lunedì 5 giugno 2017

LUDOPATIA, QUALUNQUISMO 2.0



Sono trascorsi cinque mesi dalla scelta della maggioranza di ridurre il costo della tassa sui rifiuti solidi urbani a quelle imprese disposte a rinunciare alle Slot Machine. Abbiamo monitorato gli effetti e rilevato un risultato prevedibile: nessuna riduzione del gioco e un conseguente maggiore incremento generalizzato del costo delle bollette dovuto anche al minor introito determinato dallo sconto indipendente dall’abilitazione o meno dell’esercente alla gestione del gioco.

In questi giorni, il dibattito sulla riforma per i giochi di intrattenimento e svago, ha assunto rilevanza. Associazioni e privati hanno manifestato legittime preoccupazioni sia per la sorte del settore, sia per le misure evidentemente inutili a ridurre il grave danno che produce la ludopatia. Nonostante tutto, la politica continua ad agire senza confronto e senza una apparente logica tra obiettivo da raggiungere e strumenti da impiegare.

Come riportato da Il Sole 24 Ore,  la legge di Stabilità 2016 (articolo 1, comma 936), recependo la raccomandazione della Commissione Ue del 2014 sulla protezione dei consumatori e dei giocatori e dei minori ha disposto che, in sede di conferenza unificata, siano definite le caratteristiche dei punti vendita ove si raccoglie gioco pubblico e criteri per la riduzione, distribuzione e concentrazione territoriale dei punti vendita stessi.

L’orientamento del Governo è quello di: ridurre l’offerta di gioco (sia dei volumi, sia dei punti vendita); innalzare il livello qualitativo dei punti gioco e loro operatori; definire regole in materia di distanze, orari e controlli sino a un ventaglio di azioni preventive (riconoscimento mediante la tessera sanitaria dei ludopatici e pubblicità).

Proviamo a proporre alla politica alcuni aspetti che possano spingere in un’analisi meno fondata sui luoghi comuni e pregiudizi e più su aspetti tecnici comprovati.

Partiamo dal presupposto che la questione è particolarmente delicata per almeno quattro motivi: il primo è la sensibilità dell’opinione pubblica in particolare all’abuso del gioco d’azzardo e dunque l’approdo alle sue forme patologiche; il secondo concerne la rilevanza del comparto produttivo del gioco d’azzardo, che si aggira su un non trascurabile 1’14% del Pil; il terzo è la consistenza del gettito a beneficio dello Stato (gettito fiscale e introiti diretti sui giochi promossi); il quarto è rappresentato dalle derive proibizioniste di alcune amministrazioni regionali e locali.

Sono trascorsi due mesi da quando la fondazione Bruno Visentini ha presentato nella sede Luiss il primo rapporto sulla percezione sociale del gioco d’azzardo in Italia, frutto della collaborazione con l’università Carlos III di Madrid (che da anni realizza un rapporto analogo in Spagna) e Ipsos. Lo studio si basa sull’esame e l’elaborazione di una serie di dati raccolti da un campione statisticamente rilevante di cittadini e la somministrazione di un questionario a un campione di giocatori online con l’obiettivo di fare chiarezza sul fenomeno del gioco nel nostro Paese. Uno studio che ne conferma altri precedenti.

Vediamone i principali risultati. Sul versante della domanda i dati sfatano il luogo comune che individua nei meno qualificati e negli individui a rischio di esclusione sociale i maggiori consumatori. Emerge, infatti, che le percentuali maggiori di giocatori si registrano tra laureati e diplomati appartenenti a uno status sociale medio-alto. Questi ultimi sono proprio quelli che consumano e spendono di più e con più frequenza al gioco. Per contro la fascia dei giocatori “problematici” (pari allo 0,9% degli intervistati) ricomprende gli individui con uno status sociale medio-basso e un’età tra i 45 e i 54 anni.

L’indagine effettuata ci consegna anche il profilo del giocatore online: un giovane uomo tra i 25-34 anni, in possesso un diploma di maturità che predilige le scommesse sportive e utilizza i siti di scommesse per meno di 30 minuti al giorno, frequentando (in taluni casi forse ignaro) per oltre il 40% anche siti di gioco illegale.

Sul versante dell’offerta le lotterie istantanee, o più semplicemente i “Gratta&Vinci”, costituiscono ancora la tipologia di gioco legale, e fisica, più diffusa nel nostro Paese, con oltre 60 consumatori su 100 che vi hanno fatto ricorso. Risalta, per contro, il dato sugli apparecchi da intrattenimento, considerando che appena 2 consumatori su 100 ha dichiarato di aver giocato, anche occasionalmente, alle Newslot o alle Videolottery nel 2016. Queste ultime tuttavia forniscono oltre la metà (secondo i dati del ministero dell’Economia) della raccolta.

Come interpretare ora le menzionate proposte di regolamentazione alla luce di questi dati?

Secondo gli studiosi e gli esperti dell’articolato settore, appare chiaro come sia poco utile concentrarsi unicamente sulla riduzione dell’offerta che se drastica finirebbe inevitabilmente per incrementare l’offerta illegale. Non solo, se, in un impeto di proibizionismo fossero messi al bando tutti i giochi d’azzardo gli attuali giocatori problematici finirebbero con molta probabilità per diventare consumatori compulsivi di altri servizi e prodotti legali come gli alcolici o il tabacco.

Perciò, sarebbe meglio puntare sul miglioramento della qualità dell’offerta (nei punti di gioco), sulle forme di riconoscimento automatico dei giocatori problematici e sulla maggiore comunicazione per responsabilizzare il giocatore verso la frequentazione di piattaforme online illegali. Sul livello della prevenzione, purtroppo, non emergono proposte volte a ridurre concretamente il disagio sociale che rende vulnerabili ampie fasce di popolazione e per le quali il gioco d’azzardo è solo una delle tante modalità di fuga dalla realtà.

Tornando al nostro microcosmo, appare chiaro che la scelta fatta dalla maggioranza e avvallata dalla minoranza non risolve il problema, né sotto l’aspetto formale, né sotto quello sostanziale. 

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