I necessari principi di autonomia
funzionale delle città non possono prescindere da un nuovo approccio culturale,
cosciente e responsabile. Storicamente, le trasformazioni sul piano politico e
socioeconomico si sono scontrate con i ritardi di una macchina amministrativa clientelare, centralista
e farraginosa.
La stabilità del rapporto fra
territorio e strutture istituzionali è un metodo superato. Integrazione europea,
globalizzazione e libertà di circolazione hanno cambiato l’economia, la società
e la politica. La classica struttura gerarchica istituzionale (Organi
sovranazionali, Stato-nazione, Regioni, Province e Comuni) non poteva rispondere
al bisogno dinamico di crescita e sviluppo. Le città non potevano e non possono
rappresentare l’ultimo anello di una catena arrugginita né destinatarie passive
di scelte centraliste. Le città sono luoghi in cui agiscono persone (fisiche e
giuridiche), in cui circolano merci, si erogano servizi ed informazioni. Quindi,
il luoghi in cui si progettano, si concretizzano e si vivono i processi di
crescita e sviluppo. Per lo stesso motivo, sono anche i luoghi in cui nascono conflitti,
disagi e marginalità.
«Dal
punto di vista socioeconomico la transizione alla città postindustriale, almeno
nei paesi ad economia avanzata, si è definitivamente compiuta» (Bagnasco, 1990). Contemporaneamente, sono sorti nuovi
bisogni e, conseguentemente, si è sviluppata nuova domanda riguardante:
ambiente, cultura, socialità, articolati stili di vita. A questa domanda deve
fare seguito un’offerta adeguata affinché il sistema possa trovare un
vantaggioso e produttivo equilibrio. È proprio la qualità urbana la risposta
concreta a questa ricca varietà di domande con forte contenuto sociale in
termini sostenibili.
La competizione politica non può limitarsi alla vittoria
elettorale, ma deve concentrarsi nella costruzione di una risposta tangibile e
progettuale che parta dalla riorganizzazione dello spazio e della funzione
della città per creare occasioni di benessere.
Allo stesso modo, la competizione
tra comuni deve rappresentare il metodo per superare l’apatia e il cronico
vittimismo. Le città devono assumere la funzione di promotrici dello sviluppo
locale facendo perno sul “marketing urbano” per attirare capitali privati,
conoscenze, imprese, organizzazioni internazionali, eventi e manifestazioni qualificanti
con logica strutturale. La globalizzazione non deve essere subita, ma governata investendo nella propria specificità. Ciò necessita di continui processi innovativi,
quindi anche di nuove istituzioni sociali tradizionalmente escluse dai processi
di governo locale. I danni
causati dalla partitocrazia vanno superati allargando gli orizzonti.
«L’autonomia
politica e la conseguente capacità di strutturazione sociale della città sono
infatti pienamente possibili solo quando gli organi centrali entrano in crisi,
ovvero quando i poteri superiori sono deboli o incerti»
(Bagnasco e Le Galès, 2001).
In sintesi, l’obiettivo non deve essere la
rievocazione della “Città-Stato”, ma: «un
rafforzamento, da una parte, del tentativo di ridefinizione di una cultura locale,
e dall’altro ad un aumento della mobilitazione di interessi, di gruppi e di istituzioni
in una strategia collettiva per una città nei confronti di altre città, dello Stato
e delle forze di mercato» (Ibidem, 2001).
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