sabato 30 giugno 2018

GENERAZIONE ERASMUS E MONDIALISMO






Apologia della mobilità illimitata, accettazione passiva del precariato, rinuncia ad ogni forma di identità: 'Generazione Erasmus', edito da Oaks Editrice, è un utile compendio per districarsi nelle brutture del libero mercato e dei suoi avidi fiancheggiatori.
      
Il volume a firma di Paolo Borgognone, pubblicato lo scorso anno per i tipi di OAKS, dal titolo Generazione Erasmus, è un vero compendio filosofico attinente la società di “libero mercato” e i suoi avidi fiancheggiatori. Ponendo al centro della trattazione l’esperienza dei giovani universitari che si recano all’estero per un periodo di studio, delinea con ricchezza di particolari quei processi che hanno condotto inesorabilmente alla costruzione della moderna società “liquida”: il totalitarismo nichilista del consumo; il giovanilismo come apologia della mobilità illimitata e accettazione passiva del precariato; il nuovo conflitto di classe post-moderno fra vincitori e vinti della globalizzazione; il genderismo come rinuncia alla propria identità anche nella sfera sessuale; il Sessantotto come controrivoluzione ultra-capitalista. Nella seconda parte, non mancano acute analisi geopolitiche.

Stando ai contenuti strettamente filosofici, osserviamo che il risorgere dell’interesse per il pensiero di Hegel e Marx nell’ultimo decennio ha un’importanza rilevante in relazione ai problemi sorti con l’evoluzione del capitalismo dopo il 1989 e dell’economia post-moderna; in effetti, siamo di fronte ad un’opera pregevole, concepita da un giovane studioso, che si inserisce in un più ampio circuito di ripensamento del ruolo della politica e dello Stato nei confronti dell’economia, della comunità di fronte all’individualismo, delle radici tradizionali contro il mondialismo dell’omologazione planetaria.

Invero, quando la società nel suo complesso tende a divenir preda di scopi “particolari”, frammentandosi in una pletora di confuse mire egoistiche, la missione delle istituzioni statali deve concretizzarsi nell’orientare la collettività verso un destino universale. Una comunità politica è propriamente tale quando è in grado di opporsi agli eccessi della “società civile”; in altre parole, sebbene permetta l’esistenza del “mercato”, lo Stato – nella sua configurazione moderna e “nazionale” – deve costituire un argine alla capacità degli interessi capitalistici di dominare e permeare la vita ordinaria nel suo complesso. Le moderne società a economia di mercato sono caratterizzate proprio da questa patologia: l’attività economica – signoreggiata dai grandi industriali e dalla speculazione finanziaria tramutata in “dittatura dei mercati” – diventa la logica dominante delle relazioni sociali, influenza ogni campo della dimensione pubblica, senza alcun freno; predispone quindi la collettività, con tutti i suoi mezzi, a realizzare gli interessi materiali ed etici di un ristretto segmento di essa.

In un tale quadro, il progetto Erasmus, artefice dell’omonima “generazione”, è lo strumento per addomesticare e catechizzare le moderne plebi, illudendole di poter vivere in una movida permanente, annunciando loro che il mondialismo – piuttosto che servitù morale ed economica – è divertimento sfrenato e consumismo illimitato. Sia chiaro: non si tratta di essere contrari all’idea di un’economia di mercato o della possibilità che giovani studenti dalle brillanti capacità possano perfezionarsi attraverso un’esperienza in un altro Paese europeo; piuttosto, occorre criticare fermamente la tendenza della sfera economica a colonizzare ogni ambito delle relazioni sociali, a degradare ogni più alto e nobile scopo. La libertà civica si deteriora in un ambiente saturo di atomismo competitivo; la società civile e il sistema dei bisogni richiedono l’esistenza dello Stato al fine di prevenire questo tipo di malattia sociale, che gli individui siano guidati dalla ricerca del proprio tornaconto a spese degli interessi più ampi della società nel suo insieme. Il capitalismo moderno – inoltre – si caratterizza non solo dalla logica onnipervasiva dello scambio e dal perseguimento di utilità particolari a spese della generalità, ma dalla circostanza che un piccolo gruppo di interessi privati siano in grado di organizzarsi per sottomettere e indirizzare, nel proprio interesse, il potere politico, la cultura accademica, i mezzi di comunicazione di massa – a discapito degli interessi universali della società.

