venerdì 28 agosto 2015

Pirateria energetica o politica? Quanto incassiamo dall’eolico?


 di Massimo Carboni
Sardi prigionieri. Potrebbe essere questa la sintesi della condizione dei sardi rispetto al rapporto con le istituzioni sovra regionali. Una condizione in parte voluta, in parte resa strumentalmente necessaria, ma anche subita in spregio alla Costituzione, allo Statuto ed ai diritti fondamentali di un Popolo.
Non esiste realtà socioculturale che possa progredire, anche in campo economico, senza vivere coscientemente una condizione di autodeterminazione cosciente e responsabile. Perché, questo, è un presupposto fondamentale per poter scegliere le proprie direttrici di crescita e sviluppo. Prediligere una economia territoriale in grado di guidare i vantaggi della globalizzazione, significa abbattere anche ogni forma di pirateria. Perché la scelta tra modelli, determina il modo di vivere e di evolvere.
Sardegna come piattaforma del Mediterraneo. Un fatto geografico che tarda ad assumere forme e contenuti i politici e socioeconomici. Ciò che potrebbe essere il punto di partenza per la costruzione di un modello di benessere diffuso, rimane un inarrestabile e variegato freno. I nostri territori sono ancora oggetto di saccheggio ambientale, linguistico e culturale. Una Terra che rileva l’aumento di malattie da fonti inquinanti.
Ogni “fattore della produzione” viene sterilizzato da scelte centraliste, spesso nel silenzio della Regione e di troppi Comuni, rappresentati da chi, del servilismo, ha fatto la ragione del proprio personale benessere o delle proprie redditizie ed egoistiche ambizioni. Occorrerebbe sostituire, nelle istituzioni, il termine “voto” con “interesse”: interesse favorevole, interesse contrario, astenuto.
Il “Far West” sardo è, ancora una volta, oggetto delle più macabre attenzioni dei governi di turno. La logica sembra essere questa: siccome siete alla fame, vi concediamo qualche briciola per sopravvivere (giusto perché ci tornate utili), così la Sardegna diventerà la "Piattaforma del Mediterraneo", appunto. Già, una pattumiera, più che una "Piattaforma", su cui impiantare ogni strumento della più opprimente e becera speculazione. Tra cui l'energia. La nostra crisi è (ampiamente) il frutto delle scelleratezze imposte/subite. Dei miracoli propagandati con la commistione di gran parte della classe dirigente che continua ad ingrassare con le nostre risorse. Quella classe dirigente che ha consentito e consente di rendere inutili i fattori della produzione, impedendo di avviare un modello di sviluppo e crescita sano, produttivo ed identitario. Assemini da questa spirale perversa, non è esclusa.
I “numeri” dell’energia in Sardegna, come emergono dai dati Terna S.p.A. (31 dicembre 2012) e dal P.E.A.R.S.:
* 18 impianti idroelettrici (potenza efficiente lorda MW 466,7; producibilità media annua GWh 699);
* 44 impianti termoelettrici (potenza efficiente lorda MW 2.822,5);
* 47 impianti eolici (potenza efficiente lorda MW 988,6);
* 22.287 impianti fotovoltaici (potenza efficiente lorda MW 558,2);
* energia richiesta in Sardegna: GWh 10.998,8; energia prodotta in più rispetto alla richiesta: GWh 2.348 (+21,3%);
* produzione energia: GWh 14.535; produzione netta per il consumo: GWh 13.346,8;
* energia esportata verso la Penisola: GWh 1.632,5; energia esportata verso l’Estero (Corsica): Gwh 715,6;
* fonte di  produzione: 78% termoelettrica, 11% eolica, 5% bioenergie, 5% fotovoltaico, 1% idroelettrico.
Dati che esprimono con chiarezza lo stato dell’inutilità di ulteriore asservimento del territorio sardo e di produzione energetica in Sardegna, a fronte del costo mediamente più alto del resto d’Italia ed Europa. Noi produciamo gli altri godono dei benefici e della ripartizione delle ricchezze. Un sistema “coloniale” che perdura, aumentando il divario con le altre realtà produttive europee e che rafforza il ritardo strutturale sardo, impedendoci di crescere. Fatti che rendono necessaria l’istituzione di un Antitrust regionale autonomo valido per tutti i servizi ed in grado di contrastare con efficacia i monopoli e la speculazione praticata con continuità da aziende statali e parastatali. Un Authority libera in grado di tutelare gli interessi calpestati dei sardi.   
Occorre reagire con i fatti e con una progettualità strategica improntata sulla necessità, efficacia ed efficienza. I Comuni non sono soggetti istituzionali asettici, ma luoghi da cui produrre cambiamento, partendo dalla cura della propria efficienza energetica, fino a tutelare il proprio territorio ed i propri cittadini.
Ad esempio, in data 06 giugno 2002 ci risulta essere stata siglata una convenzione tra l’amministrazione comunale di Assemini ed una società energetica per la concessione del diritto di superficie finalizzato alla realizzazione di un impianto eolico in località Macchiareddu, in area “Ex Casic”.
Il parco eolico funziona dal 2007. Stando alla convenzione, le casse del Comune avrebbero dovuto incassare un canone di concessione, a decorrere dal primo gennaio 2007, pari allo 0,6% da calcolarsi sull’importo totale dell’energia prodotta e fatturata annualmente al netto dell’I.V.A. Tale percentuale è stata portata allo 0,8 nel mese di marzo del 2008. Nel caso di fermo macchine o di mancato avvio dell’impianto, il corrispettivo annuo sarebbe dovuto essere pari a 10 mila euro per aerogeneratore per i primi otto anni e, 5 mila euro per gli anni successivi. A ciò si aggiungano ICI/IMU.
Sarebbe utile conoscere:
- a quanto ammontano gli importi che dal 2007 la società energetica avrebbe dovuto versare, complessivamente, nelle casse del comune di Assemini;

