Giambattista Vico parlava di corsi e ricorsi storici. Con
questa formula il filosofo napoletano sintetizzava la capacità di certe
situazioni di ripetersi nella vita degli essere umani. Il Dossier Statistico
Immigrazione 2017 elaborato dal centro studi e ricerche Idos e Confronti
registra una di queste situazioni: oggi gli emigrati italiani sono tanti quanti
erano nell’immediato dopoguerra. In numero, oltre 250.000 l'anno. Corsi e
ricorsi della storia, appunto.
Prima il calo poi la crisi del 2008 e l’inversione di
tendenza
L’emigrazione degli italiani all'estero, dopo gli intensi
movimenti degli anni '50 e '60, è andato ridimensionandosi negli anni '70 e fortemente
riducendosi nei tre decenni successivi, fino a collocarsi al di sotto delle
40.000 unità annue. Invece, a partire dalla crisi del 2008 e specialmente
nell’ultimo triennio, le partenze hanno ripreso vigore e hanno raggiunto gli
elevati livelli postbellici, quando erano poco meno di 300.000 l'anno gli
italiani in uscita.
Oltre 114mila persone sono andate all’estero nel 2015
Sotto l'impatto dell'ultima crisi economica, che l'Italia fa
ancora fatica a superare, i trasferimenti all'estero hanno raggiunto le 102.000
unità nel 2015 e le 114.000 unità nel 2016, mentre i rientri si attestano sui
30.000 casi l'anno.
La fuga dei cervelli
A emigrare - sottolinea il report - sono sempre più persone
giovani con un livello di istruzione superiore. Tra gli italiani con più di 25
anni, registrati nel 2002 in uscita per l'estero, il 51% aveva la licenza
media, il 37,1% il diploma e l'11,9% la laurea ma già nel 2013 l'Istat ha
riscontrato una modifica radicale dei livelli di istruzione tra le persone in
uscita: il 34,6% con la licenza media, il 34,8% con il diploma e il 30,0% con
la laurea, per cui si può stimare che nel 2016, su 114.000 italiani emigrati,
siano 39.000 i diplomati e 34.000 i laureati.
Germania e Regno Unito le mete preferite
Le destinazioni europee più ricorrenti sono la Germania e la
Gran Bretagna; quindi, a seguire, l'Austria, il Belgio, la Francia, il
Lussemburgo, i Paesi Bassi e la Svizzera (in Europa dove si indirizzano circa i
tre quarti delle uscite) mentre, oltreoceano, l'Argentina, il Brasile, il
Canada, gli Stati Uniti e il Venezuela.
L’investimento (perso) da parte dello Stato
Ogni italiano che emigra rappresenta un investimento per il
paese (oltre che per la famiglia): 90.000 euro un diplomato, 158.000 o 170.000
un laureato (rispettivamente laurea triennale o magistrale) e 228.000 un
dottore di ricerca, come risulta da una ricerca congiunta condotta nel 2016 da
Idos e dall'Istituto di Studi Politici “S. Pio V” sulla base di dati Ocse.
I flussi effettivi sono ancora più elevati
A rendere ancora più allarmante il quadro tratteggiato da
questo dossier è un’uteriore considerazione: i flussi effettivi sono ben più
elevati rispetto a quelli registrati dalle anagrafi comunali, come risulta
dagli archivi statistici dei paesi di destinazione, specialmente della Germania
e della Gran Bretagna (un passaggio obbligato per chi voglia inserirsi in loco
e provvedere alla registrazioni di un contratto, alla copertura previdenziale,
all'acquisizione della residenza e così via).
Il centro studi: i dati Istat vanno aumentati di 2,5 volte
Il centro studi spiega che rispetto ai dati dello Statistisches
Bundesamt tedesco e del registro previdenziale britannico (National Insurance
Number), le cancellazioni anagrafiche rilevate in Italia rappresentano appena
un terzo degli italiani effettivamente iscritti. Pertanto, i dati dell'Istat
sui trasferimenti all'estero dovrebbero essere aumentati almeno di 2,5 volte e
di conseguenza nel 2016 si passerebbe da 114.000 cancellazioni a 285.000
trasferimenti all'estero, un livello pari ai flussi dell'immediato dopoguerra e
a quelli di fine Ottocento. Peraltro, si legge ancora nel dossier statistico,
non va dimenticato che nella stessa Anagrafe degli Italiani Residenti
all'Estero il numero dei nuovi registrati nel 2016 (225.663) è più alto
rispetto ai dati Istat. Naturalmente, andrebbe effettuata una maggiorazione anche
del numero degli espatriati ufficialmente nel 2008-2016, senz'altro superiore
ai casi registrati (624.000).
L’Ocse: Italia ottava in classifica
Il problema dei tanti italiani che abbandonano l’Italia è
stato segnalato qualche giorno fa anche dall’Ocse. Nell’ultimo report sui
migranti l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici ha fatto
presente che l'Italia è tornata a essere ai primi posti mondiali come Paese
d'origine degli immigrati. Secondo l'Ocse, la Penisola è ottava nella graduatoria
mondiale dei Paesi di provenienza di nuovi immigrati. Al primo posto c'è la
Cina, davanti a Siria, Romania, Polonia e India. L'Italia è subito dopo il
Messico e davanti a Viet Nam e Afghanistan, con un aumento degli emigrati dalla
media di 87mila nel decennio 2005-14 a 154mila nel 2014 e a 171mila nel 2015,
pari al 2,5% degli afflussi nell'Ocse. In 10 anni l'Italia è “salita” di 5
posti nel ranking di quanti lasciano il proprio Paese per cercare migliori
fortune altrove.
(Andrea Carli, Il Sole 24 ORE)
P.S. In Sardegna, secondo i numeri Istat elaborati dal Crei,
il centro regionale di settore delle Acli, si perdono oltre 400 unità al mese.
Saldo negativo anche per l’ex Provincia di Cagliari, dove si
concentra il 33,8 per cento della popolazione isolana: nel 2016 il calo
demografico si è attestato a quota -0,16 per cento. I residenti sono diminuiti
di 916 unità, da 561.289 a 560.373.
Ad Assemini (secondo i dati ufficiali
forniti dall’Anagrafe) la media mensile di cittadini che ufficialmente
abbandonano la città è pari a oltre 72 persone al mese per complessive 869 nel
2016, 873 nel 2017 e già 439 a giugno del 2018 (media di oltre 73 al mese).
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