A favorire questi sviluppi, scorgiamo il sostegno del ceto intellettuale, dentro e fuori le università; quei giornalisti e professori “di sinistra” che hanno il compito di fornire giustificazione nobile, colta e morale allo scempio in atto. Non è semplice conferire una parvenza di scientificità e rispettabilità alle idee dominanti, che si traducono in prassi di pauperizzazione e sradicamento della classe lavoratrice. Da qui, l’irrimediabile allontanamento dal favore dei popoli, i quali sono continuamente dileggiati per i loro stili di vita, per i modi di pensare e per le loro frequenti manifestazioni di dissenso verso il modello globalista di delocalizzazione e precarizzazione della forza-lavoro. A compensare la perdita dei diritti sociali, inoltre, si assiste allo sbandieramento di finte “conquiste” nel campo dei diritti civili, dell’emancipazione sessuale, della licenziosità spacciata come progressismo libertario.

Organizzatosi dapprima come nuovo schema di produzione e distribuzione delle merci, di ristrutturazione del lavoro e ripartizione della proprietà, il capitalismo diventa sempre più un’istituzione sociale, un elemento naturale come l’aria che respiriamo; si impone come regolatore di relazioni, ha la capacità di ri-orientare le logiche funzionali di tutti gli organismi (economici e non). Se i rapporti di mercato incontrollati sfociano nella frammentazione della società, il capitale è in grado superficialmente di superare questa scissione, ostentando un falso universale: la ricerca del profitto, la moda del consumo, la frenesia dell’apparire – sono tutte logiche che giungono a permeare ogni recesso della società moderna. Il compito dello Stato nazionale, lo ribadiamo, consiste dunque nell’incorporare le forme subordinate di vita sociale – la famiglia, la società civile, i “corpi intermedi” – in una totalità più elevata, in cui gli agenti razionali saranno in grado di identificare consapevolmente l’universale e conseguire così la piena libertà. Se esso invece si confonde o deriva in ultimo dalla “società civile”, e se il suo fine specifico coincide con la garanzia della sicurezza personale e della protezione della proprietà privata, allora gli interessi individuali, in quanto tali, diventano il fine supremo dell’associazione umana; ne consegue che l’appartenenza alla comunità politica è qualcosa di opzionale e revocabile.

Nei regni della famiglia e della società civile, gli individui non sono in grado di riconoscere e cogliere integralmente la natura oggettiva della loro libertà come esseri sociali, al di là dei ruoli “parziali” che ricoprono nei rapporti della vita ordinaria – come genitori, figli, lavoratori, consumatori e così via. In questo senso, il particolare si oppone all’universale in quanto non è in grado di vedere se stesso come un momento del tutto; pertanto, quelle strutture sociali, istituzioni politiche, usi e costumi che non sono capaci di orientare le attività degli uomini verso obiettivi universali (e comuni) non possono soddisfare il criterio della loro razionalità naturale. Veniamo a comprendere, in fin dei conti, che siamo esseri sociali e politici, che siamo parte di un tutto coerente, che il nostro territorio individuale – le nostre personalità, le nostre pulsioni, il nostro senso del dovere – ottiene esauriente compimento, in questo mondo, una volta attualizzate le nostre relazioni con gli altri, anche grazie alle istituzioni politiche che hanno il compito di mediare le varie connessioni. Credere – seguendo la struttura neoliberale – che gli individui non sono altro che atomi che realizzano se stessi nell’anarchia degli interessi privati è, di per sé, la più pericolosa delle astrazioni.

di Gabriele Sabetta - 29 giugno 2018

venerdì 29 giugno 2018

NO BARRIERE ARCHITETTONICHE




 “Molte volte il disabile è commiserato e con ciò discriminato proprio da quelli che hanno paura di riconoscersi in lui, direttamente o indirettamente.” (Giuseppe Pontiggia)

giovedì 28 giugno 2018

I COMUNI FERMINO LO SPRECO E LO SFRUTTAMENTO INDISCRIMINATO





Partirà dall’Italia il nuovo tour Pachamama: Manifesto per la Madre Terra, per lanciare un vero e proprio segnale sull’importanza delle politiche ambientali e la difesa di questa terra che maltrattiamo, consumiamo e denigriamo perseguendo un’idea di sviluppo fondata sullo spreco e sulle sfruttamento delle risorse come se fossero illimitate. Insieme al tour verrà lanciata una raccolta firme su AVAZ per sensibilizzare il maggior numero di persone possibile.

«Perché serve una carta dei diritti? Semplice - spiega il regista Thomas Torelli - perché Madre Terra è un’entità viva e non può e non deve essere sfruttata così come non lo devono essere tutti gli esseri viventi.

Nel 1947 gli uomini hanno promosso la Carta dei Diritti dell’Uomo per dire a loro stessi che non si sarebbero mai più dovuti ripetere fenomeni di sfruttamento come la tratta degli schiavi. Oggi è importante ratificare delle norme precise per mettere al bando lo sfruttamento non solo degli esseri umani, ma anche del pianeta, degli animali, delle piante e di tutti gli altri esseri viventi che, al pari di noi, devono veder riconosciuti i propri diritti».