- se i versamenti previsti siano stati regolarmente accreditati e, se sì, da quando;
Qualora, invece, i pagamenti previsti non siano pervenuti nelle casse del Comune, sarebbe interessante conoscere quali atti l’Amministrazione comunale abbia posto in essere al fine di scongiurare un danno erariale. Inoltre, in quale conto di bilancio sarebbe stato rilevato l’eventuale credito. 

lunedì 24 agosto 2015

Un concorso per la Rete dei parchi e delle bellezze


di Massimo Carboni
Tanto si è detto e scritto sullo stato del parco, dei giardini pubblici, degli spazi verdi e sulla mancata valorizzazione del patrimonio fluviale, lagunare e montano. Del loro degrado e della mancanza di funzionalità socioculturale ed economica. Un coro di proteste che si ripete quotidianamente e senza ricevere - da chi è stato chiamato a governare - risposte doverose, concrete ed innovative. Inoltre, è diventato normale accettare ciò che dovrebbe rientrare nella funzione tecnica di ordinaria amministrazione, come politicamente rilevante, abbassando ulteriormente il livello del confronto e spingendo la “rivoluzione” promessa ed auspicata nel vortice dell’involuzione formale e sostanziale.
Appare chiaro come accanto alla meritata “insufficienza” sull’articolata pagella del Sindaco, stia crescendo una forma di inaccettabile menefreghismo civico. Il degrado porta degrado, ma entrambe le forme sono “male assoluto”. Bisogna partire da questo aspetto per cambiare traiettoria e rilanciare l’azione di governo municipale, facendo percepire ed assumere coscientemente anche gli spazi verdi come una risorsa, per noi e per le future generazioni. Del resto, gli errori del passato, devono servire a non ripeterli, piuttosto che essere usati come “arma difensiva”. Errori reiterati e largamente influenzati dalla pericolosa inadeguatezza della Giunta e dei “consiglieri” del Sindaco (quelli che in giro scaricano le proprie responsabilità, dicendo “non ci ascolta”). Occorre riaccendere la speranza in noi cittadini.
Nessuna forma di cambiamento “in meglio” può prescindere dalla capacità di elaborare processi innovativi senza recuperare, mantenere e valorizzare le strutture esistenti. Aspetti di fondamentale rilevanza che possono produrre miglioramento se coniugati con la capacità e la volontà politica di costruire un “sistema del verde” che sia “diversamente” fruibile, sicuro, caratteristico, di qualità. Questo, perché occorre concepire il verde urbano come un patrimonio, riorganizzandolo per sistemi e tipologie al fine di caratterizzare la città, migliorare la qualità della vita e renderla attrattiva con finalità più ampie ed articolate. Puntare sull’equilibrio ecologico e paesaggistico, significa dare un’anima agli spazi verdi affinché siano attrazione e sviluppo culturale, ricreativo e sportivo, integrati in una dimensione del verde unitaria e continua. Uno spazio ampio, nuovo ed in grado si soddisfare bisogni e necessità, ma anche etico in grado di favorire relazioni umane; corrispondenze e relazioni tra luoghi, persone, memorie, valori globali e territoriali. Uno spazio estetico da cui far partire nuove ed avvincenti forme di bellezza diffusa.  
Lo stato del verde urbano è fermo da 18 anni ed ha perso la sua funzione generatrice di plusvalore. Questa fase di saturazione deve essere superata innovando. È giunto il momento di rimettere ordine, lasciando alle competenze tecniche il dovere di tenerlo decoroso ed alla politica il compito di “riformare”, azzerando i costi e destinando le risorse in investimenti produttivi.
