di Massimo Carboni
Assemini ha il suo Piano urbanistico. Uno strumento
importante che detta regole certe e pone le basi per attuare un progetto strategico
per la crescita e lo sviluppo anche socioeconomico. Un fatto rilevante, ma è
necessario che l’Amministrazione comunale spieghi ai cittadini quale progetto,
appunto strategico, intenda avviare per favorire la crescita, intesa nella sua articolata
accezione. Altrimenti il PUC sarà percepito come un elemento per far cassa con l’ulteriore
aumento degli introiti Imu. Questo dopo l’incremento sproporzionato della TARI
ed il prossimo aumento dell’addizionale Irpef pari a circa 400 mila euro
complessivi. Assemini non può permettersi gli effetti di un nuovo “Editto delle
Chiudende”, nemmeno in chiave moderna.
Molto si è detto e scritto sulla possibile inefficacia
dell’atto approvato a seguito delle incompatibilità presunte e ricercate.
Meglio sarebbe stato per il Sindaco assicurarsi i voti proposti dalla
minoranza, esonerando i casi “critici” della sua maggioranza. Sarebbe bastato chiedere
alla minoranza di sottoscrivere un impegno formale. Qualcuno sarebbe stato
sicuramente disposto a firmare l’impegno. Tutto sarebbe filato liscio, evitando
il possibile annullamento dell’atto in questione ed inaugurata la stagione dei “volti”.
Il PUC è uno strumento, in quanto tale, da solo non può
cambiare la vita degli asseminesi. Occorre riconoscere che quello approvato è
incompleto ed in alcune parti slegato dall’evoluzione del contesto
socioeconomico. Arriva con un ritardo di almeno 15 anni ed in un momento di
profonda crisi, subita dalla mancanza di politiche attive, strutturali e di
sistema. Ma, è un punto di partenza importante che non può prescindere dalla
spinta al recupero ed alla valorizzazione del patrimonio immobiliare esistente.
È grottesco puntare il dito su chi verrà potenzialmente avvantaggiato dal PUC.
In una comunità che affonda le proprie radici su l’attività agropastorale, la
proprietà diffusa di aree agricole è una costante. Del resto, per troppo tempo
si è già abbondantemente pensato alla pianificazione urbanistica per impedire,
piuttosto che per valorizzare.
Occorre spezzare la linea di continuità culturale che
affonda le radici nel passato, anche più prossimo. Il progressivo
imbarbarimento e la diffusa strumentalizzazione del confronto nulla hanno a che
vedere con la funzione della Politica, perciò destinato a peggiorare lo stato
di pericolosa ed evidente arretratezza ereditata. Insomma, la rivoluzione sta
dall’altra parte.
Sono tante le gravi responsabilità in capo ai tanti amministratori
succedutisi, ma anche ad una larga parte della società locale, organizzata e
non. Noi cittadini abbiamo il dovere di riflettere sulle nostre azioni,
omissioni e connivenze, ma anche sulle scelte dannose che alimentano forme di palese
integralismo, causa principale di personalismi, invidie, odi e conseguenti vendette.
Uno stato di offuscamento generale che favorisce il deterioramento politico ed
il becero giustizialismo, peggio quando è esclusivo ed a senso unico. Una
condizione di precarietà che confonde pericolosamente i ruoli tra chi ha il
dovere di agire, proporre e controllare, raccontare nel rispetto
dell’imparzialità e della completezza. Una spirale perversa di “ingegneria del
deterioramento”, spesso doloso. Occorre anche calare le maschere, chiudere il
sipario e ridefinire l’obiettivo: l’interesse generale.
Il sistema è strutturato per autodifendersi, nessuno può
cambiarlo. Però è possibile crearne uno parallelo che trovi nella forza
propulsiva e cognitiva dei cittadini, la spinta per la sua stessa affermazione.
Il protagonismo civico deve maturare una coscienza pienamente indipendentista,
non già per rivendicare una nuova forma di Stato, ma per attivare una nuova
coscienza incentrata nell’autodeterminazione dei compiti e della gestione integrata
delle opportunità. Deve trasformarsi nella base di arricchimento della politica
e dei partiti, a cui la Costituzione demanda il compito principale di
rappresentanza. Questi, devono uscire dalla confusione e dall’individualismo,
delineando e diffondendo al più presto, in strada, il proprio progetto politico,
a garanzia di una funzione attiva e pienamente rappresentativa. Bisogna
combattere il qualunquismo frutto di mera, virale ed inconcludente indignazione
fine a se stessa. Tutti abbiamo il dovere di consolidare i principi che animano
la Libertà e la Giustizia nonché tramandarla, nel rispetto di quanti hanno
combattuto senza nemmeno poterne godere dei benefici. I titoli e le conoscenze
sono utili se impiegate per creare valore aggiunto, non per contribuire
all’avanzata dei deserti.
Bisogna dare risposte concrete alla crisi. Sicurezza, lavoro,
innovazione, vivibilità, decoro, identità e politiche sociali non possono
essere relegate ad una funzione esclusivamente elettoralistica, anonima e
disarticolata. Esse sono il frutto di costi sostenuti con la pressione fiscale,
diretta ed indiretta. Al contrario, sono obiettivi da raggiungere in chiave identitaria,
riformista e progressista. La pianificazione urbanistica deve servire soprattutto
a questo: dare un’anima ad Assemini e coordinare concretamente ogni azione in
una forma di crescita e sviluppo armonico. Perciò non basta un programma.
