domenica 22 maggio 2016

La partecipazione è fondamentale, ma anche pericolosa


I processi di decentramento amministrativo devono trovare nelle città il bisogno consapevole di affermare nuove forme di autonomia, per ampliare il proprio ruolo e promuovere lo sviluppo territoriale nonché garantire l’erogazione di servizi innovativi e di qualità. Le città devono aumentare la loro competitività, anche ricercando sinergie economiche e sociopolitiche. Ciò presuppone una chiara visione strategica e deve trovare in un funzionale modello di governance la chiave di volta. Ma, se si trascurano le precondizioni, si rischia il suicidio politico.

«Il concetto di governance, ormai ampiamente utilizzato per descrivere le molteplici tipologie di coordinazione sociale ed economica, rappresenta un cambiamento nel significato di governo che fa riferimento ad un nuovo processo e a nuove modalità di governare» (Rhodes, 1997). Aspetto che non può prescindere dal grado di fidelizzazione progressivamente affermato attraverso la “buona amministrazione”.

«Dal punto di vista lessicale il termine governance è sempre esistito, nella lingua inglese e francese, con riferimento all’idea del governo in quanto attività, a fronte proprio del government riguardante, invece, l’istituzione pubblica che ha l’autorità di governare» (Bobbio, 2002). «Più in generale mentre il government rinvia ad un approccio istituzionale, la governance è legata ai processi di organizzazione e di interazione, alle politiche pubbliche e agli orientamenti che consentono di superare una prospettiva meramente istituzionale» (Mayntz, 1999). È una differenza sostanziale che non può prescindere dal rapporto costruttivo e dalla capacità di mediazione dimostrata.

Di fatto, la governance urbana, ha un obiettivo chiaro e definito: assicurare l’espressione, la proposta ed il giudizio dei cittadini, delle loro organizzazioni sociali e di interessi per costruire un “attore collettivo” che possa incidere almeno nelle scelte strategiche. Soggetti che sono portatori di interessi e razionalità differenti e che devono trovare nell’organo politico-amministrativo capacità di concretizzare e, soprattutto, esempio di buona amministrazione.  

Sotto l’aspetto puramente politico, l’affermazione di un nuovo modello di governance urbana, non può prescindere dall’analisi scrupolosa delle sue dimensioni: interna ed esterna. Nel primo caso, occorre aver maturato la capacità di interagire nonché integrare i cittadini e le loro organizzazioni. Nel secondo caso, occorre aver maturato la capacità di esprimersi al di fuori dei propri confini.

Sostanzialmente, in un contesto in cui prevale il conflitto strutturale, politico e sociale non si può pretendere di costruire da un giorno all’altro un unico attore collettivo. Allo stesso modo, nella dimensione esterna, la capacità di difendere una strategia, un progetto, una rivendicazione di categoria necessita di una sinergia d’intenti che non può essere imposta, ma costruita nel tempo. Non tenere conto di questi aspetti basilari rischia di trasformare una ottima intenzione in un clamoroso boomerang.  

La partecipazione non può essere relegata ad una scelta di programma. Deve trovare nella capacità politica e strategica la ratio della sua alta funzione. Essa non può prescindere dal superamento di una radicata logica gerarchica, di chiusura e dalla frammentazione indotta dalla politica intesa e ridotta a lotta continua per il personalismo. I cittadini, singoli e organizzati, parteciperanno (se parteciperanno) attivamente con l’obiettivo di trarre beneficio dalla concertazione. Per attuare in modo produttivo la partecipazione occorre prima affermare sinergia e fiducia reciproca. Aspetto che non può prescindere da un preventivo miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini, di forme di apertura modulari e di incentivo all’unità organizzativa (ad esempio consulta delle associazioni e del volontariato). Perché lo scopo è (e deve rimanere) rendere la città più funzionale e competitiva all’esterno. 

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