lunedì 10 aprile 2017

TRA RAGAZZINI, MEGLIO IL CONFRONTO DELLA COMPETIZIONE

C’è stato un periodo in cui i bambini giocavano e crescendo si aprivano alle contraddizioni del mondo forgiato dagli adulti.  Oggi sono spinti a competere da subito, nel nome di un progresso discutibile che rischia di cancellare anche il lato luminoso dell’infanzia





Studiando come spronare la partecipazione alla vita politica della comunità, partendo dai ragazzini e osservando l’estensione del modello standard applicato da molti comuni italiani (tipo “Sindaco per un giorno” o “Consiglio dei ragazzi”), è facile rilevare la condivisione dell’idea, ma non il metodo e il risultato.

In tali modelli la “competizione” è una costante da cui si evince l’ambivalenza: può essere l’origine di tante complicazioni, ma anche volano di cambiamento.

La competizione è insita nella natura dei genitori. Infatti, una volta diventati tali, “ci si sente calati in un clima che alimenta il senso di inadeguatezza”. Poi c’è la “competizione insostenibile” di chi innalza i bambini come trofei: “quello che parla prima, quello che cammina prima, quello che dorme di meno o di più, quello che mangia di più, quello che legge prima, quello che prende i voti migliori e altro ancora”.

Sorge spontanea la domanda: ma come si risolve? Secondo gli studi, la risposta è questa: “quando s’impara a sostituire la competizione con il confronto”.

Dunque, la competizione non è solo espressione negativa perché esiste anche una competizione “buona”, quella da insegnare e trasmettere come valore. Perché essere competitivi significa anche valorizzare i propri talenti e le proprie peculiarità e, affinché possano produrre utilità, occorre  farle emerge. Per questo motivo è bene che i più piccoli imparino a competere in modo sano, sapendo che ci sono regole e che il rispetto e l’attenzione per l’altro è la prima regola da imparare. Del resto, apprendere una buona competizione fornisce gli strumenti per imparare a vincere e perdere senza che mai diventino “esaltazione o tragedia”.

“Competizione personale, competizione lavorativa, competizione inutile, competizione sana, competizione scolastica e sportiva, competizione come metodo educativo, competizione e stress, competizione e gestione dello stress”. Ora anche competizione politica a scuola.

Insomma, mantenere l’equilibrio nei confronti della competizione non è facile e dipende dalla propria indole, ma anche dall’educazione impartita. Rimane un fatto: la competizione non deve escludere, ma coinvolgere anche chi non ha vinto. Perché un ragazzino può imparare a far crescere la società di cui è parte solo se è attivo, se la percepisce come sua e scopre che la diversità di vedute è una ricchezza non un limite. Certo, a chi governa anche un comune spetta il diritto di decidere, ma non di alimentare l’esclusione e i sui improduttivi effetti.  

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