Il Puc, anche
se utile e necessario, non rappresenta automaticamente la soluzione alla crisi socioeconomica
locale. È necessario che il Comune elabori una strategia di sviluppo e crescita
per concorrere a consolidare la base economica, per creare nuove opportunità lavorative
e superare i profondi ritardi infrastrutturali. In quindici mesi non si può
rivoluzionare una città, ma bisogna pur iniziare prima che scada il mandato.
Rileviamo
come per l’attuale amministrazione comunale asseminese, la pianificazione
urbanistica, sia intesa come elemento cruciale - se non unico - delle politiche
per la crescita e per lo sviluppo sociale ed economico. Un Puc non produce effetti
automatici nei contesti di crescita, ancora meno in una fase di profonda e
preoccupante recessione. La crisi è destinata a durare e anche i Comuni devono
assumere un ruolo attivo per contrastarla. Da un lato occorre concorrere al consolidamento
ed al miglioramento della funzionalità delle imprese esistenti, dall’altro creare
nuove opportunità di investimento per favorire nuovi stipendi. I Comuni devono
diventare un sistema, non un sub-sistema. La valorizzazione dell’impresa
territoriale deve guardare ai mercati con coraggio sostenuto. Occorre valorizzare
una forma di mercato che sia sociale e civile e completarla con l’attinenza territoriale.
Occorre investire nella definizione di una relazione diretta tra ambiente e società;
con le micro/piccole imprese locali e vedere negli abitanti dei detentori di
conoscenze. Il Comune deve assumere un ruolo chiave attraverso la buona
amministrazione, l’animazione economica attraverso attori locali, la ricerca di
partners non istituzionali, la stimolazione di strategie locali, la connessione
con gli indirizzi della collettività. Insomma, deve essere espressione del
sistema produttivo locale. Come asserito più volte dal M5s al governo
cittadino, durante la campagna elettorale, Assemini gode di una localizzazione
favorevole; di un patrimonio ambientale, identitario e culturale di primario
livello. Occorre passare ai fatti, uscire dall’isolamento e sentirsi
culturalmente parte di uno stesso “Sistema Sardegna” per collaborare con spirito
propositivo alla definizione ed alla conseguente attuazione di politiche integrate
per superare i ritardi infrastrutturali che scoraggiano lo sviluppo produttivo ed
ecosostenibile della nostra Isola. La Regione sarda non deve essere vista come
un nemico, ma come un interlocutore. Gli altri comuni non devono essere
considerati concorrenti, ma alleati. Assemini rappresenta una delle prime dieci
città sarde ed occorre che il pensiero e l’azione propositiva emerga nelle sedi
a tal scopo preposte. Bisogna investire e per farlo bisogna reperire fondi dove
ci sono, ossia in Europa. Impiegare per ogni cosa fondi derivanti dall’aumento
della tassazione comunale non è la strada da percorrere. L’organizzazione e l’avvio
di un “Ufficio europeo”, finalizzato a monitorare le opportunità e trasformarle
in progetti, è una priorità. Le fasce sociali deboli vanno tutelate con un
processo di adeguamento della macchina amministrativa alle opportunità offerte anche
dalla Regione e dal Governo.
Occorrono
politiche sociali innovative capaci di assicurare il rispetto della dignità
umana ed in grado di far fronte alle possibili emergenze del futuro. Questo deve
avvenire con progetti strutturali, superando elargizioni una tantum troppo
spesso slegate dalle opportune verifiche e dalle conseguenti prestazioni di
lavoro o di servizio. Ciò che viviamo, altro non è che il risultato di azioni sbagliate
o peggio di omissioni politiche.
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