Secondo l’ISTAT la media di verde urbano per cittadino in Italia è pari a 30 mq. La costante e progressiva riduzione dei trasferimenti ai comuni e la già penalizzante pressione fiscale e tributaria, non consentono ulteriori spese e gestioni “allegre”, ma rispetto e cura delle fonti di finanziamento e della destinazione delle risorse. Occorre partire dal patrimonio esistente, sia urbano sia naturale, per costruire un nuovo modello di fruizione incentrato su adeguate formule gestionali che includano anche le aree naturali finora trascurate. È necessario avviare  una nuova definizione delle tipologie del verde urbano per consentirne uno sviluppo armonico del futuro della “città che vogliamo”, ma anche un maggior coinvolgimento dei cittadini, dando valenza “di sistema” oltre al parco cittadino anche agli spazi verdi di quartiere, nonché al patrimonio lagunare, fluviale e montano. Si tratta di elaborare una “visione di città” con metodi e contenuti strategici che non può e non deve prescindere dall’elaborazione ed applicazione di un progetto integrato di “mobilità sostenibile”, di spazi funzionali al benessere animale ed dalla lotta comune per le bonifiche.
Trattasi di aspetti complessi che necessitano dell’affermazione di un rapporto qualitativo tra istituzioni e comunità. Il Primo cittadino ha il dovere di aprire ad una nuova fase, cambiando gli interlocutori che lo hanno condotto in questa condizione, altrimenti irreversibile.
La città necessita di una nuova formula: la “Rete degli spazi verdi e delle bellezze”. La Rete è una formula organizzativa in grado di rappresentare gli interessi dei cittadini ad assicurarne la qualità nel lungo termine. Lo scopo della Rete deve essere quello di: conservare, rivalutare e sviluppare i valori naturali, paesaggistici e culturali; incoraggiare la formazione in campo ambientale; rafforzare l’economia sostenibile ed incoraggiare la commercializzazione di prodotti e servizi provenienti da essa.
Occorre riprendere la strada che guardava al cittadino come elemento cognitivo della propria comunità, superando la mera e confusa indignazione per renderlo coscientemente attivo. Non bisogna aver paura dei cittadini, ma dei cattivi consiglieri.
La città si è recentemente dotata di un Piano urbanistico che non può riassumersi in una medaglia da appendere al petto o in una battaglia di basso profilo, personale ed autoreferenziale. Occorre che il Puc venga integrato, adattato e subordinato ad un progetto strategico di crescita e sviluppo. Altrimenti, rimarrà un successo ed una risorsa per pochi, nonché una problematica ed onerosa delusione per molti. I tempi sono maturi per affermare una dimensione di partecipazione vera, attraverso un “concorso di idee” in grado di rendere un servizio alla città e nel contempo sollecitare nei giovani interesse, cura del verde e riconoscimento nelle istituzioni. Un modo per trasmettere conoscenza abbattendo i muri generazionali. E’ necessario bandire un concorso che spinga gli interessati a mettere a disposizione della collettività una idea progettuale per “mettere a sistema” gli spazi verdi urbani esistenti fino ad integrarli con le bellezze naturali. La partecipazione pubblica alle fasi di progettazione dei giardini è un modo funzionale al bisogno di innescare processi spontanei di appropriazione che preservi gli spazi verdi da incuria e vandalismo. La presenza di aree verdi ben tenute può estendere al tessuto urbano circostante una tensione positiva; uno stimolo all’interesse collettivo per l’identità, la storia, le funzioni e i ruoli ricoperti dai giardini nella città, affinché possano scaturire effetti benefici per il mantenimento degli stessi. Il “sistema” richiede l’organizzazione di un percorso ragionato di funzioni e usi differenziati. Le aree oggetto di progettazione debbono essere collegate idealmente in un percorso funzionale ad una fruizione diversificata, sia in termini di composizione spaziale che di presenza di strutture ludiche ed arboree, tale comunque da costituirsi in “sistema” di giardini pubblici. Dovrà essere posto in evidenza l’emergere di una funzione sociale dell’impianto, in rapporto alla possibilità di fruizione dell’intera Città.
Dobbiamo riportare gli asseminesi a godere del proprio patrimonio ed attrarre nuova domanda di qualità. Assemini è ciò che insieme siamo in grado di costruire e preservare. Ora spetta al Sindaco decidere.      

