sabato 24 settembre 2016

Sbornie e vacanze parlamentari assicurate a spese nostre

Laura Boldrini, Presidente della Camera (Sel)


«Stipendi d’oro, rimborsi generosi, pensioni ricche e per duemila fortunati pure il vitalizio. Ma deputati e senatori possono contare anche su una super assicurazione», scrive Alberto Di Majo su La Stampa. Naturalmente a spese di noi cittadini.

«La convenzione  - continua Di Majo - è stata stipulata tra la Camera e la società Generali due anni fa e sarà valida fino al 31 marzo del 2017. Ogni anno la Camera paga poco più di 1.200.000 euro per assicurare gli onorevoli. Di questi, più di 340 mila euro sono a carico degli italiani. Gli altri 862 mila sono coperti dal fondo di solidarietà per i deputati che è sulle spalle dei singoli eletti a Montecitorio». Che comunque paghiamo noi.

La polizza copre l’invalidità permanente da infortuni o malattia e l’eventuale morte dei deputati. Per quest’ultima il capitale assicurato per ciascun onorevole è stabilito in questo modo: 400 mila euro per quelli che hanno un’età tra i 25 e i 39 anni, 325 mila euro per la fascia 40-49 anni, 285 mila per quella 50-59 anni, 245 mila euro per i deputati che hanno da 60 a 65 anni e, infine, 200 mila euro per quelli che hanno 66 anni o più. “L’assicurazione - spiega l’articolo 6 della convenzione - copre i rischi di morte degli assicurati qualunque ne sia la causa determinante - oggettiva e/o soggettiva - prescindendo del tutto da franchigie temporali e da dichiarazioni o documentazioni sanitarie in ordine allo stato di salute degli assicurati medesimi”.

«Gli eventuali eredi dello sfortunato onorevole - spiega il giornalista - avranno il capitale previsto in caso di morte anche se “il corpo dell’assicurato non venga ritrovato e si presuma sia avvenuto il decesso”. L’assicurazione vale anche per gli infortuni gravi degli onorevoli sia nell’esercizio delle loro funzioni, “sia nello svolgimento di ogni altra attività che non abbia carattere professionale, avvenuta in qualunque circostanza senza riguardo al tempo, al luogo ed ai mezzi”. La polizza fa degli esempi di possibili infortuni che potrebbero accadere agli assicurati-deputati: asfissia, avvelenamento, intossicazione, affogamento, colpi di sole o di calore, da assideramento, malattie tropicali e anche, non si sa mai, “punture e morsi di animali”».

Scrive Di Majo: «i deputati possono stare tranquilli, la polizza copre pure i danni subiti “in stato di ebbrezza” e quelli “imputabili a colpa grave dell’assicurato stesso o del beneficiario”. Insomma, anche se l’onorevole, come si dice, se l’andasse a cercare, sarebbe assicurato. Per l’invalidità permanente da infortunio il capitale è stabilito in poco più di 516 mila euro. Quello, invece, per invalidità permanente da malattia è di 258 mila euro».

Per carità, tutti i parlamentari possono avere un’assicurazione, ci mancherebbe. Ma non potrebbero pagarla interamente da soli? La risposta è No!

Durante la seduta di bilancio è stato presentando un ordine del giorno che chiedeva all’Ufficio di presidenza e al Collegio dei questori di “valutare l’opportunità di prevedere che gli oneri relativi alla predetta convenzione assicurativa siano integralmente sostenuti dai deputati”. La larga maggioranza dell’Aula ha votato contro. Eppure i 280 milioni di soldi pubblici che i deputati dei partiti incassano ogni anno, tra stipendi, rimborsi e vitalizi dovrebbero bastare. 

venerdì 23 settembre 2016

La classe dirigente è la causa della povertà economica e culturale



Cresce il numero delle aziende che si mettono al riparo dal fisco vorace italiano. Altre, si chiedono ogni giorno se è arrivato il momento di fare le valigie.

Un fatto naturale, indotto da uno Stato sempre più centralista, guidato da una classe dirigente ampiamente qualunquista e autoreferenziale.

