di Massimo Carboni
Non bastavano i danni causati dalla speculazione pirata del “Piano
di Rinascita”, ora persino le fonti energetiche diventano, per “confusione”
politica, strumento di ulteriore impedimento. Proprio quelle che dovrebbero
avere la funzione di rendere la nostra Terra autonoma e competitiva. Poi, se a
questo si aggiunge la commistione con la gestione dei rifiuti, la mina è
innescata.
La Sardegna è un’isola che ha molto da
esprimere, un paradiso. Una risorsa naturale da valorizzare, in una Italia fuori
controllo ed in una Europa tutta da costruire. Da nessun’altra parte è
possibile godere di così tante bellezze naturali. Espressione di realtà ancora
incontaminate dove l’amore interiore per la natura ha prevalso sull’abuso. Una
sinfonia di suoni e di colori. Ambiente, tradizioni, identità e lingua sono il
simbolo di una storia antichissima ed elementi fondamentali per uno sviluppo territoriale
possibile e sostenibile. In Sardegna i Misteri si intrecciano con la realtà,
esaltandone fascino e ricchezza. Qui non manca niente, tranne la consapevolezza
dei sardi di essere uno dei popoli più fortunati del mondo. Un paradosso che
impedisce di produrre benessere per tutti. Un contrasto insostenibile. La
Sardegna non può permettersi nessuna ulteriore forma di scempio ambientale
perché è sulla biodiversità, identità ed evoluzione che si gioca la partita:
vivere o soccombere. È necessario sconfiggere l’individualismo che danneggia
tutti. Allo stesso modo la sindrome d’impotenza che contamina le nuove
generazioni, privandole del bisogno di credere nella loro doverosa autodeterminazione
economica e culturale. Da troppo tempo subiamo modelli di sviluppo malato calati
dall’alto. Sistemi che rafforzano il cordone ombelicale che lega gran parte
della classe dirigente a forme distorte di governo della cosa pubblica. La piena
rappresentatività e l’onestà sono precondizioni della politica. Eppure, progressivamente,
assumono contorni sempre più tenui anche nella politica applicata in mano agli
esperti.
Assemini è uno dei casi che sintetizza
cosa non deve essere mai più fatto. Una realtà strategica che tra azioni
politiche sbagliate e gravi omissioni non ha trovato la necessaria maturità per
imboccare la via d’uscita. La situazione ambientale era e rimane drammatica. L’area
di Macchiareddu è già gravemente compromessa, risultando - secondo i dati
diffusi dal Ministero della Salute - tra
le aree più inquinate d’Italia. Dai dati si evince che per ‹‹uomini e donne è
presente un eccesso di mortalità per le malattie dell'apparato respiratorio e
un difetto, per i soli uomini, per le malattie circolatorie. Il tumore della
pleura è in eccesso in entrambi i generi››. La causa sarebbe attribuibile
‹‹alla presenza di impianti chimici e discariche››. Dal Dipartimento di Sanità
Pubblica, sezione Medicina del Lavoro, dell'Università di Cagliari, è stato
pubblicato su “Epidemiologia e Prevenzione”, che la popolazione maschile
residente nel distretto di Cagliari ovest, esclusa la città di Cagliari,
presenta un elevato rischio di contrarre forme di leucemie. Ben 445 mila ettari di territorio sardo sono
compromessi. Aree che sono state iscritte in Siti d’Interesse Nazionale (SIN),
contaminate e che necessitano di urgenti interventi di bonifica del suolo, del
sottosuolo e/o delle acque superficiali e sotterranee per evitate ulteriori
danni ambientali e sanitari. Bonifiche che non si programmano e che non si
fanno. Circa un sardo su tre (la media nazionale è di 1 italiano su 9) vive in
un SIN, dove si sono registrati 10 mila decessi in eccesso rispetto ai
riferimenti regionali.
