mercoledì 27 aprile 2016

La P.A. applichi i principi della gestione aziendale


Per troppo tempo il rapporto “amministrazione pubblica” e “principi economici aziendali” è stato considerato un obbrobrio, piuttosto che una naturale e storica realtà.
La causa di tale errata interpretazione dipende certamente dal cronico ritardo con cui le scienze economiche hanno concentrato gli studi nel settore della Pubblica amministrazione. In particolare, quella dell’Economia aziendale.
Eppure, già nel 1841, Villa, individuava due tipologie di amministrazione: pubblica e privata a cui si potevano applicare gli stessi metodi di gestione e contabilità. Nel 1922, con il Besta, si affrontavano i concetti di azienda di “produzione” e di “consumo”. Poi, nel 1986, Cerboni, riferendosi ai comini, alle province e allo Stato, parlava di “enti economici”.
Certo, nelle riflessioni storiche mancava una teoria chiara in grado di porre le amministrazioni pubbliche in un concetto unitario di azienda. Aspetto risolto nella definizione moderna di economia aziendale.
Secondo Zappa, “l’azienda è una coordinazione economica in atto, istituita e retta per il soddisfacimento dei bisogni umani”. Aziende in cui si colloca anche l’Amministrazione pubblica in cui il soddisfacimento dei bisogni avviene in maniera diretta (consumo). Per Onida, “l’azienda è un complesso economico posto in essere ed operante sistematicamente per il soddisfacimento, diretto o indiretto, dei bisogni umani”. Stessa cosa per Amaduzzi e Vianello. Quest’ultimo asserisce chiaramente che “l’azienda è una organizzazione di persone e di beni indispensabili per il raggiungimento del fine o dei fini di un ente”.
Oggi, l’Amministrazione pubblica, è definita come “azienda di erogazione composta”, ossia un’azienda avente la finalità di svolgere sia il processo di consumo, sia quello di produzione. Diverso il soggetto economico che nel caso dell’azienda pubblica è la collettività mentre in quella privata è un gruppo limitato di persone.
Quotidianamente, la Pubblica amministrazione, pone in essere atti di natura economica: produzione di beni e servizi, raccolta e trasferimento di mezzi finanziari a fini perequativi, sostegno alle imprese ed altro ancora. Persegue l’obiettivo dell’equilibrio economico. Sostanzialmente il riferimento, spesso con tono negativo, alla “aziendalizzazione” della Pubblica amministrazione è errato in quanto induce a pensare ad un processo di progressiva trasformazione che è invece nella sua natura.
Nel secondo dopoguerra, le esigenze di ricostruzione in senso lato, hanno reso necessario un ruolo eccezionale dello Stato. Bisognava creare un modello sociale, politico ed economico in grado di superare le anomalie del capitalismo senza cadere nelle profonde contraddizioni del socialismo reale. È così che si affermava un modello che, nel riconoscere il valore della libertà e della proprietà privata, gestiva direttamente in modo massiccio e diffuso funzioni che sarebbero dovute essere del mercato (non dello Stato e degli Enti periferici).
Piuttosto che limitarsi alla definizione delle regole, in nome del Welfare State, l’Italia ha applicato una tassazione crescente fino a divenire asfissiante. Con spirito dirigista ed interventista, ha promesso infruttuosamente di appagare direttamente gran parte dei bisogni sociali. La “macchina statale, ha raggiunto dimensioni abnormi ed insostenibili. Ha trasformato la funzione burocratica da “filtro” a impedimento, fino a perdere completamente il controllo. Da qui, lo sperpero di denaro pubblico e le logiche clientelari in un generalizzato sistema di irresponsabilità diffuse. Sono lievitati i costi e il debito pubblico, conseguentemente la pressione fiscale fino a determinare una spirale distruttiva.
Il compito della pubblica amministrazione è quello di operare, in modo coordinato e secondo un sistema unitario, perseguendo i principi ed i caratteri della gestione aziendali, assicurando efficacia ed efficienza dell’azione, senza sconfinare in funzioni che non le competono e che riguardano il mercato (a tutela dei cittadini).
Perciò, anche un Comune che vuole migliorare la funzione politico sociale, non deve sostituirsi agli operatori privati (spesso organizzati in associazioni di volontariato) anche perché non ne ha le competenze, ma deve limitarsi ad indirizzare e sostenere, lasciando  a questi la gestione. Allo stesso modo, per l’erogazione di altri servizi attraverso il più funzionale affidamento esterno. 