Diventa urgente più che mai seguire il buon esempio dell’Ecuador e della Bolivia che dal 2008 il primo, dal 2010 il secondo, sono stati tra i primi Paesi ad aver inserito nella propria costituzione una Dichiarazione universale dei diritti della Natura riconoscendo la Terra come sistema vivente dinamico costituito dalle comunità indivisibili di tutti i sistemi di vita e degli esseri viventi, interdipendenti e complementari che condividono un destino comune.

«Lottare per la difesa di quello che abbiamo di più caro e diamo sempre di più per scontato, non è un vezzo, ma un atto di responsabilità per gli abitanti di oggi e di domani. "Voi trattate la terra come se vi fosse stata lasciata in eredità da vostro padre ma dopo di voi non ci dovesse essere più nessun altro", dicono i nativi americani. Loro - spiega Torelli - la trattano invece come se l’avessero presa in prestito dai loro figli. E’ questa la grande differenza. Loro guardano e si preoccupano delle generazioni future, noi ci comportiamo come se non ci fosse un domani».

A poco sono serviti in questi anni gli allarmi sul cambiamento climatico, sui danni provocati dall’uomo sull’ambiente, sull’esaurimento delle risorse e ancor meno la ratifica da parte dei governi del trattato di Kyoto e di Parigi. «Il fatto che i governi possano emettere pareri o raccomandazioni sull’ambiente vale ben poco» dice Thomas Torelli. «La responsabilità civile delle nostre azioni rispetto all’ambiente non ci ha indotto ad abbandonare il sistema folle di sviluppo. Per questo serve una responsabilità penale perseguibile davanti alla legge per chi fa del male a Madre Terra provocando danni irreparabili ed erodendo le sue ricchezze».

Il tour Pachamama: Manifesto per la Madre Terra, che di sicuro toccherà l’Italia, la Spagna e la Svizzera, servirà ad incontrare il maggior numero possibile di amministratori locali, sindaci, associazioni della comunità civile e capi di governo per far inserire le norme che prevedono il riconoscimento legale di Madre Terra nelle costituzioni dei Paesi. «Vogliamo estendere la concezione del rispetto della natura inquadrando Madre Terra come un individuo a cui riconoscere diritti inalienabili che limitino l’agire umano e lo spingano ad attivarsi per vivere in armonia ed equilibrio con l’ambiente circostante. E’ importante che l’uomo riconosca con gratitudine che questa nostra madre comune è la fonte della vita, del nutrimento e che ci concede i suoi frutti fornendoci tutto ciò che ci serve per vivere bene».

Nel Ventunesimo secolo non sembra così semplice conciliare lo sviluppo economico ed industriale facendo a meno dell’utilizzo di risorse preziose come il petrolio, l’energia e l’acqua. «In realtà andare verso il futuro ed essere moderni dovrebbe di per sé comprendere il rispetto di Madre Natura» replica Torelli. «L’economia dovrebbe adattarsi alle esigenze del momento, e oggi l’esigenza è riuscire a salvare il pianeta, smettere di inquinare, smetterla di sprecare risorse, di danneggiare i terreni e di plastificare l’Oceano Pacifico con oltre 200 miliardi di bottigliette di plastica che consumiamo ogni anno nel mondo. Dobbiamo ragionare su altre forme di sviluppo, ci sono tante aziende che di fatto lo stanno già facendo applicando metodi di produzione all’avanguardia ad alta tecnologia e a basso consumo di risorse».

Quest’anno sarà il terzo tour itinerante di Pachamama, alcune tappe sono già fissate, il calendario con tutte le iniziative in programma uscirà, però, nei prossimi mesi: «Abbiamo già organizzato una dozzina di incontri. L’obiettivo del tour è di intercettare soprattutto i rappresentanti dei comuni per condividere con loro un’idea di sviluppo rispettoso e impegnarli ad appoggiare la carta dei diritti. Se anche solo ogni comune italiano si impegnasse a far rispettare i diritti di Madre Terra ci sarebbe già una piccola rivoluzione».

Come si immagina la società di domani Thomas Torelli? «Vedo un futuro in cui i nostri nipoti, guardando indietro, non riescono nemmeno ad immaginarsi che ai nostri tempi ci fosse così poco rispetto per la nostra Terra perché a quel tempo la gratitudine, l’amore e la devozione per chi ci ha da sempre donato tanto, sarà un sentimento naturale. E’ sempre stato così, in tutte le storie di cambiamento e di evoluzione culturale della nostra società: le grandi rivoluzioni sono state considerate utopiche solo nel momento storico in cui venivano vissute e combattute. Negli anni ‘50, non così tanto tempo fa, le donne in Italia non avevano il diritto di voto, oggi a noi sembra incredibile anche solo pensarlo. Gli omosessuali dovevano nascondersi e venivano castrati chimicamente se si dichiaravano tali; se eri una persona di colore non potevi salire su un autobus insieme agli altri. Oggi quei modelli culturali sono passati. Sono certo che tra venti, trenta, cinquanta anni quello che stiamo facendo noi oggi sarà vissuto come pura normalità».