Mentre si consolida
la “guerra sarda” all’eolico (fonte energetica pulita), il 4
luglio del 2013 sono partiti i lavori per la realizzazione di un polo
energetico alimentato a biomassa, in territorio di Assemini nell’area
industriale di Macchiareddu. L’impianto dovrebbe assorbire 340 mila tonnellate
l’anno di biomassa per sviluppare una potenza energetica di 50 MW, da immettere
nella Rete di Trasmissione Nazionale. A seguito anche delle nostre
sollecitazioni, si aprì una discussione sull’utilità della centrale e sul suo
impatto ambientale. Ciò è avvenuto ad Assemini ed a Capoterra. Leggendo le
dichiarazioni degli amministratori a vari livelli, abbiamo rilevato una
insufficiente consapevolezza del bisogno di fare sistema e di collaborare
nell’interesse esclusivo del cittadino e di una condivisa impostazione
strategica di sviluppo. Da un lato i cittadini capoterresi che più di altri
subiscono il peso di impianti “ingombranti”; dall’altro il Comune di Assemini
che - nella precedente consiliatura - autorizzò e gestì le pratiche con estrema
solitudine e leggerezza. A questo si aggiunga il pasticcio sulla gestione del Parco
eolico che per anni non ha incassato un centesimo di quanto concordato. La
centrale a biomassa è destinata a ridurre il potenziale occupazionale e
l’energia prodotta non produrrà alcun beneficio sulle bollette dei sardi.
L’Isola continua a registrare un forte scompenso sul costo energetico rispetto
al resto d’Italia e d’Europa, incidendo negativamente sulla competitività.
Ora sembra giunto il momento degli
inceneritori. Non solo il potenziamento di quello esistente (Tecnocasic), ma si
profila persino l’ipotesi di uno nuovo, classificato “insediamento strategico
di preminente interesse nazionale ai fini della tutela della salute e
dell’ambiente”. I gestori degli impianti potranno importare spazzatura da tutta
Italia. Questo in virtù del decreto attuativo dell’articolo 35 del decreto
legge “Sblocca Italia” (convertito in legge a novembre 2014). La strategia
“rifiuti zero” promessa dalla Giunta regionale sembra sospesa a fronte di uno
stanziamento complessivo che si aggira intorno ai 90 milioni di euro, azzerando
le distanze programmatiche con il Governo ed accentuando quelle con i sardi. Una
scelta che contrasta con il cambio di rotta chiesto dall’Europa che indica
l’incenerimento come la quarta scelta in fatto di trattamento dei rifiuti, dopo
la riduzione della produzione, il riutilizzo post-consumo e il riciclo. La
Regione sarda precisa che è necessario recuperare energia. Questo in una Terra
che produce un surplus pari ad 1/3 di quella complessivamente prodotta.
Le scorie che residuano
dall’incenerimento prendono la strada delle discariche. Rappresentano in media almeno
il 22,5 % del materiale incenerito. Nonostante il revamping (ristrutturazione) dei due inceneritori isolani, non
mancano i progetti per la realizzazione di nuove megadiscariche. A Villacidro potrebbe
sorgere una discarica della capienza di 1 milione 350 mila metri cubi di
rifiuti, un volume tale da renderla una delle più grandi d’Italia. Una anche ad
Uta. Durante la fase di presentazione pubblica del servizio (sconosciuta ai
sardi nonostante gli indirizzi del “Principio di Precauzione”), è emersa l’esigenza
di abbattere la tariffa dal 35 al 40%. In Sardegna si differenzia per il 51% medio
con trend positivo (quasi il 25% in meno del risultato asseminese). Se la
strada tracciata dalla Regione e dall’Europa è quella di investire sul ciclo
virtuoso dei rifiuti fino a raggiungere il 92% (come accade in altre realtà
europee) perché altre discariche? Basterebbe investire in quella di Villacidro,
risparmiando e adattandola alle nuove conoscenze tecniche e scientifiche anche per
assicurare migliore salubrità ed impatto, nonché per garantire la sua funzione strutturale
all’inceneritore di Capoterra (compreso fermo impianto, eccedenza e trattamento
preventivo)?