lunedì 25 aprile 2016

“Sa Die de Sa Sardigna”, dedicata all'ipocrisia



La Regione sarda, quest’anno, dedicherà “Sa Die de Sa Sardigna” ai migranti. L’ennesima scelta ideologica e disarmante dell’Assessore alla cultura (Sel).

«Sa Die de Sa Sardigna è la festa del popolo sardo che ricorda l'insurrezione popolare del 28 aprile 1794 in seguito al rifiuto del governo sabaudo di soddisfare le richieste dell'Isola (Regno di Sardegna).
I Sardi chiedevano che venisse loro riservata una parte degli impieghi civili e militari e una maggiore autonomia rispetto alle decisioni della classe dirigente locale. Il governo piemontese rifiutò di accogliere qualsiasi richiesta, perciò la borghesia cittadina, con l'aiuto del resto della popolazione, scatenò il moto insurrezionale che si concluse con l’allontanamento da Cagliari del viceré Balbiano e dei suoi dirigenti. Incoraggiati dalle vicende cagliaritane, gli abitanti di Alghero e Sassari fecero altrettanto».

Una storia di atti eroici, ma anche di immani tragedie. Fatti che raccontano una Sardegna ancora da studiare e, talvolta, ancora da scrivere. Aspetti che nulla hanno a che vedere con i migranti e con qualsiasi fenomeno che si allontani dal tema. Aspetto evidentemente non percepito dalla Regione sarda ed in particolare dal suo assessore.

Nessuno aveva mai pensato di usare una ricorrenza storica e culturale così specifica ed importante per affermare l’apoteosi dell’ipocrisia e del qualunquismo. Per radicalizzare la propria ideologia, già sconfitta dalla storia e dalla cronaca.
  
Compito della classe dirigente è quello di contribuire a dare senso alla storia, restituendo ai fatti il giusto peso. “Sa Die de Sa Sardigna” non è una festa di partito e nemmeno una sagra di quartiere. Non è la festa di un centro sociale. Non è nemmeno l’occasione per dimenticare. È una celebrazione del popolo sardo, voluta per ricordare, approfondire, riflettere ed agire.

Il dramma dei migranti è cosa altrettanto seria, affligge i cuori e merita azioni responsabili e rispettose della dignità umana. Ma altri devono essere i momenti di analisi, confronto e soprattutto di azione. Anche perché parlare di chi arriva stremato non basta: bisogna parlare anche di quanti sono partiti e continuano a partire come effetto di una classe politica ampiamente sconclusionata ed incapace di creare opportunità. La stessa che, piuttosto che valorizzare le risorse della Sardegna per trasformarle in vantaggi economici diffusi, continua a fare uso distorto della propria funzione per nascondere i propri insuccessi e per negare il diritto dei sardi a sentirsi nazione.

Si continua ad imporre una ideologia caotica, malsana ed improduttiva: quella, per la cui essenza, sardi e non continuano a scappare alla ricerca di fortuna e libertà. La stessa che si limita a “sconfiggere” la povertà semplicemente dichiarandola illegale, ma scordandosi di agire concretamente per produrre benessere.

sabato 23 aprile 2016

Da Molentargius a Santa Gilla. Altro carrozzone?