Gabriele Fava, giuslavorista e legal advisor, di capitani d'azienda al «bivio della delocalizzazione» ne ha conosciuti molti: «sia chiaro, nessuno decide di lasciare il nostro Paese a cuor leggero. Spesso è una scelta dolorosa, ma inevitabile. L'alternativa è chiudere e ritrovarsi col piattino in mano. D'altronde cosa si può argomentare di fronte a chi reclama più redditività e meno oppressione fiscale?», esordisce l’Avvocato.

Intervistato da Giacomo Susca, Avvocato Fava, precisa che «quelle di cui si parla sono realtà medio-grandi, dai 100-200 dipendenti fino ai 10mila. Imprese in salute del settore metalmeccanico, dell'energia o dei servizi, che possono permettersi di spostarsi all'estero senza maggiori rischi».

Del resto, come sostiene Nicola Porro, gli imprenditori non sono i responsabili di una Onlus. Hanno lo scopo di realizzare profitti e operano laddove le condizioni consentono di essere competitivi e di crescere. Assumono solo se le prospettive sono positive. «Ci sono Paesi che accompagnano nel business passo per passo - aggiunge Fava - e fanno di tutto per averti. L'Italia ormai non è certo tra questi».

Allora conviene scappare. «Mica tanto lontano - precisa Fava -  altrimenti la logistica sarebbe un problema. I nuovi paradisi delle imprese si trovano a un'ora, un'ora e mezza al massimo di aereo da Roma: Olanda, Paesi scandinavi, Polonia, Portogallo. E nell'ultimo periodo il vero boom è verso la Tunisia, l'Albania, la Serbia, posti in cui la manodopera parla anche italiano».

Trattasi di Paesi a «fiscalità eccezionale», basso costo del lavoro (in Italia la gabbia è insopportabile), burocrazia inesistente, finanziamenti statali, dialogo trasparente con le istituzioni.

«Per capirci - sostiene Fava - in Tunisia il governo ha previsto per chi avvia un'attività 10 anni di esenzione fiscale totale, più 10 anni di esenzione dagli oneri previdenziali. Il costo del lavoro è pari a 2,5 euro all'ora per 40 ore settimanali. Il costo dell'energia è inferiore del 70% rispetto all'Italia. A Tirana, l'affitto di un locale commerciale di 1.500 mq costa non più di 1.500 euro al mese. E ancora in Albania, ci vogliono 48 ore per costituire una S.r.l. con capitale sociale minimo di 5mila euro. Altro che la giungla delle scartoffie a cui siamo abituati dalle nostre parti».

Eppure la politica non manca di promettere impegno per salvaguardare l'italianità delle produzioni. Ma per Fava: «sono sempre di più quelli che partono. E non si tratta solo delle delocalizzazioni, bisognerebbe aprire un capitolo a parte sulle start-up dei talenti italiani che emigrano all'estero. Negli ultimi due anni il fenomeno è addirittura aumentato. «Questa crisi dura da 8 anni. Anzi, non è più una crisi: la situazione sembra patologica».

Eppure invertire il tracollo è possibile. «Gli imprenditori - dichiara Fava - chiedevano riforme organiche nel nostro Paese, ma non sono state fatte. Il governo si è limitato a una caterva di pannicelli caldi per tamponare qua e là. Lo stesso Jobs Act ha funzionato fin tanto che ci sono stati gli indennizzi, poi man mano che sono andati a ridursi anche i risultati si sono sgonfiati. Il mercato del lavoro non si crea con iniezioni di danari estemporanee, servono interventi strutturali».

Per fermare l'emorragia, oltre all’auspicata lotta alla corruzione, ci vuole altro. Secondo Fava: «agli imprenditori, più che il numero dei futuri senatori di Palazzo Madama, interessano le misure che hanno un impatto concreto sui bilanci. Per convincerli a restare ci vorrebbe un mercato del lavoro dinamico, flessibile, fiscalmente equo, a burocrazia ridotta, in cui si dia più valore alla contrattazione aziendale. E dove il pubblico sia al fianco dei privati per creare ricchezza, non per tormentarli con vincoli ottusi e stangarli con tasse insostenibili».


