sabato 14 maggio 2016

IL RUOLO DEL COMUNE NEL PROCESSO EVOLUTIVO VERSO LO SVILUPPO



L’ambito globale nel quale viviamo è il luogo in cui si esplica l’attività umana. È qui che si manifestano volontà, progettazione e realizzazione. In tale dimensione, le città rappresentano un elemento fisico fondamentale. La vera sfida è l’affermazione del loro sviluppo per garantire più sicurezza, qualità della vita, decoro, identità, innovazione e lavoro. Tanti sforzi sono stati fatti, ma non basta.

Per troppo tempo lo stile di vita urbano, gli usi del territorio, la produzione industriale, la mancanza di strategie, di visione e concertazione hanno inciso negativamente sulla vivibilità in senso lato, causando degrado del territorio e desertificazione politica, nonché il sacrificio di rilevanti risorse naturali a vantaggio di una politica profondamente dipendentista, statalista, clientelare, personalistica, qualunquista. Quindi, miope e improduttiva rispetto al bisogno di efficienza economica, meritocrazia, fiducia e preservazione dell’uso durevole delle risorse per garantire il soddisfacimento dei bisogni anche latenti delle generazioni presenti e soprattutto future.

Le necessarie e grandi scelte di politica di sviluppo tardano a rispondere ad un nuovo modello culturale. Prevale la sterile contrapposizione improntata sull’ordinaria amministrazione. Il crescente distacco dei cittadini dalla politica dei partiti continua a non insegnare. Chi è stato chiamato ad amministrare deve sforzarsi di guardare oltre e nel rispetto dei ruoli, perché non conta dove arriva il singolo, ma come e dove arriva l’intera comunità.  Se gli interessi della Città sono posizionati al primo posto, non si diserta il Consiglio per impedire di deliberare 90 mila euro di riduzione della TARI. Tutti, nelle nostre funzioni quotidiane, siamo chiamati a costruire benefici sociali.

Non si può più prescindere dall’agire secondo un progetto che definisca “la città che vogliamo”, da concretizzare attraverso scelte programmatiche di breve, medio e lungo periodo, attraverso la condivisione delle responsabilità pubbliche. Bisogna partire da un nuovo modello di governance incentrato sulla trasparenza e partecipazione, ampia e cognitiva; sulla combinazione dei fattori produttivi; sulla gestione integrata e di sistema. In sintesi: occorre rinnovare il modo di operare dell’Ente locale per accrescere e costruire sempre nuove opportunità. Partiti e movimenti devono investire in benessere e ricchezza, piuttosto che alimentarsi cavalcando il malessere diffuso specie a più alti livelli.

Le autonomie locali sono state oggetto di un processo di trasformazione tecnico-amministrativa. In particolare, sul versante dell’efficienza, economicità, trasparenza e responsabilità dell’azione amministrativa. Ma, la mission di un comune  non può prescindere dal suo ruolo politico-strategico di sviluppo ad ampio raggio. La misura dell’erba di un prato, la busta piena di un cestino pubblico, le batterie dell’orologio lungo una via, il dovere alla surroga di un consigliere, non possono continuare ad essere percepiti come unica forma di confronto o contrapposizione tra ruoli politici. È necessario investire in soluzioni strutturali.

È urgente scoprire e coltivare una nuova cultura riformatrice, affinché l’ente locale allarghi la sua funzione di “autonomia organizzatoria e gestionale”, ispirandosi a criteri aziendalistici e manageriali, per governare e affidare la gestione di tutte le risorse presenti sul territorio secondo competenza, economicità ed efficienza. Le storture familistiche e clientelari vanno corrette. Solo in questo modo si potrà rispondere alle attese e ai bisogni di cittadini e imprese. La sfida tra minoranza e maggioranza è doverosa, ma deve puntare sulle diversità di pensiero e di proposta, senza sconfinare nell’insulto e nella delegittimazione. Del resto, partiti e movimenti sono in un cronico ritardo evolutivo, perciò rappresentano una risicata minoranza di cittadini e imprese. Sono “classe dirigente” e devono dare l’esempio. Devono ricostruire i partiti per formare nuovi potenziali amministratori, imparando a distinguere i rapporti personali da quelli politici.

