La Sardegna
è una Terra di contraddizioni. Ogni opportunità continua a scontrarsi con una realtà
sempre più drammatica. Il sentimento identitario tarda a trasformarsi in
coscienza, rinviando le responsabilità di una classe dirigente ampiamente
autoreferenziale e di un intero Popolo. Aumentano gli astenuti da tutto, come conseguenza
di una fiducia ripetutamente tradita. Cresce la diffidenza e ci si chiude in se
stessi, avulsi in un progressivo e tangibile arretramento. I capisaldi sociali
vengono meno e si rafforzano sentimenti bestiali, allontanandoci dal bisogno di
crescita armonica e civile. Per l’ennesima volta i sardi emigrano.
È difficile
accettare che tutto ciò che accade sia frutto delle nostre azioni e delle nostre
omissioni, ma bisogna avere il coraggio di interrogarci. Occorre capire se la
Sardegna non sia orfana per mano “amica”, prima ancora che “nemica”. Per
decenni si è ritenuto che fosse sufficiente delegare ad altri il nostro futuro.
Stiamo
continuando a percorrere la strada sbagliata. Riversiamo ogni attenzione nel
centralismo di Stato e di Governo come unici responsabili della serenità dei
nostri figli, mentre questo ha rappresentato e rappresenta il principale moltiplicatore
dei mali del nostro tempo. Davanti al bisogno di rafforzare la nostra
specialità, abbiamo rinnegato la nostra identità, accettando una
globalizzazione standardizzante e sperato nell’arrivo di un nuovo “messia”
senza curarci delle sue innumerevoli maschere. Così siamo diventati anonimi, semplici
contribuenti.
È necessario
che ogni sardo si assuma la propria responsabilità attraverso la rivendicazione
costante, pacifica e cognitiva di dosi crescenti di autogoverno. Dobbiamo
uscire dalla morsa della totale dipendenza per costruire un futuro legato al
nostro ambiente, alla nostra storia, alle nostre tradizioni, alla nostra
cultura, alla nostra lingua, alle nostre aspettative. Dobbiamo andare oltre
l’atavica divisione partitica per costruire nuove e libere istituzioni sociali
per perseguire obiettivi strategici comuni, partendo dalle nostre città. Dobbiamo
operare in un’ottica di sistema, rifiutandoci di alimentare il benessere dei
politicanti. La Politica non è una staffetta (ora ci sei tu, domani spetta a me).
La contrapposizione non deve essere per se stessi e per i partiti, ma per il
nostro benessere.
M. Carboni