Naturalmente, i politicanti continuano ad aumentare i loro sconci privilegi. Hanno spese … e poi, non sono mica «l’ultima categoria di metalmeccanici!»

Olimpiadi. Tutta l’inaffidabilità dei partiti, dei leader e dei loro pappagalli



«Abbiamo ritenuto di dover essere molto responsabili in questo momento della vita italiana», scandiva il Presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Monti, il 14 febbraio 2012. Concetto ripreso e sostenuto dall’ampia maggioranza parlamentare (al Senato: 281 voti favorevoli, 25 contrari e nessun astenuto; alla Camera dei deputati: 556 voti favorevoli, 61 contrari e nessun astenuto) che unita definiva la scelta di non candidare Roma alle Olimpiadi come «responsabile e non di sfiducia».
«Non pensiamo sarebbe coerente impegnare l’Italia in quest’avventura che potrebbe mettere a rischio i denari dei contribuenti», rimarcava Monti con il sostegno dei leader opportunisti dei partiti della maggioranza trasversale di allora che andava da sinistra a destra, passando per il centro.

Mario Monti spense così il sogno di candidare la Capitale perché il governo non intendeva garantire la copertura finanziaria destinata statisticamente e mediamente ad incrementi di costo del 170% rispetto a quelli preventivati.

«Abbiamo esaminato il progetto con grande attenzione sia nelle sue parti generali, sia nella molto approfondita analisi economica – disse Mario Monti in conferenza stampa – Il Comitato olimpico internazionale richiede che ci sia anche una lettera del Capo del governo che faccia assumere al governo stesso un impegno di garanzia finanziaria. Il governo deve impegnarsi a coprire ogni eventuale deficit. Il nostro governo ha riflettuto profondamente su questo aspetto e dopo una discussione approfondita e sofferta siamo arrivati alla conclusione unanime – è l’annuncio dell’esecutivo – che il governo non si sente, non sarebbe responsabile di assumere questo impegno di garanzia. Abbiamo dovuto essere responsabili, non ce la sentiamo di prendere un impegno finanziario che potrebbe gravare. Non pensiamo sarebbe coerente impegnare l’Italia in questa garanzia che potrebbe mettere a rischio i denari dei contribuenti».

Sul No del governo hanno pesato anche altri due fattori: «l’intento di evitare che la “percezione” positiva faticosamente guadagnata presso mercati e istituzioni Ue sia messa in dubbio e il “piano di rientro” molto “esigente” richiesto dall’Europa sul fronte del debito pubblico».

La scelta dell’esecutivo è stata dettata da due motivi principali: «crisi economica ancora in atto e incertezza sui reali costi dell’impresa». Il riferimento è ad Atene 2004 e Londra 2012: «le Olimpiadi hanno comportato conseguenze negative altissime per l’economia del Paese ellenico, mentre per i Giochi di Londra i costi sono già raddoppiati». Condizioni, queste, che hanno indotto Mario Monti e la sua larga e trasversale maggioranza a «perdere un’occasione da novanta per lo sviluppo italiano pur di non correre il rischio di trovarsi tra le mani una patata bollente che rischia di vanificare l’azione del governo».

Insomma, che al peggio non vi sia limite si sapeva, ma che ora questi politicanti si ergano pure a cattedratici sarebbe persino esilarante se non fosse che sono stati e continuano ad essere la principale causa dei nostri mali.  

giovedì 22 settembre 2016

Zedda vuole le Olimpiadi? Apra il suo portafogli.