mercoledì 19 agosto 2015

Sant’Andrea, tra piazza devastata e Chiesa abbandonata






di Massimo Carboni
Era il mese di gennaio del 2014 quando i cittadini di Assemini s’indignarono per come venne ridotta la Piazza Sant’Andrea, in occasione de “Su fogaroni” di Sant’Antonio, sotto gli occhi degli impassibili neo amministratori grillini. Il Sindaco, alle doverose e pubbliche scuse, preferì rispondere con il solito duro attacco, sottolineando che la «vera vergogna era la vicina Chiesa in stato di abbandono». Da allora, il tempo è passato. Dall’insediamento del Sindaco, ben oltre due anni, ma lo stato della Chiesa continua a peggiorare ed anche il fuoco ha perso la sua espressione mitologica e la sua sacralità.   
La piazza Sant’Andrea è sempre stata per anni il biglietto da visita della Città di Assemini, per chi arriva dalla vicina Cagliari. Come per tutte le piazze cittadine ed i giardini pubblici, è vietato effettuare giochi con la palla, di transitarvi con qualsiasi veicolo, fatta eccezione per i tricicli condotti da bambini accompagnati da genitori, di effettuarvi qualsiasi gioco con pattini, tavole e altri acceleratori di andatura che possono arrecare danni alle cose e molestie alle persone presenti. Divieto che vale evidentemente per i cittadini, ma non per i politici “rivoluzionari” al potere.
La piazza è sempre stata curata, mentre negli ultimi anni riflette il degrado dell’intera cittadina, trascurata e sporca. Una città ricca di opportunità, ma priva di una identità e che tarda ad avviare una strategia vincente per la crescita e lo sviluppo. I cittadini sono delusi.
L’attuale maggioranza grillina, alla doverosa assunzione di responsabilità, ha sempre preferito negare anche l’apparenza, rilanciando un mare di promesse destinate puntualmente a cadere nel vuoto e nella confusione del qualunquismo, espresso goffamente fin dal giorno dell’insediamento. Quando i cittadini chiesero di ripagare i danni che avevano causato alla piazza, il Sindaco rispose, come al solito, molto seccato. In effetti, ai politici di professione non sono mai piaciuti i discorsi sulle indennità. Fatto che ad Assemini assume rilevanza oggettiva nel momento in cui nemmeno la promessa di ridurre le loro indennità è mai stata rispettata. Immaginiamoci ripagare un danno! Sarebbe stato come creare uno scomodo precedente.  