Da “Terra Nuova.it”

P.S. Il Comune di Assemini non è altra cosa, ma parte integrante di un sistema malato che necessita di cure e di un cambio di prospettiva. La formazione delle nuove generazioni al rispetto della natura e dei suoi insegnamenti è un’esigenza fondamentale. Viviamo un contesto preoccupante in cui l’inquinamento è ciò che rimane di un modello di “Rinascita” disastrosa. 


 L’area di Macchiareddu è gravemente compromessa, risultando - secondo i dati diffusi dal Ministero della Salute -  tra le aree più inquinate d’Italia. Dai dati si evince che per uomini e donne è presente un eccesso di mortalità per le malattie dell'apparato respiratorio ed un difetto, per i soli uomini, per le malattie circolatorie. Il tumore della pleura è in eccesso in entrambi i generi. La popolazione maschile presenta un elevato rischio di contrarre forme di leucemie.  Una condizione di gravissimo disagio che amplifica i danni causati da un modello rivelatosi inefficiente e dannoso, calato dall’alto rifiutando ogni alternativa produttiva “territoriale” ecocompatibile. Un modello “pirata” che ha compromesso ben 445 mila ettari di territorio sardo. Aree che sono state iscritte in Siti d’Interesse Nazionale (SIN) ossia aree gravemente contaminate che necessitano di urgenti interventi di bonifica del suolo, del sottosuolo e/o delle acque superficiali e sotterranee per evitate ulteriori danni ambientali e sanitari. Circa un sardo su tre (la media nazionale è di 1 italiano su 9) vive in un SIN, dove si sono registrati 10 mila decessi in eccesso rispetto ai riferimenti regionali. Davanti a tutto ciò, la politica, a parte qualche rara eccezione, appare distratta.  

 RACCOLTA DIFFERENZIATA. LEGAMBIENTE: «SI RICICLA MEGLIO DOVE IL SERVIZIO FUNZIONA»




A dispetto dei luoghi comuni sugli italiani e nonostante le foto oscene di cassonetti che traboccano di spazzatura, l’Italia è fra i Paesi più virtuosi al mondo in fatto di raccolta differenziata e di riciclo. Sono diventati più di 500 i Comuni “ricicloni” nei quali Legambiente ha rilevato il raggiungimento dei risultati più lusinghieri di raccolta differenziata. Ma non basta. Si può fare di più per avere un ambiente più pulito: non è la dimensione del Comune a contare (sono virtuosissimi centri abitati di poche case e metropoli d’asfalto e cemento, e ugualmente vale per la lordura) né la latitudine (riciclano come forsennati i cittadini del Mezzogiorno e dell’Alta Italia, e altrettanto accade per la sporcizia). Ciò che conta è la qualità del servizio dato al cittadino: si ricicla dove c’è il camion che raccoglie, non si ricicla quando il servizio è scadente o non c’è.

Il servizio ai cittadini
L’esperienza ha dimostrato che nei servizi pubblici locali, a cominciare dalla nettezza urbana, l’inciviltà non è mai dei cittadini. Quando ai cittadini il servizio viene offerto, i cittadini rispondono.

Se c’è un servizio efficiente di trasporto pubblico, i cittadini lo usano.

Se i camion della spazzatura vuotano regolarmente i bidoni ordinati e puliti ai quali consegnare carta, vetro, metalli, plastica, alluminio, legno e rifiuti organici umidi, i cittadini selezionano correttamente. Ciò avviene sia nelle città grandi che nei paesini, nel Mezzogiorno oppure nel Nord. Quando i cittadini sembrano comportarsi da incivili, in realtà l’inciviltà è di chi non dà loro il servizio.

I Magnifici Cinquecento
Sono saliti oltre quota 500 i Comuni italiani in cui la raccolta differenziata funziona correttamente e ogni cittadino produce al massimo 75 chili di rifiuti indifferenziati. Erano 486 municìpi lo scorso anno, sono 505 nel 2018 (+19%), per un totale di 3.463.849 cittadini, circa 200mila in più del 2017.

A dirlo è il 25° rapporto Comuni Ricicloni di Legambiente, presentato oggi nell’ambito dell’EcoForum, che si è concluso con la premiazione di comunità locali e amministratori che hanno ottenuto i migliori risultati nella gestione dei rifiuti urbani.


