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Sono trascorsi cinque mesi dalla scelta della maggioranza di
ridurre il costo della tassa sui rifiuti solidi urbani a quelle imprese
disposte a rinunciare alle Slot Machine. Abbiamo monitorato gli effetti e
rilevato un risultato prevedibile: nessuna riduzione del gioco e un conseguente
maggiore incremento generalizzato del costo delle bollette dovuto anche al
minor introito determinato dallo sconto indipendente dall’abilitazione o meno
dell’esercente alla gestione del gioco.
In questi giorni, il dibattito sulla riforma per i giochi di
intrattenimento e svago, ha assunto rilevanza. Associazioni e privati hanno
manifestato legittime preoccupazioni sia per la sorte del settore, sia per le
misure evidentemente inutili a ridurre il grave danno che produce la ludopatia.
Nonostante tutto, la politica continua ad agire senza confronto e senza una
apparente logica tra obiettivo da raggiungere e strumenti da impiegare.
Come riportato da Il Sole 24 Ore, la legge di Stabilità 2016 (articolo 1, comma
936), recependo la raccomandazione della Commissione Ue del 2014 sulla
protezione dei consumatori e dei giocatori e dei minori ha disposto che, in
sede di conferenza unificata, siano definite le caratteristiche dei punti
vendita ove si raccoglie gioco pubblico e criteri per la riduzione,
distribuzione e concentrazione territoriale dei punti vendita stessi.
L’orientamento del Governo è quello di: ridurre l’offerta di
gioco (sia dei volumi, sia dei punti vendita); innalzare il livello qualitativo
dei punti gioco e loro operatori; definire regole in materia di distanze, orari
e controlli sino a un ventaglio di azioni preventive (riconoscimento mediante
la tessera sanitaria dei ludopatici e pubblicità).
Proviamo a proporre alla politica alcuni aspetti che possano
spingere in un’analisi meno fondata sui luoghi comuni e pregiudizi e più su
aspetti tecnici comprovati.
Partiamo dal presupposto che la questione è particolarmente
delicata per almeno quattro motivi: il primo è la sensibilità dell’opinione
pubblica in particolare all’abuso del gioco d’azzardo e dunque l’approdo alle
sue forme patologiche; il secondo concerne la rilevanza del comparto produttivo
del gioco d’azzardo, che si aggira su un non trascurabile 1’14% del Pil; il
terzo è la consistenza del gettito a beneficio dello Stato (gettito fiscale e
introiti diretti sui giochi promossi); il quarto è rappresentato dalle derive
proibizioniste di alcune amministrazioni regionali e locali.
Sono trascorsi due mesi da quando la fondazione Bruno
Visentini ha presentato nella sede Luiss il primo rapporto sulla percezione
sociale del gioco d’azzardo in Italia, frutto della collaborazione con
l’università Carlos III di Madrid (che da anni realizza un rapporto analogo in
Spagna) e Ipsos. Lo studio si basa sull’esame e l’elaborazione di una serie di
dati raccolti da un campione statisticamente rilevante di cittadini e la
somministrazione di un questionario a un campione di giocatori online con
l’obiettivo di fare chiarezza sul fenomeno del gioco nel nostro Paese. Uno
studio che ne conferma altri precedenti.
Vediamone i principali risultati. Sul versante della domanda
i dati sfatano il luogo comune che individua nei meno qualificati e negli
individui a rischio di esclusione sociale i maggiori consumatori. Emerge, infatti,
che le percentuali maggiori di giocatori si registrano tra laureati e diplomati
appartenenti a uno status sociale medio-alto. Questi ultimi sono proprio quelli
che consumano e spendono di più e con più frequenza al gioco. Per contro la
fascia dei giocatori “problematici” (pari allo 0,9% degli intervistati)
ricomprende gli individui con uno status sociale medio-basso e un’età tra i 45
e i 54 anni.
L’indagine effettuata ci consegna anche il profilo del
giocatore online: un giovane uomo tra i 25-34 anni, in possesso un diploma di
maturità che predilige le scommesse sportive e utilizza i siti di scommesse per
meno di 30 minuti al giorno, frequentando (in taluni casi forse ignaro) per
oltre il 40% anche siti di gioco illegale.
Sul versante dell’offerta le lotterie istantanee, o più
semplicemente i “Gratta&Vinci”, costituiscono ancora la tipologia di gioco
legale, e fisica, più diffusa nel nostro Paese, con oltre 60 consumatori su 100
che vi hanno fatto ricorso. Risalta, per contro, il dato sugli apparecchi da
intrattenimento, considerando che appena 2 consumatori su 100 ha dichiarato di
aver giocato, anche occasionalmente, alle Newslot o alle Videolottery nel 2016.
Queste ultime tuttavia forniscono oltre la metà (secondo i dati del ministero
dell’Economia) della raccolta.
Come interpretare ora le menzionate proposte di
regolamentazione alla luce di questi dati?
Secondo gli studiosi e gli esperti dell’articolato settore, appare
chiaro come sia poco utile concentrarsi unicamente sulla riduzione dell’offerta
che se drastica finirebbe inevitabilmente per incrementare l’offerta illegale.
Non solo, se, in un impeto di proibizionismo fossero messi al bando tutti i
giochi d’azzardo gli attuali giocatori problematici finirebbero con molta
probabilità per diventare consumatori compulsivi di altri servizi e prodotti
legali come gli alcolici o il tabacco.
Perciò, sarebbe meglio puntare sul miglioramento della
qualità dell’offerta (nei punti di gioco), sulle forme di riconoscimento
automatico dei giocatori problematici e sulla maggiore comunicazione per
responsabilizzare il giocatore verso la frequentazione di piattaforme online
illegali. Sul livello della prevenzione, purtroppo, non emergono proposte volte
a ridurre concretamente il disagio sociale che rende vulnerabili ampie fasce di
popolazione e per le quali il gioco d’azzardo è solo una delle tante modalità
di fuga dalla realtà.
Tornando al nostro microcosmo, appare chiaro che la scelta
fatta dalla maggioranza e avvallata dalla minoranza non risolve il problema, né
sotto l’aspetto formale, né sotto quello sostanziale.