I processi di decentramento
amministrativo devono trovare nelle città il bisogno consapevole di affermare nuove
forme di autonomia, per ampliare il proprio ruolo e promuovere lo sviluppo
territoriale nonché garantire l’erogazione di servizi innovativi e di qualità. Le
città devono aumentare la loro competitività, anche ricercando sinergie economiche
e sociopolitiche. Ciò presuppone una chiara visione strategica e deve trovare
in un funzionale modello di governance la chiave di volta. Ma, se si trascurano
le precondizioni, si rischia il suicidio politico.
«Il
concetto di governance, ormai ampiamente utilizzato per descrivere le
molteplici tipologie di coordinazione sociale ed economica, rappresenta un
cambiamento nel significato di governo che fa riferimento ad un nuovo processo
e a nuove modalità di governare» (Rhodes, 1997).
Aspetto che non può prescindere dal grado di fidelizzazione progressivamente
affermato attraverso la “buona amministrazione”.
«Dal
punto di vista lessicale il termine governance è sempre esistito, nella lingua
inglese e francese, con riferimento all’idea del governo in quanto attività, a
fronte proprio del government riguardante, invece, l’istituzione pubblica che
ha l’autorità di governare» (Bobbio, 2002).
«Più in generale mentre il government
rinvia ad un approccio istituzionale, la governance è legata ai processi di
organizzazione e di interazione, alle politiche pubbliche e agli orientamenti
che consentono di superare una prospettiva meramente istituzionale» (Mayntz, 1999). È una differenza sostanziale che non può
prescindere dal rapporto costruttivo e dalla capacità di mediazione dimostrata.
Di fatto, la governance urbana,
ha un obiettivo chiaro e definito: assicurare l’espressione, la proposta ed il
giudizio dei cittadini, delle loro organizzazioni sociali e di interessi per
costruire un “attore collettivo” che possa incidere almeno nelle scelte strategiche.
Soggetti che sono portatori di interessi e razionalità differenti e che devono
trovare nell’organo politico-amministrativo capacità di concretizzare e, soprattutto,
esempio di buona amministrazione.
Sotto l’aspetto puramente
politico, l’affermazione di un nuovo modello di governance urbana, non può
prescindere dall’analisi scrupolosa delle sue dimensioni: interna ed esterna. Nel
primo caso, occorre aver maturato la capacità di interagire nonché integrare i
cittadini e le loro organizzazioni. Nel secondo caso, occorre aver maturato la
capacità di esprimersi al di fuori dei propri confini.
Sostanzialmente, in un contesto
in cui prevale il conflitto strutturale, politico e sociale non si può
pretendere di costruire da un giorno all’altro un unico attore collettivo. Allo
stesso modo, nella dimensione esterna, la capacità di difendere una strategia,
un progetto, una rivendicazione di categoria necessita di una sinergia d’intenti
che non può essere imposta, ma costruita nel tempo. Non tenere conto di questi
aspetti basilari rischia di trasformare una ottima intenzione in un clamoroso
boomerang.
La partecipazione non può essere
relegata ad una scelta di programma. Deve trovare nella capacità politica e
strategica la ratio della sua alta funzione. Essa non può prescindere dal
superamento di una radicata logica gerarchica, di chiusura e dalla frammentazione
indotta dalla politica intesa e ridotta a lotta continua per il personalismo. I
cittadini, singoli e organizzati, parteciperanno (se parteciperanno) attivamente
con l’obiettivo di trarre beneficio dalla concertazione. Per attuare in modo
produttivo la partecipazione occorre prima affermare sinergia e fiducia
reciproca. Aspetto che non può prescindere da un preventivo miglioramento delle
condizioni di vita dei cittadini, di forme di apertura modulari e di incentivo
all’unità organizzativa (ad esempio consulta delle associazioni e del volontariato).
Perché lo scopo è (e deve rimanere) rendere la città più funzionale e competitiva
all’esterno.
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