Migliora il Sud, Veneto in testa
Migliora il Sud che registra un exploit, passando da 43 a 76 Comuni; peggiora il Nord che ne perde 26 e ne conta 264 tra Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige (che restano le tre regioni leader) a causa di un leggero aumento della produzione di rifiuti indifferenziati. Rimane in stallo il Centro (da 38 a 43).

Molto bene la Basilicata: con 11 Comuni passa dall’1,5% all'8% del totale dei Comuni rifiuti free.

I Comuni premiati da Ecodom
Comunanza, Montorio al Vomano, Cerreto di Spoleto e Rieti sono stati premiati da Ecodom, il principale consorzio italiano di gestione dei Raee, cioè i rifiuti da apparecchi elettrici ed elettronici. I quattro Comuni terremotati sono i più virtuosi nella raccolta di questa tipologia di rifiuti. Il premio ha inteso valorizzare l’impegno per l’ambiente dimostrato da queste amministrazioni anche in una condizione critica come quella generata dal sisma.

Ecodom, concentrando la propria indagine sulle zone terremotate, ha misurato le percentuali di crescita nella raccolta dei Raee registrate tra il 2015 e il 2017 in 140 comuni e ha premiato il Comune migliore in ognuna delle regioni interessate dal “cratere” del sisma: Marche, Abruzzo, Umbria, Lazio.
 
«In questa edizione di Comuni Ricicloni — dice Giorgio Arienti, direttore generale di Ecodom — abbiamo voluto offrire il nostro contributo valorizzando le amministrazioni locali che, pur in una situazione di estrema difficoltà come il tragico terromoto del 2016, sono riuscite a continuare ad occuparsi della raccolta dei rifiuti elettrici ed elettronici, migliorando addirittura i propri risultati».

Comunanza, in provincia di Ascoli Piceno, è il comune più virtuoso tra quelli marchigiani: ha infatti raccolto 8.600 chili di Raee nel 2017, oltre il doppio della quantità registrata nel 2015 (+164%).

Per quanto riguarda la regione Abruzzo, Ecodom ha premiato Montorio al Vomano (Teramo) che ha raccolto 17.400 chili di Raee nel 2017, con un incremento del 64% rispetto al 2015, mentre per l’Umbria Cerreto di Spoleto (Perugia), che con 2.980 chili ha registrato l’incremento maggiore nella regione rispetto all’anno prima del terremoto (+25%).

Infine, il comune della regione Lazio più virtuoso è Rieti: 88.230 kg di rifiuti Raee nel 2017, con una variazione del +8% rispetto al 2015.

Ambiente, territorio e welfare: la sostenibilità piace alle imprese e fa bene ai conti
Le bioplastiche premiano i vigili e carabinieri forestali
I premi Assobioplastiche sono state conferiti a:
• Polizia Locale di Milano – Nucleo Antiabusivismo
• Polizia Locale di Napoli – Unità Operativa Tutela Ambientale
• Comando Unità Forestali, Ambientali e Agroalimentari dei Carabinieri.

Il riconoscimento è stato consegnato da Carmine Pagnozzi, direttore di Assobioplastiche, al generale Davide De Laurentis – vicecomandante del comando unità forestali, ambientali e agroalimentari dei carabinieri e per le polizie locali di Napoli e Milano rispettivamente al capitano Enrico Del Gaudio e Antonio Tabò. Queste forze di polizia sono state premiate perché hanno multato chi distribuiva i sacchetti di plastica non biodegradabile («Per il quotidiano impegno nel combattere i fenomeni di illegalità in materia di commercializzazione di borse in plastica per trasporto merci e imballaggio di alimenti sfusi»).

Compost e organico: bravissima la Sardegna
In occasione di Comuni Ricicloni di Legambiente, il Consorzio italiano compostatori (Cic) ha consegnato il premio speciale a due realtà che si sono contraddistinte per la qualità della raccolta differenziata dell’organico e per la promozione del compost di qualità in campo agricolo: il Consorzio industriale provinciale (Cip) in Sardegna, che ha registrato una purezza merceologica pari al 98,5%, ed Enomondo in Emilia Romagna per l’alta qualità della raccolta differenziata del rifiuto organico e per il costante impegno nella promozione dell’uso del compost.

«Nel 2016 in Italia sono state prodotte quasi 2 milioni di tonnellate di compost a partire dai rifiuti organici trattati negli impianti di compostaggio e digestione anaerobica», ricorda Massimo Centemero, direttore del Cic.