Sarà un unico grande parco da Molentargius a Santa Gilla con due obiettivi: rispetto dell'ambiente e creazione di posti di lavoro.
Sono sette i comuni coinvolti: Cagliari, Quartu Sant'Elena, Selargius, Quartucciu, Assemini, Elmas e Capoterra. Sostengono che la Regione debba impegnarsi per la costituzione di un parco regionale più ampio che abbracci anche la Sella del Diavolo e il Colle di Sant'Elia.
Pronti altri 15 milioni di euro da destinare ad una gestione integrata di tutte le potenzialità ambientali, produttive e turistiche del compendio. Una grande sfida, considerato che i parchi notoriamente producono perdite d’esercizio.
Un progetto evidentemente destinato a funzionare solo attraverso continue iniezioni di denaro pubblico. Si desume dalla lettura della progettazione stessa: «la valorizzazione ai fini economici e sociali è rimandata a fase successiva». Insomma, intanto spendiamo, poi si vedrà.
Sarebbe questa la svolta dopo i 120 miliardi di lire spesi per la bonifica, i vari milioni di euro spesi per la manutenzione annuale e il mantenimento dei dipendenti, arrivati sino al top di 35 unità, poi in parte licenziati?
Questo è ciò che accade quando la politica sconfina nelle ideologie riconducibili al socialismo reale, impossessandosi di ciò che non le compete: gestire direttamente i processi economico-produttivi.
Compito delle classi dirigenti, politiche e culturali, dovrebbe essere quello di superare la logica dirigista per favorire la funzione dell’economia sociale di mercato. Così come loro non spenderebbero un centesimo delle proprie risorse nel vuoto, allo stesso modo dovrebbero considerare con rispetto i sacrifici dei contribuenti.
È necessario portare un ordine virtuoso all’interno del sistema. Le istituzioni pubbliche devono assumere il ruolo di autorità regolatrice, senza riservarsi alcuna funzione d'intervento diretto nei processi produttivi, prevedendolo solamente quando questi meccanismi presentano limiti o problemi tali da ritenere necessario e conforme al sistema l'intervento dell'autorità pubblica. L'ordine concorrenziale è di per sé un "bene pubblico" e in quanto tale andrebbe sostenuto e tutelato.

I comuni non devono appiattirsi in una logica storicamente ed economicamente distruttiva, ma agire con spirito cognitivo.

venerdì 22 aprile 2016

Chi ha spostato il mio formaggio?

Continuiamo a fare e rifare le stesse cose e poi ci chiediamo come mai le condizioni non migliorano.


