sabato 21 maggio 2016

Crescita e sviluppo dipendono dai comuni


I necessari principi di autonomia funzionale delle città non possono prescindere da un nuovo approccio culturale, cosciente e responsabile. Storicamente, le trasformazioni sul piano politico e socioeconomico si sono scontrate con i ritardi di una macchina amministrativa clientelare, centralista e farraginosa. 
  
La stabilità del rapporto fra territorio e strutture istituzionali è un metodo superato. Integrazione europea, globalizzazione e libertà di circolazione hanno cambiato l’economia, la società e la politica. La classica struttura gerarchica istituzionale (Organi sovranazionali, Stato-nazione, Regioni, Province e Comuni) non poteva rispondere al bisogno dinamico di crescita e sviluppo. Le città non potevano e non possono rappresentare l’ultimo anello di una catena arrugginita né destinatarie passive di scelte centraliste. Le città sono luoghi in cui agiscono persone (fisiche e giuridiche), in cui circolano merci, si erogano servizi ed informazioni. Quindi, il luoghi in cui si progettano, si concretizzano e si vivono i processi di crescita e sviluppo. Per lo stesso motivo, sono anche i luoghi in cui nascono conflitti, disagi e marginalità. 

«Dal punto di vista socioeconomico la transizione alla città postindustriale, almeno nei paesi ad economia avanzata, si è definitivamente compiuta» (Bagnasco, 1990). Contemporaneamente, sono sorti nuovi bisogni e, conseguentemente, si è sviluppata nuova domanda riguardante: ambiente, cultura, socialità, articolati stili di vita. A questa domanda deve fare seguito un’offerta adeguata affinché il sistema possa trovare un vantaggioso e produttivo equilibrio. È proprio la qualità urbana la risposta concreta a questa ricca varietà di domande con forte contenuto sociale in termini sostenibili. 

La competizione politica non può limitarsi alla vittoria elettorale, ma deve concentrarsi nella costruzione di una risposta tangibile e progettuale che parta dalla riorganizzazione dello spazio e della funzione della città per creare occasioni di benessere. 

Allo stesso modo, la competizione tra comuni deve rappresentare il metodo per superare l’apatia e il cronico vittimismo. Le città devono assumere la funzione di promotrici dello sviluppo locale facendo perno sul “marketing urbano” per attirare capitali privati, conoscenze, imprese, organizzazioni internazionali, eventi e manifestazioni qualificanti con logica strutturale. La globalizzazione non deve essere subita, ma governata investendo nella propria specificità. Ciò necessita di continui processi innovativi, quindi anche di nuove istituzioni sociali tradizionalmente escluse dai processi di governo locale. I danni causati dalla partitocrazia vanno superati allargando gli orizzonti.

«L’autonomia politica e la conseguente capacità di strutturazione sociale della città sono infatti pienamente possibili solo quando gli organi centrali entrano in crisi, ovvero quando i poteri superiori sono deboli o incerti» (Bagnasco e Le Galès, 2001). 

In sintesi, l’obiettivo non deve essere la rievocazione della “Città-Stato”, ma: «un rafforzamento, da una parte, del tentativo di ridefinizione di una cultura locale, e dall’altro ad un aumento della mobilitazione di interessi, di gruppi e di istituzioni in una strategia collettiva per una città nei confronti di altre città, dello Stato e delle forze di mercato» (Ibidem, 2001).

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