Per troppo tempo il rapporto “amministrazione pubblica” e
“principi economici aziendali” è stato considerato un obbrobrio, piuttosto che
una naturale e storica realtà.
La causa di tale errata interpretazione dipende certamente
dal cronico ritardo con cui le scienze economiche hanno concentrato gli studi
nel settore della Pubblica amministrazione. In particolare, quella
dell’Economia aziendale.
Eppure, già nel 1841, Villa, individuava due tipologie di
amministrazione: pubblica e privata a cui si potevano applicare gli stessi
metodi di gestione e contabilità. Nel 1922, con il Besta, si affrontavano i
concetti di azienda di “produzione” e di “consumo”. Poi, nel 1986, Cerboni,
riferendosi ai comini, alle province e allo Stato, parlava di “enti economici”.
Certo, nelle riflessioni storiche mancava una teoria chiara
in grado di porre le amministrazioni pubbliche in un concetto unitario di
azienda. Aspetto risolto nella definizione moderna di economia aziendale.
Secondo Zappa, “l’azienda è una coordinazione economica in
atto, istituita e retta per il soddisfacimento dei bisogni umani”. Aziende in
cui si colloca anche l’Amministrazione pubblica in cui il soddisfacimento dei
bisogni avviene in maniera diretta (consumo). Per Onida, “l’azienda è un
complesso economico posto in essere ed operante sistematicamente per il
soddisfacimento, diretto o indiretto, dei bisogni umani”. Stessa cosa per
Amaduzzi e Vianello. Quest’ultimo asserisce chiaramente che “l’azienda è una
organizzazione di persone e di beni indispensabili per il raggiungimento del
fine o dei fini di un ente”.
Oggi, l’Amministrazione pubblica, è definita come “azienda
di erogazione composta”, ossia un’azienda avente la finalità di svolgere sia il
processo di consumo, sia quello di produzione. Diverso il soggetto economico
che nel caso dell’azienda pubblica è la collettività mentre in quella privata è
un gruppo limitato di persone.
Quotidianamente, la Pubblica amministrazione, pone in essere
atti di natura economica: produzione di beni e servizi, raccolta e
trasferimento di mezzi finanziari a fini perequativi, sostegno alle imprese ed
altro ancora. Persegue l’obiettivo dell’equilibrio economico. Sostanzialmente
il riferimento, spesso con tono negativo, alla “aziendalizzazione” della
Pubblica amministrazione è errato in quanto induce a pensare ad un processo di
progressiva trasformazione che è invece nella sua natura.
Nel secondo dopoguerra, le esigenze di ricostruzione in
senso lato, hanno reso necessario un ruolo eccezionale dello Stato. Bisognava
creare un modello sociale, politico ed economico in grado di superare le
anomalie del capitalismo senza cadere nelle profonde contraddizioni del
socialismo reale. È così che si affermava un modello che, nel riconoscere il
valore della libertà e della proprietà privata, gestiva direttamente in modo
massiccio e diffuso funzioni che sarebbero dovute essere del mercato (non dello
Stato e degli Enti periferici).
Piuttosto che limitarsi alla definizione delle regole, in
nome del Welfare State, l’Italia ha applicato una tassazione crescente fino a
divenire asfissiante. Con spirito dirigista ed interventista, ha promesso
infruttuosamente di appagare direttamente gran parte dei bisogni sociali. La
“macchina statale, ha raggiunto dimensioni abnormi ed insostenibili. Ha trasformato
la funzione burocratica da “filtro” a impedimento, fino a perdere completamente
il controllo. Da qui, lo sperpero di denaro pubblico e le logiche clientelari
in un generalizzato sistema di irresponsabilità diffuse. Sono lievitati i costi
e il debito pubblico, conseguentemente la pressione fiscale fino a determinare
una spirale distruttiva.
Il compito della pubblica amministrazione è quello di
operare, in modo coordinato e secondo un sistema unitario, perseguendo i
principi ed i caratteri della gestione aziendali, assicurando efficacia ed
efficienza dell’azione, senza sconfinare in funzioni che non le competono e che
riguardano il mercato (a tutela dei cittadini).
Perciò, anche un Comune che vuole migliorare la funzione
politico sociale, non deve sostituirsi agli operatori privati (spesso
organizzati in associazioni di volontariato) anche perché non ne ha le
competenze, ma deve limitarsi ad indirizzare e sostenere, lasciando a questi la gestione. Allo stesso modo, per l’erogazione
di altri servizi attraverso il più funzionale affidamento esterno.