"Chi ha Spostato il Mio Formaggio? - Cambiare se stessi in un mondo che cambia" di Spencer JOHNSON è una bellissima metafora sulla gestione del CAMBIAMENTO.
Spencer Johnson è uno dei pensatori più influenti e uno degli autori più famosi nel mondo. E' ideatore e coautore di One Minute Manager, il più conosciuto metodo di management del mondo. I suoi libri hanno venduto più di 11 milioni di copie e sono stati tradotti in 21 lingue.
In particolare "Chi ha spostato il mio formaggio?" vanta numeri davvero impressionanti: 1 milione di copie stampate nei primi 6 mesi, e 10 milioni nei 2 anni successivi. Amazon.com lo ha dichiarato il best seller n° 1 da sempre.
Johnson è celebre per le sue brevi e profonde "parabole" che aiutano milioni di persone a controllare la propria vita. In "Chi ha spostato il mio formaggio?" 4 simpatici personaggi vivono in un "labirinto" e sono alla costante ricerca di un "formaggio" che li nutra e li faccia vivere felici.
Il formaggio è la metafora di quello che vorremmo avere dalla vita: un buon lavoro, un rapporto d'amore, soldi, salute, serenità d'animo.
Il labirinto è il luogo in cui cerchiamo quello che desideriamo: l'azienda in cui lavoriamo, la famiglia, la comunità in cui viviamo.
I personaggi si trovano a fronteggiare dei cambiamenti inattesi ma il modo in cui li gestiranno li porterà a subire meno stress e ad avere più successo nel lavoro e nella vita.
Il testo spiega come riuscire ad affrontare un difficile cambiamento e come risolvere problemi complessi, fornendo concrete soluzioni.
E' un libro scritto per tutte le età: «la storia si legge in un'ora, ma il suo messaggio dura tutta la vita».
Questa opera ha lo scopo di essere recepita ed APPLICATA alla propria situazione. Anche se il contenuto inizialmente potrà sembrare banale ed infantile, il suo messaggio è sicuramente profondo ed istruttivo.
Lo scopo principale è quello di insegnare ad affrontare il cambiamento.
Il cuore del libro è l'ADATTAMENTO AL CAMBIAMENTO o meglio "cambiare atteggiamento e reagire efficacemente verso un adattamento diverso in modo positivo."
Spesso ci opponiamo al cambiamento perché ne abbiamo paura, tentenniamo e continuiamo a temporeggiare ed indugiare.
La storia è divertente e istruttiva: i 4 protagonisti sono 2 topolini semplici e intuitivi (Nasofino e Trottolino) e 2 gnomi razionali e contorti come gli esseri umani (Tentenna e Ridolino).
Nasofino intuisce il cambiamento in anticipo, Trottolino agisce velocemente, Tentenna esita sempre e temporeggia, Ridolino ride di se stesso e pensa positivo: quindi dobbiamo assomigliare di più a Ridolino e di meno a Tentenna.
Essi vivono in un labirinto (rappresenta il loro habitat ed area di comfort) e decidono, dopo varie discussioni e peripezie, di uscirne fuori alla ricerca di ciò che potrà garantirgli la sopravvivenza.
La storia è ricca di metafore: il labirinto è la nostra zona di comfort da cui non si vorrebbe mai uscire, il formaggio rappresenta il lavoro, il successo, l'amore e tutto ciò che potrà rendere la vita felice ed appagante. I curiosi nomi dei 4 personaggi rappresentano sinteticamente le paure e le speranze di chi si appresta ad affrontare un cambiamento da loro non cercato e non voluto, ma imposto dalla necessità.
Il libro non contiene concetti rivoluzionari ma ci dice cose che dovremmo già sapere, ma che, quando ci troviamo in una situazione in cui qualcuno o qualcosa ha spostato il nostro formaggio, non abbiamo la lucidità di considerare.
Certo, non per tutti è così. Ci sono le persone "istintive" che, come Nasofino, sentono arrivare i cambiamenti in anticipo e che sono pronte a reagire prima che gli eventi li costringano a farlo.
Ma ci sono anche molti che, come Tentenna, non guardano in faccia la realtà e, schiavi delle abitudini e dei preconcetti, rimangono infangati in situazioni compromesse, ostinandosi a sperare che qualcosa, prima o poi, cambierà.
Poi ci sono quelli come Ridolino che sono timorosi, non hanno la sensibilità di Nasofino, nè l'energia di Trottolino e che rischiano di farsi condizionare dai tipi come Tentenna.
Così esitano, limitati dalla paura di guardare fuori nel labirinto, ma, se stimolati, riescono a prendere un po' di coraggio e finalmente si muovono e si riscoprono ancora capaci di partire alla ricerca del loro "nuovo formaggio".
Che cosa fareste se non aveste paura? Talvolta alcune paure possono essere positive: se temiamo che in assenza di provvedimenti una certa situazione possa peggiorare, è probabile che questo timore ci spinga ad AGIRE con maggiore prontezza. Ma se la paura è così forte da impedire qualunque iniziativa, allora diventa negativa e quindi dobbiamo demolirla definitivamente.
Il modo migliore per affrontare il cambiamento è ANTICIPARLO, seguire una direzione nuova: quando deciderai di esplorare nuove direzioni, supererai le tue paure e sicuramente ti sentirai "LIBERO DI AGIRE".
Comincerai a considerare i vantaggi perché capirai che qualsiasi cambiamento sarà un'OPPORTUNITA' per migliorare.
Quanto più rapidamente abbandonerai il vecchio "formaggio", tanto prima gusterai quello nuovo. E' meno pericoloso affrontare il "labirinto" che rimanere fermi senza formaggio.
"SE NON CAMBI RISCHI DI SCOMPARIRE. Quando ti muovi oltre le tue paure ti senti libero. Le vecchie convinzioni non ti portano al nuovo formaggio. Le cose non migliorano se non CAMBI TE STESSO."
Non appena avrai imparato a SORRIDERE DI TE STESSO e dei tuoi errori, guarderai con IRONIA ai tuoi cambiamenti e passerai all'AZIONE, la tua vita non sarà più complicata, e quindi sarai in grado di ADEGUARTI più rapidamente ai cambiamenti.
Otterrai sicuramente nuove opportunità di crescita e riuscirai a migliorare la tua visione della vita in maniera più decisa, deridendo il tuo passato stagnante e negativo.
Il cambiamento E' INEVITABILE: ci sarà sempre qualcuno che sposterà o ti fregherà il formaggio. Quindi ora riassumo i concetti fondamentali espressi da Spencer Johnson:
- "PREVEDI il cambiamento (sii sempre pronto quando il formaggio viene spostato);
- Controlla il cambiamento (quanto più rapidamente abbandonerai il vecchio formaggio, tanto prima gusterai quello nuovo);
- CAMBIA (spostati con il formaggio);
- APPREZZA il cambiamento, assapora il gusto dell'avventura e goditi le delizie del nuovo formaggio;
- Sii pronto a cambiare (cambia con gioia, ma rapidamente: ci sarà sempre qualcuno che sposterà il tuo formaggio)." Quindi non farti fregare! :-)
È la fine o un nuovo inizio? Sarà sicuramente un nuovo inizio. Provare per credere! Diventerete golosi delle delizie che la vita vi offre su un "piatto d'argento" (io direi anche d'oro). Sarete serviti con i "guanti gialli"! Ai buongustai l'ardua sentenza... :-)
Questa metafora straordinaria, ricca di idee simpatiche e divertenti, sdrammatizza la complessità della vita e la rende "appetitosa" ed alla portata di tutti. Gustate tutte le portate che la vita vi offre, senza fare indigestione (siate equilibrati e determinati).
Vi auguro di cuore di assaporare il piacere della scoperta e ricordate sempre: MUOVETEVI CON IL FORMAGGIO E GODETEVELO!"
(R. Ciruolo) 