Oltre al grave impatto su ambiente e
salute, il documento prodotto da “Medici per l’ambiente” mette in evidenza
anche la scarsa efficienza energetica degli inceneritori. Un esempio su tutti è
dato proprio dall’inceneritore della piana di Tossilo, dove il gestore compra
circa 4,3 Gwh di energia elettrica a fronte dei 3,7 prodotti. Se in passato (grazie
agli incentivi) il saldo dell’operazione era in positivo, oggi, venuti meno gli
incentivi, non è più così.
Per gli esperti, basterebbe incoraggiare
il riutilizzo, la raccolta differenziata e il riciclo, e dotarsi delle
tecnologie che evitano la combustione dei rifiuti, potendo dire addio agli
inceneritori ed alle discariche, visto che appena l’8% dei rifiuti non
troverebbe un nuovo impiego. Inoltre, la Commissione Europea ha sostenuto che un
diverso sistema di gestione del ciclo dei rifiuti potrebbe creare 580 mila
nuovi posti di lavoro in Europa. Ma, i politici nostrani, evidentemente, non la
pensano più così.
Per quanto riguarda la Sardegna, i
dati diffusi da Ispra parlano di 100 mila tonnellate di rifiuti in meno negli
ultimi quattro anni e di una raccolta differenziata, ripeto, pari al 51%. Molto
si potrebbe ancora fare innalzando gli attuali livelli di raccolta
differenziata incentrati sul sistema del “porta a porta” (così sostengono gli
esperti). Sono in molti a domandarsi come un rinnovato e potenziato parco
inceneritori possa convivere con la crescita tendenziale della raccolta
differenziata. Meno rifiuti comporta meno bisogno di incenerire. Infatti, i
gestori di questi impianti necessitano di una fonte continua di rifiuti per
alimentarli e pareggiare i costi. Non basta, come è possibile coniugare il
sistema delle premialità sulla tariffa di conferimento corrisposte ai comuni
virtuosi, con i costi fissi degli inceneritori, la cui copertura verrebbe meno
con il perfezionamento della raccolta differenziata? Insomma, il rischio è che
il sistema delle tariffe possa reggersi solo grazie all’intervento pubblico
pagato dai cittadini. Queste ed altre sono le ragioni che hanno spinto la “Zero
Waste Sardegna” ad inoltrare una istanza al Presidente della Regione Sardegna
per non approvare lo schema di Decreto attuativo.
Per concludere. A Macchiareddu, l’inceneritore da potenziare è
quello di Capoterra, mentre si prefigura la realizzazione di uno nuovo ad Uta
con annessa nuova discarica. Poco distante dal nuovo Carcere, dalla Comunità
terapeutica e dalla Centrale a biomasse in costruzione. In un’area che dovrebbe
garantire attrazione al patrimonio montano, mettendolo in rete con la laguna, i
fiumi e gli spazi verdi urbani dei centri coinvolti. Invece che puntare sulla “rete
delle bellezze”, si preferisce incassare subito un primo contributo di 40
milioni di euro per avviare ciò che nel resto dell’Europa è classificata “inutile
pratica criminale contro la salute ambientale e pubblica”. Nel frattempo, il revamping di Tossilo, contro cui c’è
stata una forte mobilitazione popolare, viene di fatto bocciato dalla
Commissione europea. Del resto, la Commissione, ha più volte espresso la sua
netta contrarietà al finanziamento di impianti per il recupero di energia
attraverso il revamping di
termovalorizzatori esistenti. Esattamente quanto condiviso dalla Regione sarda
e dal Ministero dell’Ambiente fino a pochi mesi fa. Ora hanno, evidentemente,
cambiato idea. Gli esperti e gli scienziati no.
Assemini è sostanzialmente coinvolta. Cosa
chiediamo al Sindaco Mario Puddu? Di seguire da vicino la contorta questione e
di tenere informati i cittadini sugli eventuali sviluppi. Di attivarsi, pur nei
limiti delle proprie competenze, per vigilare sulle contraddizioni che stanno
alla base di un progetto apparentemente per nulla diretto a tutelare l’interesse
dei sardi.