Nella piazza Sant’Andrea, sorge, appunto, la Chiesa settecentesca dedicata all'Apostolo pescatore. Come riporta il sito ufficiale del Comune di Assemini: «un tempo Chiesa campestre, oggi avamposto dell'espansione dell'edilizia cittadina». Un patrimonio importante che in altre realtà sarebbe un rilevante elemento da raccontare per assumere una funzione integrante e generatrice di rilancio culturale ed economico territoriale. La Chiesa era e rimane in rovina. Perché per “cambiare” ci vuole ben altro che la semplice e grottesca indignazione del politicante. Ora, ci chiediamo, quando e come il Sindaco intenda recuperare la Chiesa di Sant’Andrea dalla condizione di abbandono da lui stesso denunciata.     

sabato 15 agosto 2015

PUC, comiche di un ferragosto torrido


di Massimo Carboni
Il piano Urbanistico Comunale, approvato la scorsa settimana ad Assemini, è come una “corsa a staffetta” e chi taglia il traguardo non ha diritto di fregiarsi di alcun titolo personale. Allo stesso modo, chi ha partecipato alla "competizione" sul PUC deve sentirsi coerentemente parte di uno stesso obiettivo, maturando affiatamento e sincronismo, al fine di concretizzare il risultato socioeconomico e rispettare la funzione pubblica.
Così come la “staffetta” si basa sulla tecnica e sulla velocità dei diversi componenti, il PUC dovrebbe rappresentare il risultato di apporti costruttivi ed in linea con il compito proprio di ciascun partecipante. Come nella “staffetta”, l’approvazione del PUC,  è una variante a squadre di competizioni anche singolari, perciò è necessaria una preparazione supplementare: conoscenza, serenità e senso di responsabilità.
Durante la competizione sportiva è ammesso il tifo che non può prescindere dal rispetto delle persone e dell’essenza dei valori fondamentali dello sport. Allo stesso modo chi è stato chiamato ad assumere un ruolo istituzionale, deve comportarsi con la dovuta maturità. Ogni alterazione è automaticamente impropria e destinata ad alimentare il deserto (già abbastanza vasto).
Come in tutte le competizioni, anche nella “staffetta”, sono previste regole ed autorità con il compito di farle rispettare. Questo, perché l’individuo è ampiamente predisposto ad accettarle e considerarle valide sempre e solo per “gli altri”. Non diversamente accade durante l’approvazione del Puc: in molti, all’opposizione, continuano a predicare certi valori mentre in maggioranza - oltre agli insulti - praticavano rigide forme di cameratismo “0.2”. Evidentemente, con scarsi risultati, per la comunità.
Quando durante una competizione si commette un fallo, interviene il Giudice di gara (super partes). La sua, è una decisione spesso difficile, ma ha valore vincolante. I concorrenti possono esprimere il loro parere, ma non ribaltare il giudizio. Nel caso del Puc, invece, la “musica” si fa più “dura”. Sia che il Puc sia approvato con il voto potenzialmente illegittimo di alcuni membri della maggioranza ritenuti incompatibili, sia che venga approvato con i voti di una parte della minoranza (veramente disponibile) per evitare questioni di legittimità, il Puc è sempre lo stesso. Non cambia. È lo stesso che parte da lontano e che per due volte è stato “approvato” all’unanimità durante quest’ultima consiliatura. Quindi, perché una parte della minoranza fa ricorso? Quale interesse legittimo è stato violato? Il PUC, senza un progetto politico annesso, è solo un costo aggiuntivo per i cittadini.  

Insomma, è come se si decide di disputare un “torneo” con due squadre su tre competizioni. Vince chi consegue due primi posti su tre. Se la prima squadra ne vince tre e la terza nessuno, questa, non può pretendere di annullare l’intero torneo solo perché si è scoperto un fallo durante l’ultima partita non ripreso dal giudice di gara. Il risultato non cambia. La prima squadra, in ogni caso, ha vinto. Un comportamento del genere sarebbe sleale. In politica, invece, “strumentale” e nasconde la stessa sete di vendetta e mancanza di progettualità della maggioranza. La stessa che chiede le dimissioni della minoranza. A proposito, a che titolo?