giovedì 21 aprile 2016

La politica sarda difenda l'economia con regole certe


È compito delle forze politiche e sindacali, nonché delle associazioni dei consumatori concorrere - uniti - alla promozione di una legislazione Antitrust Sarda, autonoma da quella italiana, dimostratasi inefficace e parziale nell'assicurare la difesa della libera concorrenza, la valorizzazione della territorialità dell’impresa e la tutela dei consumatori sardi. Una esigenza fondamentale la cui istituzione non potrà essere elusa dalle sempre più necessarie grandi riforme istituzionali, come la riforma dello Statuto Autonomo Regionale e i suoi poteri in materia di fiscalità.

Energia, Trasporti, Assicurazioni, Telefonia, Credito, Poste, Agroalimentare, grande distribuzione commerciale ed altro necessitano di una nuova e più specifica normativa accompagnata da una Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato in grado di monitorare e disciplinare la correttezza degli operatori presenti nell'Isola. Contrastare l'abuso delle posizioni dominanti significa consentire l’abbattimento dell’eccessivo costo dei servizi e favorire il miglioramento qualitativo e quantitativo degli stessi, azzerando gli abusi sui consumatori.

La Sardegna paga uno dei prezzi più alti in termini di competitività, di qualità della vita e dei servizi presenti nel mercato isolano. Siamo culturalmente imprigionati nella morsa di un centralismo amplificato da una classe dirigente che stenta a ragionare nell’interesse prioritario della Sardegna. L’idea di continuare a risolvere ogni deficienza del mercato attraverso il ricorso all’intervento pubblico crea ulteriore clientelismo, inefficienza e assistenzialismo, riducendosi in una grave e perdurante dissipazione delle tasse pagate dai contribuenti.

La politica, ad ogni livello istituzionale, ha il dovere di prendere nella dovuta considerazione tale materia per evitare, in futuro, il ripetersi di esempi come quelli nel settore dell'energia o sui Trasporti, a seguito della oligopolistica privatizzazione di servizi di rilevanza strutturale per i sardi. Ciò anche per evitare il proliferare di dannosi carrozzoni perché la soluzione sta nel definire regole chiare e sanzioni severe contro eventuali cartelli per stimolare la concorrenza dei servizi a prezzi più vantaggiosi.
La sovranità non si delega, si esercita.

mercoledì 20 aprile 2016

Zona Franca. La Regione delibera ciò che non serve.

