La partecipazione politica
è, al contempo, un fenomeno antico e moderno. Certamente riconducibile già alle
polis greche, seppur con tutti i
limiti dipendenti dalle condizioni socioculturali di allora. È un fenomeno moderno
che riguarda i mutamenti sociali, economici ed identitari rispetto alle strutture
decisionali spesso incapaci di rappresentare in maniera adeguata le aspirazioni
e le rivendicazioni di comunità sempre più complesse.
Si tratta di un
argomento importante attorno a cui sono stati articolati pensieri ed azioni
rivolte ad integrare la democrazia rappresentativa con forme di democrazia diretta.
Aspetti fondamentali di libertà e giustizia, storicamente ostacolati da forme
di assolutismo e di dispotismo.
La partecipazione
politica si esprime con azioni e comportamenti diretti ad influenzare le
decisioni prese dai detentori del potere, siano essi istituzionali o partitici.
Decisioni di natura pratica, ma anche sostanziale. Uno strumento con il quale
si abbatte la confusione tra becero potere ed auspicata responsabilità funzionale.
Un sistema democratico necessario a sfuggire dall’arroganza dell’imposizione e dalla
più grave sudditanza sociale. Partecipare non significa solo “prendere parte” ad
un atto o ad un processo, ma “essere parte” di una comunità per rafforzarne la
legittimità democratica.
Gli istituti della
rappresentanza politica appaiono sempre meno adeguati alle nuove esigenze decisionali
della società, i cui livelli di
democrazia altro non sono che il risultato di lunghe ed articolate
rivendicazioni. I nuovi processi di emancipazione, rispetto alla dinamica dei più
aperti e più cognitivi bisogni sociali, necessitano di arricchire un modello di
democrazia finora strutturato per una società molto più semplice di quella
attuale. Ma, anche un modo per compensare le evidenti e gravi lacune di una
classe dirigente nemmeno pienamente rappresentativa.
Alle ultime
amministrative (2013) ad Assemini ha votato il 45,52% degli aventi diritto. In
questa condizione di preoccupante assenteismo, il M5s ha vinto le elezioni al
ballottaggio. Ha conseguito 2.059 voti su quasi 11 mila elettori (18,79%). Il Sindaco,
invece, 6.884 preferenze con una percentuale pari al 68,21% del 45,52% dei
votanti. Può questa definirsi democrazia anche solo rappresentativa?
Certamente sì. Ma ad
una condizione: che i principi della partecipazione e della democrazia diretta
diventino un fatto e non rimangano uno slogan elettorale. Allo stesso modo un
sano e costruttivo “recall” periodico
di ogni consigliere (anche di minoranza) sarebbe un passo in avanti. Chiaramente
la comunità non vuole essere interessata per questioni ordinarie, ma per quelle
che sono destinate a cambiare la loro vita anche in termini economici. Tra queste
vi è la predisposizione del bilancio preventivo (e la trasparenza di quello
consuntivo), di un progetto di crescita e sviluppo, della mobilità, della
sostenibilità energetica, delle bonifiche, della sicurezza, ma anche la scelta
del metodo di conferimento e raccolta dei rifiuti che rappresenta la voce di
costo più alta del bilancio comunale. Perciò destinata a produrre effetti sociali
anche nel lungo periodo.
Per ora le frasi
ricorrenti sono state: «la palla è nostra»; «agiremo in base alla nostra agenda»;
«personalizzerò il bilancio». Non ultima, relativamente al cambiamento irrispettoso
del programma elettorale proprio del sistema di conferimento dei rifiuti: «…
le scelte vanno prese e le prende chi amministra. Poi ovviamente si discute e
in conclusione si valutano i risultati delle decisioni prese, e li si vedrà se
tali decisioni erano giuste oppure no».
Insomma, pare che il Consigliere “portavoce” penta
stellato voglia dire: con i miei 47 voti (ben sotto i 71 voti medi di
preferenza della lista) posso asserire che decidiamo tutto noi e nessuno può
giudicarci prima dei cinque anni.
W la democrazia!