Buon ferragosto!  

domenica 9 agosto 2015

Finalmente il Puc, ma anche tanta confusa ipocrisia



di Massimo Carboni
Assemini ha il suo Piano urbanistico. Uno strumento importante che detta regole certe e pone le basi per attuare un progetto strategico per la crescita e lo sviluppo anche socioeconomico. Un fatto rilevante, ma è necessario che l’Amministrazione comunale spieghi ai cittadini quale progetto, appunto strategico, intenda avviare per favorire la crescita, intesa nella sua articolata accezione. Altrimenti il PUC sarà percepito come un elemento per far cassa con l’ulteriore aumento degli introiti Imu. Questo dopo l’incremento sproporzionato della TARI ed il prossimo aumento dell’addizionale Irpef pari a circa 400 mila euro complessivi. Assemini non può permettersi gli effetti di un nuovo “Editto delle Chiudende”, nemmeno in chiave moderna.
Molto si è detto e scritto sulla possibile inefficacia dell’atto approvato a seguito delle incompatibilità presunte e ricercate. Meglio sarebbe stato per il Sindaco assicurarsi i voti proposti dalla minoranza, esonerando i casi “critici” della sua maggioranza. Sarebbe bastato chiedere alla minoranza di sottoscrivere un impegno formale. Qualcuno sarebbe stato sicuramente disposto a firmare l’impegno. Tutto sarebbe filato liscio, evitando il possibile annullamento dell’atto in questione ed inaugurata la stagione dei “volti”.
Il PUC è uno strumento, in quanto tale, da solo non può cambiare la vita degli asseminesi. Occorre riconoscere che quello approvato è incompleto ed in alcune parti slegato dall’evoluzione del contesto socioeconomico. Arriva con un ritardo di almeno 15 anni ed in un momento di profonda crisi, subita dalla mancanza di politiche attive, strutturali e di sistema. Ma, è un punto di partenza importante che non può prescindere dalla spinta al recupero ed alla valorizzazione del patrimonio immobiliare esistente. È grottesco puntare il dito su chi verrà potenzialmente avvantaggiato dal PUC. In una comunità che affonda le proprie radici su l’attività agropastorale, la proprietà diffusa di aree agricole è una costante. Del resto, per troppo tempo si è già abbondantemente pensato alla pianificazione urbanistica per impedire, piuttosto che per valorizzare.
Occorre spezzare la linea di continuità culturale che affonda le radici nel passato, anche più prossimo. Il progressivo imbarbarimento e la diffusa strumentalizzazione del confronto nulla hanno a che vedere con la funzione della Politica, perciò destinato a peggiorare lo stato di pericolosa ed evidente arretratezza ereditata. Insomma, la rivoluzione sta dall’altra parte.
Sono tante le gravi responsabilità in capo ai tanti amministratori succedutisi, ma anche ad una larga parte della società locale, organizzata e non. Noi cittadini abbiamo il dovere di riflettere sulle nostre azioni, omissioni e connivenze, ma anche sulle scelte dannose che alimentano forme di palese integralismo, causa principale di personalismi, invidie, odi e conseguenti vendette. Uno stato di offuscamento generale che favorisce il deterioramento politico ed il becero giustizialismo, peggio quando è esclusivo ed a senso unico. Una condizione di precarietà che confonde pericolosamente i ruoli tra chi ha il dovere di agire, proporre e controllare, raccontare nel rispetto dell’imparzialità e della completezza. Una spirale perversa di “ingegneria del deterioramento”, spesso doloso. Occorre anche calare le maschere, chiudere il sipario e ridefinire l’obiettivo: l’interesse generale.
Il sistema è strutturato per autodifendersi, nessuno può cambiarlo. Però è possibile crearne uno parallelo che trovi nella forza propulsiva e cognitiva dei cittadini, la spinta per la sua stessa affermazione. Il protagonismo civico deve maturare una coscienza pienamente indipendentista, non già per rivendicare una nuova forma di Stato, ma per attivare una nuova coscienza incentrata nell’autodeterminazione dei compiti e della gestione integrata delle opportunità. Deve trasformarsi nella base di arricchimento della politica e dei partiti, a cui la Costituzione demanda il compito principale di rappresentanza. Questi, devono uscire dalla confusione e dall’individualismo, delineando e diffondendo al più presto, in strada, il proprio progetto politico, a garanzia di una funzione attiva e pienamente rappresentativa. Bisogna combattere il qualunquismo frutto di mera, virale ed inconcludente indignazione fine a se stessa. Tutti abbiamo il dovere di consolidare i principi che animano la Libertà e la Giustizia nonché tramandarla, nel rispetto di quanti hanno combattuto senza nemmeno poterne godere dei benefici. I titoli e le conoscenze sono utili se impiegate per creare valore aggiunto, non per contribuire all’avanzata dei deserti.  
