L’ambito globale nel
quale viviamo è il luogo in cui si esplica l’attività umana. È qui che si
manifestano volontà, progettazione e realizzazione. In tale dimensione, le
città rappresentano un elemento fisico fondamentale. La vera sfida è l’affermazione
del loro sviluppo per garantire più sicurezza, qualità della vita, decoro,
identità, innovazione e lavoro. Tanti sforzi sono stati fatti, ma non basta.
Per troppo tempo lo
stile di vita urbano, gli usi del territorio, la produzione industriale, la
mancanza di strategie, di visione e concertazione hanno inciso negativamente
sulla vivibilità in senso lato, causando degrado del territorio e
desertificazione politica, nonché il sacrificio di rilevanti risorse naturali a
vantaggio di una politica profondamente dipendentista, statalista, clientelare,
personalistica, qualunquista. Quindi, miope e improduttiva rispetto al bisogno
di efficienza economica, meritocrazia, fiducia e preservazione dell’uso
durevole delle risorse per garantire il soddisfacimento dei bisogni anche
latenti delle generazioni presenti e soprattutto future.
Le necessarie e grandi
scelte di politica di sviluppo tardano a rispondere ad un nuovo modello culturale.
Prevale la sterile contrapposizione improntata sull’ordinaria amministrazione. Il
crescente distacco dei cittadini dalla politica dei partiti continua a non
insegnare. Chi è stato chiamato ad amministrare deve sforzarsi di guardare
oltre e nel rispetto dei ruoli, perché non conta dove arriva il singolo, ma
come e dove arriva l’intera comunità. Se gli
interessi della Città sono posizionati al primo posto, non si diserta il Consiglio per impedire di deliberare 90 mila euro di riduzione della TARI. Tutti, nelle
nostre funzioni quotidiane, siamo chiamati a costruire benefici sociali.
Non si può più
prescindere dall’agire secondo un progetto che definisca “la città che vogliamo”, da concretizzare attraverso scelte
programmatiche di breve, medio e lungo periodo, attraverso la condivisione
delle responsabilità pubbliche. Bisogna partire da un nuovo modello di governance incentrato sulla trasparenza
e partecipazione, ampia e cognitiva; sulla combinazione dei fattori produttivi;
sulla gestione integrata e di sistema. In sintesi: occorre rinnovare il modo di
operare dell’Ente locale per accrescere e costruire sempre nuove opportunità.
Partiti e movimenti devono investire in benessere e ricchezza, piuttosto che
alimentarsi cavalcando il malessere diffuso specie a più alti livelli.
Le autonomie locali
sono state oggetto di un processo di trasformazione tecnico-amministrativa. In
particolare, sul versante dell’efficienza, economicità, trasparenza e
responsabilità dell’azione amministrativa. Ma, la mission di un comune non può
prescindere dal suo ruolo politico-strategico di sviluppo ad ampio raggio. La
misura dell’erba di un prato, la busta piena di un cestino pubblico, le
batterie dell’orologio lungo una via, il dovere alla surroga di un consigliere,
non possono continuare ad essere percepiti come unica forma di confronto o
contrapposizione tra ruoli politici. È necessario investire in soluzioni
strutturali.
È urgente scoprire e
coltivare una nuova cultura riformatrice, affinché l’ente locale allarghi la
sua funzione di “autonomia organizzatoria
e gestionale”, ispirandosi a criteri aziendalistici e manageriali, per governare
e affidare la gestione di tutte le risorse presenti sul territorio secondo
competenza, economicità ed efficienza. Le storture familistiche e clientelari
vanno corrette. Solo in questo modo si potrà rispondere alle attese e ai
bisogni di cittadini e imprese. La sfida tra minoranza e maggioranza è
doverosa, ma deve puntare sulle diversità di pensiero e di proposta, senza
sconfinare nell’insulto e nella delegittimazione. Del resto, partiti e
movimenti sono in un cronico ritardo evolutivo, perciò rappresentano una
risicata minoranza di cittadini e imprese. Sono “classe dirigente” e devono dare l’esempio. Devono ricostruire i
partiti per formare nuovi potenziali amministratori, imparando a distinguere i
rapporti personali da quelli politici.
