo conosciamo, nella gestione del locale che c’è la tentazione di accampare o con la espropriazione di competenze o con la negazione dell’esistenza stessa di competenze legislative regionali.
La macchina autoreferenziale dello Stato, soprattutto oggi che l’Unione europea è in grado di assicurare standard più alti di quelli offerti dalle sue singole componenti, assorbe una enorme quantità di denaro per la sua auto conservazione, sottraendolo a investimenti che potrebbero agevolmente fare le regioni europee, tenute al rispetto delle stesse norme alle quali sono soggette gli stati. La stessa Regione sarda appare centralista rispetto al bisogno di trasferimento di nuove competenze ai Comuni. La partita si giocherà tutta all’atto della abolizione funzionale delle provincie. Un Comune forte, unito a comuni altrettanto forti potrà incidere nella scelta finale.
Di qui la necessità, sempre più avvertita, del cosiddetto “Stato leggero” che coordini entità fra loro federate, che smetta la finzione ottocentesca della coincidenza fra stato e nazione, che riconosca la sua natura plurinazionale (e oggi anche multietnica) e, infine, che difenda sì l’identità nazionale maggioritaria, ma senza per questo negare o peggio contenere le altre identità nazionali conviventi nel suo territorio.
È all’attenzione di tutti lo scarto di democrazia esistente attualmente in Europa fra la tendenza positiva dell’Unione europea a disegnare un quadro democratico di diritti di cittadinanza e la sua costruzione autoritaria, per lo più fatta al di fuori del coinvolgimento di coloro che sono stati nominati d’autorità cittadini europei. Anche l’allargamento dell’Unione a ben vedere segue questo processo assolutistico.

La strada da percorrere è questa, tracciata dal progetto nazionalitario.

martedì 1 luglio 2014

Le città devono contribuire allo sviluppo della Sardegna



Le città sono elementi cardine dello sviluppo socioeconomico, espressione di un processo sistemico di equilibrio e di valorizzazione identitaria. Le città devono maturare e condividere progettualità e capacità di concretizzare obiettivi strategici strutturati in modo armonico, per contribuire alla costruzione di una Sardegna prospera.  La Sardegna, forte della sua storia, deve attivarsi per giocare un ruolo sinergico nei processi di modernizzazione della politica, dell’economia, della cultura e del linguaggio. Deve porsi l’obiettivo di coniugare i benefici delle globalizzazioni, scongiurando il pericolo di omologazione e di dissoluzione dell’identità e della specificità.