Bisogna dare risposte concrete alla crisi. Sicurezza, lavoro, innovazione, vivibilità, decoro, identità e politiche sociali non possono essere relegate ad una funzione esclusivamente elettoralistica, anonima e disarticolata. Esse sono il frutto di costi sostenuti con la pressione fiscale, diretta ed indiretta. Al contrario, sono obiettivi da raggiungere in chiave identitaria, riformista e progressista. La pianificazione urbanistica deve servire soprattutto a questo: dare un’anima ad Assemini e coordinare concretamente ogni azione in una forma di crescita e sviluppo armonico. Perciò non basta un programma.
Le città sono luoghi in cui emergono problemi, ma anche dove possono trovarsi soluzioni. I confini di ogni città non corrispondono più alla semplice realtà fisica, sociale, economica, culturale ed ambientale dello sviluppo urbano. Per tale motivo rendono necessari nuovi modelli di governance flessibili. Dobbiamo considerarle come ambienti di sviluppo sociale avanzato, di coesione sociale, di alloggi socialmente equilibrati, nonché di servizi sanitari ed educativi rivolti a tutti. Così come dobbiamo vedere nelle città una piattaforma funzionale della Democrazia; il dialogo culturale e la diversità come ricchezza; come un luogo verde, di rinascita ecologica ed ambientale; un luogo capace di attrarre ed un volano della crescita secondo un modello economico sociale e civile di mercato.
Spetta a tutti evitare che Assemini segua la strada della minaccia allo sviluppo urbano sostenibile. La politica deve governare gli effetti dei cambiamenti demografici; dell’instabilità economica; dell’allentamento dei rapporti tra crescita economica, occupazione e progresso sociale che spingono alla disoccupazione, al precariato ed al riposizionamento poco qualificato e mal retribuito; delle disparità di reddito che crescono aumentando il numero dei poveri. Le minacce devono essere scongiurate trasformandole in opportunità.
È necessario partire dalla valorizzazione delle diversità, affiancando all’economia globale una economia locale sostenibile. Ciò deve avvenire radicando nel tessuto economico locale competenze e risorse, nonché incentivando la partecipazione sociale e l’innovazione. Bisogna creare un’economia reattiva ed inclusiva che superi il modello di sviluppo in cui crescita economica non significa necessariamente un maggior numero di posti di lavoro. Le diversità socioeconomiche, culturali, etniche e generazionali vanno sfruttate per il loro rilevante potenziale e come fonte d’innovazione. La segregazione territoriale e la povertà energetica si combattono sostenendo politiche di risparmio e di necessaria valorizzazione ambientale; lo sviluppo equilibrato del territorio come la sua valorizzazione possono produrre benefici per le comunità residenti solo se si riesce a maturare una collaborazione funzionale (trasporti; spazi sociali, culturali, sportivi ed ambientali di qualità).
Non c’è più tempo da perdere:  occorre investire e valorizzare pienamente le risorse naturali e culturali presenti e nascoste, compresa la nostra lingua. Insegnare e divulgare ogni potenzialità per passare dal sentimento alla coscienza della nostra sardità elevandola a rango di fattore della produzione al pari della terra, del capitale, del lavoro e della conoscenza. Dobbiamo uscire da questo stato di standardizzazione ibernante ed attivarci con azioni logiche che facciano conoscere il nostro territorio per stimolare nuove e vincenti iniziative economiche. Dobbiamo imparare a “raccontare la nostra città”.
Come molte altre città della Sardegna, da troppo tempo Assemini segue una traiettoria di sviluppo molto debole, resa incerta dagli effetti prodotti dai profondi cambiamenti politico-istituzionali ed economici della società italiana ed europea. Esaurendosi i fattori che avevano generato la sua traiettoria di sviluppo, Assemini è in una fase di stallo economico con pesanti ripercussione socioculturali ed ambientali. L’economia è il punto cruciale attorno a cui si generano i problemi e si trovano le soluzioni. Assemini non ha dato molta importanza ai segni di indebolimento della sua struttura socioeconomica, all’affievolimento delle sue capacità generative ed attrattive. Confidando nella stabilità economica che il suo rango di “città del divertimento” sembrava garantirle. Stessa cosa relativamente alla presenza di un polo industriale prevalentemente chimico di dimensioni medio-alte di elevata qualità tecnologica. Assemini non ha anticipato e non si è predisposta ad affrontare i cambiamenti richiesti dal contesto globale di “competizione territoriale”, causando una caduta del livello delle aziende in esercizio ed indebolendo ulteriormente quelle che si trovavano già in difficoltà. Una accentuazione dell’incertezza sul futuro della Città stessa che non ha registrato, nemmeno da parte degli operatori, sufficiente capacità reattiva ed una incisiva azione propositiva.