Cittadini e imprese devono uscire dal vittimismo per sforzarsi di contribuire attivamente all’auspicato processo di crescita armonica. In una società complessa tutti hanno diritti, ma anche doveri. Allo stesso modo, chi governa non deve considerare costoro un intralcio alla sua attività. Cittadini e imprese sono utenti, clienti depositari della sovranità. In quanto tali, percepiscono concretamente il valore economico dell’offerta politico-amministrativa rispetto alla qualità della stessa. Il senso civico è destinato ad aumentare. La cittadinanza diventerà sempre più attiva, quindi attenta. Sempre più consapevole dei propri diritti. Sarà sempre più critica ed esigente nei confronti della pubblica amministrazione. Vorrà sempre più trasparenza ed efficienza, perché paga. Occorre correggere e anticipare gli eventi.

La “Buona amministrazione” non può più limitarsi ad assicurare il minimo indispensabile nel rispetto della legge, ma deve offrire servizi adeguati, innovare interpretando e provvedendo ai bisogni del cittadino-utente-cliente/consumatore. Egli, in un contesto globale, costituisce una risorsa che può essere persa. Non è solo un “fatto” elettorale. Perciò, la qualità dell'azione amministrativa viene sempre più misurata rispetto alla qualità della vita che è in grado di offrire, intesa come intreccio tra vivibilità, condizioni economiche, di benessere e coesione sociale.

I servizi necessari erogati non saranno più solo di base, ma anche a “domanda individuale”. Ciò presuppone la formulazione di una offerta diversificata e di qualità. Gli oneri necessari saranno sempre più a carico dell’utenza consentendo una migliore tracciabilità e redistribuzione delle risorse. I sempre minori trasferimenti statali vanno ottimizzati e orientati a ciò che è strettamente necessario. Questo presuppone una revisione delle strategie gestionali e finanziarie dell’ente per poter far fronte alla domanda. In sostanza, il termine “costo” va sostituito con “investimento”.

L’attuale componente gestionale locale appare inadeguata a governare e a controllare, in tempo reale, le risorse e gli impegni per due ordini di motivi: assetti organizzativi interni non funzionali; persistere di una cultura ostativa dell’autonomia degli assetti gestionali e della riforma della pubblica amministrazione. Appare conseguentemente necessario dotare l’ente di strumenti, indirizzi e programmi strategici adeguati, in grado di implementare nel concreto la cultura di governo e la gestione imprenditoriale dell’ente, superando la conduzione settoriale. Questo è compito della Politica e dell’affermazione del suo primato. Di tutta la politica.

Lo “Sviluppo sostenibile” di cui spesso si parla, non è sinonimo di ambiente, ma si riferisce ad un contesto ben più ampio che riguarda tutti gli aspetti socioeconomici e culturali dello sviluppo. Il Comune deve organizzarsi e dotarsi di una strategia e di un idoneo modello di governance per assolvere pienamente al suo ruolo su più livelli di gestione: fornire direttamente e indirettamente servizi; regolamentare; indirizzare con il buon esempio la comunità; fungere da promotore, consigliere e partner; mobilitare le risorse locali e attrarre quelle esterne; avviare il dialogo e il dibattito; applicare la pubblica informazione e tornare fisicamente tra i cittadini e gli operatori economici. Un processo articolato che deve essere sistemico e integrato, sottoposto a continue valutazioni attraverso indicatori sui quali strutturare le decisioni politiche.

La partecipazione è la chiave di volta per assicurare decisioni pubbliche le più “esatte” e “rappresentative”. Non solo, la concertazione deve individuare obiettivi e strategie, in modo che l'azione amministrativa non sia di sola responsabilità dell'amministrazione comunale, ma sia pienamente attuativa del principio di sussidiarietà. Si tratta di un percorso difficile, ma che deve trovare necessariamente - attraverso la mediazione tra soggetti cognitivi - la sintesi programmatica ed operativa. Del resto, chi governa è stato eletto dalla maggioranza dei cittadini non dalla minoranza consiliare. 

La “macchina amministrativa” necessita di forti motivazioni. Affinché i servizi siano di qualità occorrono dipendenti disponibili, professionalmente preparati, motivati e coinvolti. Le lacune vanno colmate anche ricorrendo a professionalità esterne con competenze specifiche che potranno essere reclutate con i diversi strumenti di lavoro flessibile previsti dal legislatore per favorire competitività territoriale. Razionalizzare e sburocratizzare equivale a garantire efficacia, efficienza ed economicità. Ma, occorre anche coordinamento, strutturale e funzionale. Punti di contatto che consentano ai cittadini ed alle imprese di esprimere bisogni e priorità, in modo da indirizzare le scelte degli amministratori. 

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