Il riciclo del vetro e del legno
Con una raccolta complessiva di 2.160 tonnellate Trento è la città più virtuosa nella raccolta e riciclo del legno, ricevendo per questo il Premio Rilegno nell’ambito di Comuni Ricicloni, insieme con Empoli e Francavilla al Mare. Intanto il riciclo del vetro è protagonista di Glass Circle, il concorso promosso da Assovetro e CoReVe nell’ambito del protocollo d’intesa sottoscritto con il ministero dell’Istruzione rivolto alle quarte e quinte classi delle scuole primarie e alle scuole secondarie di primo grado. Il concorso, giunto alla sua undicesima edizione, quest’anno ha totalizzato oltre 230 lavori (racconti, video, disegni, fumetti, canzoni ecc). Sul gradino più alto del podio di Glass Circle per le scuole elementari ci sono i componenti del Laboratorio di Cinema, tutti frequentanti la quarta elementare della scuola Rodari di Verbania. Questi ragazzi hanno realizzato il lavoro «Solo Vetro», composto da un gioco di carte con tema i falsi amici del vetro e da un video recitato in dialetto dagli stessi ragazzi. Per le scuole medie invece la medaglia d’oro va alla 2A dell’istituto di San Cesario (Lecce). Riconoscimenti anche alla IV della Scuola Izzo di Secondo di Mondragone (Caserta), alla 2A delle medie di Rosolina (Rovigo), alla 4B della Scuderi di Linguaglossa (Catania), alla 4A della Sermoneta Centro Storico (Latina), alla 1B di Valdagno (Vicenza), alla 2A delle medie di Tambre (Belluno), alla 5A della San Giorgio di Catania e alla 1D della media Politeama di Palermo.


Albano Laziale, Molfetta e Aci Castello riciclano plastica
I Comuni di Albano Laziale (Roma), Molfetta (Bari) e Aci Castello (Catania) sono stati premiati da Corepla nella categoria «Migliore raccolta degli imballaggi in plastica». Hanno ritirato il premio, una lampada stampata in 3D, il sindaco di Albano Laziale Nicola Marini e il presidente Asm Molfetta Corrado Paparella. Al sindaco di Aci Castello Filippo Maria Drago non presente per altri impegni istituzionali il premio è stato invece spedito.

Afferma il presidente di Corepla, Antonello Ciotti: «Nel Centro e nel Sud Italia permane una situazione piuttosto disomogenea tra i Comuni per quanto concerne l’andamento della raccolta differenziata degli imballaggi in plastica. Alcuni, infatti, si attestano su livelli di raccolta pro capite eccellenti, altri continuano invece a restare molto al di sotto delle potenzialità e delle medie nazionali. I Comuni premiati quest’anno, Albano Laziale, Molfetta e Aci Castello, rappresentano una vera e proprio eccellenza sia in termini di quantità che in termini di qualità del materiale raccolto. Un risultato che è frutto di un percorso e di un impegno costante da parte dell'Amministrazione e dei cittadini e che evidenzia come la “buona” raccolta differenziata si traduca in un vantaggio per l'ambiente e in minori costi per la collettività».

Sulle spiagge italiane 100 milioni di cotton fioc
Albano Laziale: il Comune, che conta circa 42mila abitanti, ha raggiunto nel 2017 una raccolta di circa 27 chili per abitante, un valore che supera ampiamente la media nazionale di 17,7 chili. Grazie a un sistema di raccolta porta a porta consolidato negli anni, alla partecipazione dei cittadini e alla sensibilità dell'amministrazione comunale, è stato possibile ridurre progressivamente la Tari prima del 5 e poi del 7%.

Molfetta, circa 60mila abitanti, nel 2017 ha concluso l'attivazione del porta a porta su tutta la città ha superato la percentuale del 70% di raccolta differenziata e il valore pro capite di raccolta degli imballaggi in plastica ha raggiunto 22 chili. Mentre in Sicilia la raccolta pro capite degli imballaggi di plastica è appena di 7,5 chili e anche quest'anno la Regione Sicilia si conferma fanalino di coda a livello nazionale, Aci Castello ha ultimato il passaggio al porta a porta raggiungendo circa l'80% di raccolta differenziata e un pro capite di raccolta della plastica di circa 27 chili. Come si scriveva più sopra, se i camion della spazzatura vuotano regolarmente i bidoni ordinati e puliti ai quali consegnare carta, vetro, metalli, plastica, alluminio, legno e rifiuti organici umidi, i cittadini selezionano correttamente. Ciò avviene sia nelle città grandi che nei paesini, avviene sempre nel Mezzogiorno oppure nel Nord. Quando i cittadini sembrano comportarsi da incivili, in realtà l’inciviltà è di chi non dà loro il servizio.