Oggi Assemini si trova in una fase di collasso economico e senza alcuna strategia di sviluppo. Nelle ultime consiliature il focus della riflessione e dei processi decisionali si è spostato, dando rilevanza assoluta al PUC senza però ragionare preventivamente sullo stato attuale e senza confrontarsi guardando al futuro. È passata in secondo piano l’urgenza di rafforzare la sua base economica e l’esigenza di spronare l’innovazione per rispondere alle crescenti e mutevoli esigenze sociali. Il benessere perdona anche gli errori gestionali ed amministrativi. La crisi, invece, li accentua.   

domenica 2 agosto 2015

“Terrecotte”, il parco del degrado




Era il mese di gennaio del 2015 quando il Sindaco di Assemini dichiarava pubblicamente di aver revocato la concessione al gestore del Parco delle “Terrecotte” e dell’annesso bar “Il Tempio”. Il tempo è passato, ma lo stato di degrado permane anche ora che la competenza è esclusivamente del Comune.

«Finalmente riconsegneremo agli asseminesi il Parco degno di questo nome. Da troppi mesi provavo vergogna per le sue condizioni e spesso non sapevo cosa rispondere, perché era veramente imbarazzante che, a pochi metri dal palazzo comunale, ci fosse quel degrado e quello stato di abbandono». Questa la dichiarazione pubblica del Sindaco di Assemini, Mario Puddu, a cui fecero seguito impegni e promesse mai mantenute. Oggi, il parco è più sporco e più abbandonato di prima. Una vergogna tutta in capo all’amministrazione comunale che ne ha la competenza esclusiva. Oggi come allora, siamo costretti a recarci negli spazi verdi attrezzati dei comuni vicini. Questo per evitare incidenti nei giochi fatiscenti, di inciampare nei cumuli di immondizia disseminati e di perderci tra le erbacce. Nemmeno il bar è stato ancora assegnato.


Il Comitato Civico ViviAssemini invita il Sindaco a concentrarsi in modo costruttivo nei suoi doveri, tralasciando la propaganda che con il passare del tempo si dimostra sempre più inconsistente. Inoltre, al fine di garantire la tutela della salute pubblica ed il patrimonio comunale, invita le forze politiche rappresentative del Consiglio comunale ad attivare ogni azione opportuna per rendere il parco delle Terrecotte pienamente e civilmente fruibile.