Le città sono luoghi in cui emergono problemi, ma anche dove
possono trovarsi soluzioni. I confini di ogni città non corrispondono più alla
semplice realtà fisica, sociale, economica, culturale ed ambientale dello
sviluppo urbano. Per tale motivo rendono necessari nuovi modelli di governance flessibili. Dobbiamo
considerarle come ambienti di sviluppo sociale avanzato, di coesione sociale,
di alloggi socialmente equilibrati, nonché di servizi sanitari ed educativi
rivolti a tutti. Così come dobbiamo vedere nelle città una piattaforma
funzionale della Democrazia; il dialogo culturale e la diversità come
ricchezza; come un luogo verde, di rinascita ecologica ed ambientale; un luogo
capace di attrarre ed un volano della crescita secondo un modello economico
sociale e civile di mercato.
Spetta a tutti evitare che Assemini segua la strada della
minaccia allo sviluppo urbano sostenibile. La politica deve governare gli
effetti dei cambiamenti demografici; dell’instabilità economica; dell’allentamento
dei rapporti tra crescita economica, occupazione e progresso sociale che
spingono alla disoccupazione, al precariato ed al riposizionamento poco
qualificato e mal retribuito; delle disparità di reddito che crescono
aumentando il numero dei poveri. Le minacce devono essere scongiurate
trasformandole in opportunità.
È necessario partire dalla valorizzazione delle diversità,
affiancando all’economia globale una economia locale sostenibile. Ciò deve
avvenire radicando nel tessuto economico locale competenze e risorse, nonché
incentivando la partecipazione sociale e l’innovazione. Bisogna creare
un’economia reattiva ed inclusiva che superi il modello di sviluppo in cui
crescita economica non significa necessariamente un maggior numero di posti di
lavoro. Le diversità socioeconomiche, culturali, etniche e generazionali vanno
sfruttate per il loro rilevante potenziale e come fonte d’innovazione. La
segregazione territoriale e la povertà energetica si combattono sostenendo
politiche di risparmio e di necessaria valorizzazione ambientale; lo sviluppo
equilibrato del territorio come la sua valorizzazione possono produrre benefici
per le comunità residenti solo se si riesce a maturare una collaborazione
funzionale (trasporti; spazi sociali, culturali, sportivi ed ambientali di
qualità).
Non c’è più tempo da perdere: occorre investire e valorizzare pienamente le
risorse naturali e culturali presenti e nascoste, compresa la nostra lingua.
Insegnare e divulgare ogni potenzialità per passare dal sentimento alla
coscienza della nostra sardità elevandola a rango di fattore della produzione
al pari della terra, del capitale, del lavoro e della conoscenza. Dobbiamo
uscire da questo stato di standardizzazione ibernante ed attivarci con azioni
logiche che facciano conoscere il nostro territorio per stimolare nuove e
vincenti iniziative economiche. Dobbiamo imparare a “raccontare la nostra città”.
Come molte altre città della Sardegna, da troppo tempo
Assemini segue una traiettoria di sviluppo molto debole, resa incerta dagli
effetti prodotti dai profondi cambiamenti politico-istituzionali ed economici
della società italiana ed europea. Esaurendosi i fattori che avevano generato
la sua traiettoria di sviluppo, Assemini è in una fase di stallo economico con
pesanti ripercussione socioculturali ed ambientali. L’economia è il punto
cruciale attorno a cui si generano i problemi e si trovano le soluzioni. Assemini
non ha dato molta importanza ai segni di indebolimento della sua struttura
socioeconomica, all’affievolimento delle sue capacità generative ed attrattive.
Confidando nella stabilità economica che il suo rango di “città del
divertimento” sembrava garantirle. Stessa cosa relativamente alla presenza di
un polo industriale prevalentemente chimico di dimensioni medio-alte di elevata
qualità tecnologica. Assemini non ha anticipato e non si è predisposta ad
affrontare i cambiamenti richiesti dal contesto globale di “competizione
territoriale”, causando una caduta del livello delle aziende in esercizio ed
indebolendo ulteriormente quelle che si trovavano già in difficoltà. Una
accentuazione dell’incertezza sul futuro della Città stessa che non ha
registrato, nemmeno da parte degli operatori, sufficiente capacità reattiva ed
una incisiva azione propositiva.
Oggi Assemini si trova in una fase di collasso economico e
senza alcuna strategia di sviluppo. Nelle ultime consiliature il focus della
riflessione e dei processi decisionali si è spostato, dando rilevanza assoluta
al PUC senza però ragionare preventivamente sullo stato attuale e senza
confrontarsi guardando al futuro. È passata in secondo piano l’urgenza di
rafforzare la sua base economica e l’esigenza di spronare l’innovazione per
rispondere alle crescenti e mutevoli esigenze sociali. Il benessere perdona
anche gli errori gestionali ed amministrativi. La crisi, invece, li accentua.
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