Jacopo Giliberto (Il Sole 24 Ore)

P.S. In Sardegna si conferma Barrali comune che meglio ricicla con 56,1 kg/abitante di secco residuo prodotto e con il 79,4% di RD.

I GIOVANI CAMBINO PROSPETTIVA

Masanobu Fukuoka




“La chiave per crescere si trova lì, vicino alla terra, al mare. Abbiamo scelto di subire un progresso che ha prodotto problemi, ansie, aspettative, ossessioni.
 
È con questo tetro conformismo che abbiamo devastato la natura, cancellato la nostra identità, la nostra spiritualità, i nostri valori. Un modello che ci ha recluso, rendendo difficile persino procurare cibo. Un modello che ci ha divisi, costringendoci a sbattere contro le grate dell’avidità, dell’invidia. 

Poi, ti fermi, rivolgi lo sguardo alle montagne che difendono questa vasta piana. Pensi al mare e alla vita che genera e conserva. Tocchi la terra e trovi soddisfazione per i colori ed i profumi che è in grado di esprimere. Capisci che nulla è perfetto quanto la natura.

Cosa vogliamo costruire ancora che non demolisca l’ultimo appiglio al definitivo baratro?”

mercoledì 27 giugno 2018

SARDEGNA SEMPRE PIU' POVERA




Povertà in aumento in Sardegna. Lo dice l’ultimo rapporto Istat: la crescita è del 3,3% e segna il passaggio dal 14 al 17,3% dal 2016 al 2017.

L’isola è sopra la media nazionale del 12,3%, ma è la seconda regione “meno povera” del Mezzogiorno: davanti alla Sardegna c’è solo l’Abruzzo con un’incidenza del 15,6 per cento.

Le statistiche fotografano una situazione in generale peggioramento soprattutto al sud. La Sardegna riesce comunque a contenere lo scatto in avanti della povertà: nel Mezzogiorno hanno frenato di più soltanto Molise (+2,8), Basilicata (+0,6), Calabria (+0,4, ma record italiano di incidenza con 35,3%). 

La povertà relativa (la soglia per una famiglia di due componenti è pari alla spesa media mensile pro-capite nel Paese e nel 2017 è risultata di 1.085,22 euro) in Sardegna è superiore al 17%, sotto la media del Mezzogiorno (24,7) ma molto al di sopra di quella del Centro (7,9) e del nord (5,9).

(Sardinia Post)


73 CITTADINI AL MESE ABBANDONANO ASSEMINI






Giambattista Vico parlava di corsi e ricorsi storici. Con questa formula il filosofo napoletano sintetizzava la capacità di certe situazioni di ripetersi nella vita degli essere umani. Il Dossier Statistico Immigrazione 2017 elaborato dal centro studi e ricerche Idos e Confronti registra una di queste situazioni: oggi gli emigrati italiani sono tanti quanti erano nell’immediato dopoguerra. In numero, oltre 250.000 l'anno. Corsi e ricorsi della storia, appunto.

Prima il calo poi la crisi del 2008 e l’inversione di tendenza

L’emigrazione degli italiani all'estero, dopo gli intensi movimenti degli anni '50 e '60, è andato ridimensionandosi negli anni '70 e fortemente riducendosi nei tre decenni successivi, fino a collocarsi al di sotto delle 40.000 unità annue. Invece, a partire dalla crisi del 2008 e specialmente nell’ultimo triennio, le partenze hanno ripreso vigore e hanno raggiunto gli elevati livelli postbellici, quando erano poco meno di 300.000 l'anno gli italiani in uscita.

Oltre 114mila persone sono andate all’estero nel 2015

Sotto l'impatto dell'ultima crisi economica, che l'Italia fa ancora fatica a superare, i trasferimenti all'estero hanno raggiunto le 102.000 unità nel 2015 e le 114.000 unità nel 2016, mentre i rientri si attestano sui 30.000 casi l'anno.

La fuga dei cervelli

A emigrare - sottolinea il report - sono sempre più persone giovani con un livello di istruzione superiore. Tra gli italiani con più di 25 anni, registrati nel 2002 in uscita per l'estero, il 51% aveva la licenza media, il 37,1% il diploma e l'11,9% la laurea ma già nel 2013 l'Istat ha riscontrato una modifica radicale dei livelli di istruzione tra le persone in uscita: il 34,6% con la licenza media, il 34,8% con il diploma e il 30,0% con la laurea, per cui si può stimare che nel 2016, su 114.000 italiani emigrati, siano 39.000 i diplomati e 34.000 i laureati.

Germania e Regno Unito le mete preferite

Le destinazioni europee più ricorrenti sono la Germania e la Gran Bretagna; quindi, a seguire, l'Austria, il Belgio, la Francia, il Lussemburgo, i Paesi Bassi e la Svizzera (in Europa dove si indirizzano circa i tre quarti delle uscite) mentre, oltreoceano, l'Argentina, il Brasile, il Canada, gli Stati Uniti e il Venezuela.