Cittadini e imprese devono
uscire dal vittimismo per sforzarsi di contribuire attivamente all’auspicato
processo di crescita armonica. In una società complessa tutti hanno diritti, ma
anche doveri. Allo stesso modo, chi governa non deve considerare costoro un
intralcio alla sua attività. Cittadini e imprese sono utenti, clienti
depositari della sovranità. In quanto tali, percepiscono concretamente il
valore economico dell’offerta politico-amministrativa rispetto alla qualità
della stessa. Il senso civico è destinato ad aumentare. La cittadinanza
diventerà sempre più attiva, quindi attenta. Sempre più consapevole dei propri
diritti. Sarà sempre più critica ed esigente nei confronti della pubblica
amministrazione. Vorrà sempre più trasparenza ed efficienza, perché paga.
Occorre correggere e anticipare gli eventi.
La “Buona amministrazione” non può più
limitarsi ad assicurare il minimo indispensabile nel rispetto della legge, ma deve
offrire servizi adeguati, innovare interpretando e provvedendo ai bisogni del
cittadino-utente-cliente/consumatore. Egli, in un contesto globale, costituisce
una risorsa che può essere persa. Non è solo un “fatto” elettorale. Perciò, la qualità dell'azione amministrativa viene
sempre più misurata rispetto alla qualità della vita che è in grado di offrire,
intesa come intreccio tra vivibilità, condizioni economiche, di benessere e
coesione sociale.
I servizi necessari
erogati non saranno più solo di base, ma anche a “domanda individuale”. Ciò presuppone la formulazione di una offerta
diversificata e di qualità. Gli oneri necessari saranno sempre più a carico
dell’utenza consentendo una migliore tracciabilità e redistribuzione delle
risorse. I sempre minori trasferimenti statali vanno ottimizzati e orientati a
ciò che è strettamente necessario. Questo presuppone una revisione delle
strategie gestionali e finanziarie dell’ente per poter far fronte alla domanda.
In sostanza, il termine “costo” va
sostituito con “investimento”.
L’attuale componente
gestionale locale appare inadeguata a governare e a controllare, in tempo
reale, le risorse e gli impegni per due ordini di motivi: assetti organizzativi
interni non funzionali; persistere di una cultura ostativa dell’autonomia degli
assetti gestionali e della riforma della pubblica amministrazione. Appare
conseguentemente necessario dotare l’ente di strumenti, indirizzi e programmi strategici
adeguati, in grado di implementare nel concreto la cultura di governo e la
gestione imprenditoriale dell’ente, superando la conduzione settoriale. Questo
è compito della Politica e dell’affermazione del suo primato. Di tutta la
politica.
Lo “Sviluppo sostenibile” di cui spesso si
parla, non è sinonimo di ambiente, ma si riferisce ad un contesto ben più ampio
che riguarda tutti gli aspetti socioeconomici e culturali dello sviluppo. Il
Comune deve organizzarsi e dotarsi di una strategia e di un idoneo modello di governance per assolvere pienamente al
suo ruolo su più livelli di gestione: fornire direttamente e indirettamente
servizi; regolamentare; indirizzare con il buon esempio la comunità; fungere da
promotore, consigliere e partner; mobilitare le risorse locali e attrarre
quelle esterne; avviare il dialogo e il dibattito; applicare la pubblica
informazione e tornare fisicamente tra i cittadini e gli operatori economici.
Un processo articolato che deve essere sistemico e integrato, sottoposto a continue
valutazioni attraverso indicatori sui quali strutturare le decisioni politiche.
La partecipazione è
la chiave di volta per assicurare decisioni pubbliche le più “esatte” e “rappresentative”. Non solo, la concertazione deve individuare obiettivi
e strategie, in modo che l'azione amministrativa non sia di sola responsabilità
dell'amministrazione comunale, ma sia pienamente attuativa del principio di
sussidiarietà. Si tratta di un percorso difficile, ma che deve trovare
necessariamente - attraverso la mediazione tra soggetti cognitivi - la sintesi
programmatica ed operativa. Del resto, chi governa è stato eletto dalla maggioranza dei cittadini non dalla minoranza consiliare.
La “macchina amministrativa” necessita di
forti motivazioni. Affinché i servizi siano di qualità occorrono dipendenti
disponibili, professionalmente preparati, motivati e coinvolti. Le lacune vanno
colmate anche ricorrendo a professionalità esterne con competenze specifiche
che potranno essere reclutate con i diversi strumenti di lavoro flessibile
previsti dal legislatore per favorire competitività territoriale. Razionalizzare
e sburocratizzare equivale a garantire efficacia, efficienza ed economicità.
Ma, occorre anche coordinamento, strutturale e funzionale. Punti di contatto che
consentano ai cittadini ed alle imprese di esprimere bisogni e priorità, in
modo da indirizzare le scelte degli amministratori.