La Raggi, coerentemente alla sua campagna elettorale, ha detto ufficialmente NO alla candidatura di Roma per le Olimpiadi del 2024. Anche i cittadini hanno già detto NO. Eppure l’ennesima sceneggiata all’italiana va in onda con tutto il suo impeto tragicomico. 
In Sardegna a vestire i panni del paladino pro Olimpiadi è il Sindaco del Capoluogo che intravede in questa posizione un’occasione di rilancio dell’economia e dell’immagine di Cagliari e della Sardegna, incurante del fatto che il settore pubblico è talmente corrotto e inefficiente che ci mancano soltanto i finanziamenti pubblici per un mega evento come le Olimpiadi per distruggere definitivamente quel poco che ancora sopravvive.
Si potrebbe, però, riproporre la questione in un’altra prospettiva, già sollevata in passato da Carlo Lottieri.  Se il Sindaco di Cagliari ritiene che l’idea delle Olimpiadi sia buona, immagino abbia valutato tecnicamente che i costi siano oggettivamente inferiori ai benefici. Perché se così è sarebbe bene che tutto questo venisse finanziato da chi crede in questa iniziativa e non da chi è contrario o indifferente.
Sostanzialmente, il Sindaco di Cagliari, “metta mano al suo personale portafoglio e giochi i suoi 50/100 mila euro. Perché se il progetto è davvero interessante, troverà sicuramente tanti altri capitali privati ben più consistenti e imprese private di cospicue dimensioni che lo seguiranno per dare corpo al progetto per costruire stadi, infrastrutture e tutto quello di cui c’è bisogno”.

Del resto, le uniche Olimpiadi che hanno prodotto utilità e produttività reale sono state quelle di Atlanta, in America. Un vero affare per le società private che organizzarono e gestirono il tutto, senza gravare minimamente sulle tasche dei cittadini. Anzi, i cittadini ci guadagnarono. Inoltre, sarebbe il primo caso italiano di spartizione/ripartizione della torta senza ripercussioni penali.

Lo Stato vara le leggi e le disattende




L’Anci Sardegna chiede più fondi per sostenere le politiche migratorie, da sempre improntate sull’emergenza e, dunque, sulla confusione e sulla mercificazione dell’individuo. Però, i sindaci, dimenticano di pretendere che lo Stato rispetti le leggi che definiscono tempi e metodi certi per il riconoscimento, la concessione del diritto di permanenza o l’obbligo di respingimento.

Chiedere più fondi induce a percepire che la politica continua a non avere convenienza a governare seriamente il problema, piuttosto a continuare a gestire l’emergenza con evidente dissipazione di risorse in sottogoverno.


Uno Stato che pretende il rispetto delle leggi, ma che - nelle sue burocratiche articolazioni - non le rispetta dovrebbe essere giudicato da un Tribunale internazionale.  

sabato 17 settembre 2016

Mobilità sostenibile, Assemini prema sull'acceleratore


Pedonalizzazione delle principali arterie a vocazione commerciale, sperimentazione dell’inversione del senso di marcia della via Cagliari, abbattimento delle barriere architettoniche e dotazione di bici al Corpo della Polizia Locale. Sono queste le proposte che il Comitato Civico “ViviAssemini” ha trasmesso all’assessore alla sostenibilità ambientale, Gianluca Mandas.

Abbiamo trasmesso una lettera all’assessore Mandas per ringraziare dell’invito a partecipare all’interessante appuntamento fissato per lo scorso venerdì, finalizzato al confronto sulla programmazione svolta e in fase di svolgimento delle azioni politiche di sostenibilità ambientale. Lettera con la quale abbiamo voluto rimarcare che il tema della Mobilità Sostenibile, negli ultimi tre anni, ha finalmente trovato spazio nel dibattito politico con continuità e sinergia. Inoltre, abbiamo voluto esprimere la funzione del Comitato “ViviAssemini”, proponendo:

-   di elaborare un progetto partecipato per attuare una progressiva, equilibrata e funzionale pedonalizzazione delle principali arterie a vocazione commerciale;
-    di elaborare un progetto partecipato per attuare la sperimentazione, a decorrere dal mese di luglio-agosto 2017, dell’inversione del senso di marcia della via Cagliari;
-        di accelerare l’avvio dei lavori per l’abbattimento delle barriere architettoniche;
-        di assegnare in dotazione le biciclette al Corpo della Polizia Locale.

Tali proposte sono una parte della sintesi del progetto di vivibilità, sicurezza, crescita e sviluppo che “ViviAssemini” ha già in altre occasioni avuto modo di esprimere e fanno seguito anche ai temi della qualità dell’aria già affrontati qualche mese fa e già in fase di attuazione.