L’investimento (perso) da parte dello Stato

Ogni italiano che emigra rappresenta un investimento per il paese (oltre che per la famiglia): 90.000 euro un diplomato, 158.000 o 170.000 un laureato (rispettivamente laurea triennale o magistrale) e 228.000 un dottore di ricerca, come risulta da una ricerca congiunta condotta nel 2016 da Idos e dall'Istituto di Studi Politici “S. Pio V” sulla base di dati Ocse.

I flussi effettivi sono ancora più elevati

A rendere ancora più allarmante il quadro tratteggiato da questo dossier è un’uteriore considerazione: i flussi effettivi sono ben più elevati rispetto a quelli registrati dalle anagrafi comunali, come risulta dagli archivi statistici dei paesi di destinazione, specialmente della Germania e della Gran Bretagna (un passaggio obbligato per chi voglia inserirsi in loco e provvedere alla registrazioni di un contratto, alla copertura previdenziale, all'acquisizione della residenza e così via).

Il centro studi: i dati Istat vanno aumentati di 2,5 volte

Il centro studi spiega che rispetto ai dati dello Statistisches Bundesamt tedesco e del registro previdenziale britannico (National Insurance Number), le cancellazioni anagrafiche rilevate in Italia rappresentano appena un terzo degli italiani effettivamente iscritti. Pertanto, i dati dell'Istat sui trasferimenti all'estero dovrebbero essere aumentati almeno di 2,5 volte e di conseguenza nel 2016 si passerebbe da 114.000 cancellazioni a 285.000 trasferimenti all'estero, un livello pari ai flussi dell'immediato dopoguerra e a quelli di fine Ottocento. Peraltro, si legge ancora nel dossier statistico, non va dimenticato che nella stessa Anagrafe degli Italiani Residenti all'Estero il numero dei nuovi registrati nel 2016 (225.663) è più alto rispetto ai dati Istat. Naturalmente, andrebbe effettuata una maggiorazione anche del numero degli espatriati ufficialmente nel 2008-2016, senz'altro superiore ai casi registrati (624.000).

L’Ocse: Italia ottava in classifica

Il problema dei tanti italiani che abbandonano l’Italia è stato segnalato qualche giorno fa anche dall’Ocse. Nell’ultimo report sui migranti l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici ha fatto presente che l'Italia è tornata a essere ai primi posti mondiali come Paese d'origine degli immigrati. Secondo l'Ocse, la Penisola è ottava nella graduatoria mondiale dei Paesi di provenienza di nuovi immigrati. Al primo posto c'è la Cina, davanti a Siria, Romania, Polonia e India. L'Italia è subito dopo il Messico e davanti a Viet Nam e Afghanistan, con un aumento degli emigrati dalla media di 87mila nel decennio 2005-14 a 154mila nel 2014 e a 171mila nel 2015, pari al 2,5% degli afflussi nell'Ocse. In 10 anni l'Italia è “salita” di 5 posti nel ranking di quanti lasciano il proprio Paese per cercare migliori fortune altrove.

(Andrea Carli, Il Sole 24 ORE)

P.S. In Sardegna, secondo i numeri Istat elaborati dal Crei, il centro regionale di settore delle Acli, si perdono oltre 400 unità al mese.

Saldo negativo anche per l’ex Provincia di Cagliari, dove si concentra il 33,8 per cento della popolazione isolana: nel 2016 il calo demografico si è attestato a quota -0,16 per cento. I residenti sono diminuiti di 916 unità, da 561.289 a 560.373.

Ad Assemini (secondo i dati ufficiali forniti dall’Anagrafe) la media mensile di cittadini che ufficialmente abbandonano la città è pari a oltre 72 persone al mese per complessive 869 nel 2016, 873 nel 2017 e già 439 a giugno del 2018 (media di oltre 73 al mese).

lunedì 25 giugno 2018

L'ASTENSIONISMO NON DELEGITTIMA L'ELEZIONE


Il forte astensionismo è un fatto comune alle democrazie occidentali. Democrazie che, in quanto tali, non possono mai definirsi “compiute”.

Chi sceglie di non esercitare il diritto di voto firma una delega bianca a chi sceglie di esercitarlo secondo la propria legittima volontà. Chi si è astenuto esprime indirettamente il proprio voto nella stessa proporzione manifestata da chi si reca alle urne.

L’elezione è sempre politicamente legittima e rappresenta comunque la totalità degli aventi diritto al voto. 

CONGRATULAZIONI ALLA NEO SINDACO