Con Decreto del Consiglio dei Ministri presieduto da Romano Prodi del 10 marzo 1998 nr. 75, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 7 aprile 1998 nr. 81, sono stati autorizzati sette Punti Franchi (Cagliari; Portovesme; Portotorres; Arbatax; Oristano-Ottana ed Olbia) che, però, non sono mai stati istituiti.
Sono trascorsi ben 18 anni di inerzie che hanno impedito alla Sardegna di offrire nuove ed avvincenti opportunità economiche. Anni in cui si è combattuto con forza la vertenza entrate con lo Stato. Si è chiesto ripetutamente presenza e sostegno pubblico a fronte degli innumerevoli drammi che affliggono la Sardegna. Poco e niente si è fatto per rendere produttivo ciò che è invece a portata di mano e che rientra nei compiti della Regione, delle province e dei comuni. Sono trascorsi 18 anni e non si è stati capaci di delimitare le aree dei Punti Franchi autorizzati, impedendo di avviarne la loro operatività per produrre crescita e sviluppo.
È noto che i vantaggi di tali Punti Franchi riguardano la fiscalità di vantaggio come la riduzione del costo dell’energia, quindi maggiori opportunità per gli investimenti. In questi anni trascorsi inutilmente, tante aziende hanno abbandonato la Sardegna attratti da ambienti economici e sociali più vantaggiosi. Altre non si sono mai insediate. È la regola dell’economia: si investe dove conviene. Per citare un esempio concreto, un noto marchio di ciclomotori agli inizi degli anni 2000 guardò alla Sardegna per investire nel “costituendo” Punto Franco di Cagliari, ma sono dovuti andar via stanchi di attendere una risposta istituzionale. Se i Punti Franchi fossero stati attuati, tante aziende non avrebbero chiuso e altre avrebbero trovato convenienza ad investire. Nel frattempo, migliaia di operai continuano a vedere solo lo spettro della disoccupazione.
Continuiamo ad addebitare allo Stato ogni nostro malessere, senza mai chiederci dove abbiamo sbagliato, quali siano state le nostre omissioni e quale sia il nostro progetto per la Sardegna di oggi e di domani.
È di questi giorni la novità (già anticipata dal Presidente Pigliaru) di procedere all’attuazione dei Punti Franchi. Peccato che siano stati presi “fischi per fiaschi”.
Infatti, la Regione sarda stravolge il contenuto del Decreto 75/98 e scambia i Punti Franchi in Zone Franche non Intercluse. In altri termini, sceglie di non definire le aree in base al Codice Doganale Europeo, declassa l'autonomia regionale speciale a quella di una regione a Statuto ordinario ponendosi in concorrenza diretta con Taranto che già opera con una soluzione simile senza creare alcun valore aggiunto e nessun elemento economico attrattivo.
Un fatto grave che lascia inalterate le difficoltà a richiamare investimenti internazionali certamente più interessati a delocalizzare in vere zone franche. Inutile, i primi a volere disoccupazione e conseguente assistenzialismo è la classe dirigente. Si tarda a capire che il futuro della nostra economia non è la riaffermazione del feudalesimo. Esso va ben oltre gli annunci, l’ordinaria amministrazione e la chiusura interistituzionale.

Riportiamo l’intervento integrale di Mario Carboni:

«Le delibere della Giunta Pigliaru hanno calpestato i suoi diritti autonomistici, la speranza in un progetto lungamente desiderato, sfregiata, beffeggiata e infine negata.
E i sardi che l'hanno voluta, hanno lottato decenni, presi in giro.
Non si doveva realizzare l'antico sogno sardista, e al quale nessuno rinuncia, di una zona franca fiscale e doganale definita dalle coste dell'Isola e a disposizione di tutti, ma solamente una tappa intermedia raggiunta con tanti sforzi con finalmente l'applicazione del decreto legislativo 75/98 che ha istituito le zone franche a Cagliari, Portovesme, Oristano, Porto Torres, Olbia e Arbatax.
Con Cagliari già definita anche se parzialmente da un successivo decreto del 2001, si dovevano perimetrare le altre e dare contenuti indispensabili, inviando al Governo le decisioni per i successivi decreti attuativi.
Si è invece deciso di non perimetrare, di non ritagliare, di non definire le aree come prescrive il Codice doganale Europeo, cioè delle VERE zone franche doganali.
Si è scelto di deliberare delle cosiddette "zone franche non intercluse", cioè un insieme di depositi doganali, come ad esempio a Taranto, che così si sono dovuti ingegnare non avendo la Puglia come noi, la previsione dei punti franchi nel loro Statuto regionale.
Si è dato un calcio allo Statuto sardo e alle potenzialità solo nostre per allinearsi ad un disegno romano che questa scelta ha fatto per tutti, anche per noi sardi come se fossimo in una regione a Statuto ordinario e non un isola, con ben altre ragioni e diritti.
Non hanno delimitato nulla, come era loro preciso dovere,ma si sono inventati una "delimitazione virtuale" a strisce colorate dipinte per terra.
Non avendo delimitato nulla, nulla dovrebbero inviare al Governo, che questo aveva chiesto col Decreto 75/89.
Infatti il Governo a nulla serve a realizzare delle zone franche non intercluse, perché non deve attuare nessun Statuto ma non serve neppure la Regione, dato che per questa soluzione basta interessare l'Agenzia delle dogane, che come a Taranto è bastata con proprie decisioni per farla partire.
Per attuare il nostro Statuto e quindi per far emanare i successivi singoli decreti previsti per le 5 zone franche sarde rimanenti , oltre alla cagliaritana già delimitata , dalla 75/98 , serve l'operatività della Commissione paritetica per le norme d'attuazione dello Statuto speciale per la Regione Sardegna, all'interno della quale e con successivi passaggi si arriva a concordare i testi che saranno emanati dal Governo.
Questo percorso sembra stato saltato dalla Giunta ed il motivo è semplice, il contenuto deliberato non riguarda delle vere zone franche bensì dei depositi franchi che sono un'altra cosa rispetto alle Zone Franche Doganali.
C'è anche da osservare che le zone franche non intercluse, dal 1 giugno 2016 non saranno più permesse perché scade la proroga prevista dall'ultimo Codice doganale comunitario e quindi non si rischia ma è certo che le zone franche non intercluse sarde non inizieranno neppure a vagire.
Certo tutto è possibile, anche che il codice venga cambiato ma è molto difficile che accada.
Accadrà nella migliore delle ipotesi che il passaggio successivo da molti auspicato da zona franca doganale a zona franca fiscale o Free zone non potrà realizzarsi e quindi l'attirare capitali e conoscenze e imprese dall'esterno, oltre che il protagonismo dell'imprenditoria locale non avverrà.
Queste se ne andranno nelle vere zone franche intecluse che circondano la Sardegna e spuntano in Europa come funghi, mentre noi rimarremo impiccati all'assistenzialismo statalista, cioè all'inedia e alla disoccupazione.
La scelta della Giunta si è concentrata su Olbia e Portovesme-Sant'Antioco, dimenticando le altre.
In queste due zone sono previste zone franche non intercluse e quindi parafrasando Lussu nel suo giudizio sull'Autonomia ottenuta e diversa da quella richiesta, ci si aspettava dalla Giunta non il leone della zona franca integrale, ma almeno il gatto della zona franca doganale interclusa, abbiamo avuto in regalo invece il topo della zona franca non interclusa e per giunta condannato a morte. La sentenza sarà eseguita dal 1 Giugno 2016.

Bisogna rimboccarsi le maniche e continuare nella lotta per la zona franca sarda sino a quando non si otterrà nella sua interezza, per questo serve unità d'intenti e non mollare mai».

SìAmo Assemini, la rete dei comitati