mercoledì 20 aprile 2016

Zona Franca. La Regione delibera ciò che non serve.

Con Decreto del Consiglio dei Ministri presieduto da Romano Prodi del 10 marzo 1998 nr. 75, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 7 aprile 1998 nr. 81, sono stati autorizzati sette Punti Franchi (Cagliari; Portovesme; Portotorres; Arbatax; Oristano-Ottana ed Olbia) che, però, non sono mai stati istituiti.
Sono trascorsi ben 18 anni di inerzie che hanno impedito alla Sardegna di offrire nuove ed avvincenti opportunità economiche. Anni in cui si è combattuto con forza la vertenza entrate con lo Stato. Si è chiesto ripetutamente presenza e sostegno pubblico a fronte degli innumerevoli drammi che affliggono la Sardegna. Poco e niente si è fatto per rendere produttivo ciò che è invece a portata di mano e che rientra nei compiti della Regione, delle province e dei comuni. Sono trascorsi 18 anni e non si è stati capaci di delimitare le aree dei Punti Franchi autorizzati, impedendo di avviarne la loro operatività per produrre crescita e sviluppo.
È noto che i vantaggi di tali Punti Franchi riguardano la fiscalità di vantaggio come la riduzione del costo dell’energia, quindi maggiori opportunità per gli investimenti. In questi anni trascorsi inutilmente, tante aziende hanno abbandonato la Sardegna attratti da ambienti economici e sociali più vantaggiosi. Altre non si sono mai insediate. È la regola dell’economia: si investe dove conviene. Per citare un esempio concreto, un noto marchio di ciclomotori agli inizi degli anni 2000 guardò alla Sardegna per investire nel “costituendo” Punto Franco di Cagliari, ma sono dovuti andar via stanchi di attendere una risposta istituzionale. Se i Punti Franchi fossero stati attuati, tante aziende non avrebbero chiuso e altre avrebbero trovato convenienza ad investire. Nel frattempo, migliaia di operai continuano a vedere solo lo spettro della disoccupazione.
Continuiamo ad addebitare allo Stato ogni nostro malessere, senza mai chiederci dove abbiamo sbagliato, quali siano state le nostre omissioni e quale sia il nostro progetto per la Sardegna di oggi e di domani.
È di questi giorni la novità (già anticipata dal Presidente Pigliaru) di procedere all’attuazione dei Punti Franchi. Peccato che siano stati presi “fischi per fiaschi”.
Infatti, la Regione sarda stravolge il contenuto del Decreto 75/98 e scambia i Punti Franchi in Zone Franche non Intercluse. In altri termini, sceglie di non definire le aree in base al Codice Doganale Europeo, declassa l'autonomia regionale speciale a quella di una regione a Statuto ordinario ponendosi in concorrenza diretta con Taranto che già opera con una soluzione simile senza creare alcun valore aggiunto e nessun elemento economico attrattivo.
Un fatto grave che lascia inalterate le difficoltà a richiamare investimenti internazionali certamente più interessati a delocalizzare in vere zone franche. Inutile, i primi a volere disoccupazione e conseguente assistenzialismo è la classe dirigente. Si tarda a capire che il futuro della nostra economia non è la riaffermazione del feudalesimo. Esso va ben oltre gli annunci, l’ordinaria amministrazione e la chiusura interistituzionale.

Riportiamo l’intervento integrale di Mario Carboni:

«Le delibere della Giunta Pigliaru hanno calpestato i suoi diritti autonomistici, la speranza in un progetto lungamente desiderato, sfregiata, beffeggiata e infine negata.
E i sardi che l'hanno voluta, hanno lottato decenni, presi in giro.
Non si doveva realizzare l'antico sogno sardista, e al quale nessuno rinuncia, di una zona franca fiscale e doganale definita dalle coste dell'Isola e a disposizione di tutti, ma solamente una tappa intermedia raggiunta con tanti sforzi con finalmente l'applicazione del decreto legislativo 75/98 che ha istituito le zone franche a Cagliari, Portovesme, Oristano, Porto Torres, Olbia e Arbatax.
Con Cagliari già definita anche se parzialmente da un successivo decreto del 2001, si dovevano perimetrare le altre e dare contenuti indispensabili, inviando al Governo le decisioni per i successivi decreti attuativi.
Si è invece deciso di non perimetrare, di non ritagliare, di non definire le aree come prescrive il Codice doganale Europeo, cioè delle VERE zone franche doganali.
Si è scelto di deliberare delle cosiddette "zone franche non intercluse", cioè un insieme di depositi doganali, come ad esempio a Taranto, che così si sono dovuti ingegnare non avendo la Puglia come noi, la previsione dei punti franchi nel loro Statuto regionale.
Si è dato un calcio allo Statuto sardo e alle potenzialità solo nostre per allinearsi ad un disegno romano che questa scelta ha fatto per tutti, anche per noi sardi come se fossimo in una regione a Statuto ordinario e non un isola, con ben altre ragioni e diritti.
Non hanno delimitato nulla, come era loro preciso dovere,ma si sono inventati una "delimitazione virtuale" a strisce colorate dipinte per terra.
Non avendo delimitato nulla, nulla dovrebbero inviare al Governo, che questo aveva chiesto col Decreto 75/89.
Infatti il Governo a nulla serve a realizzare delle zone franche non intercluse, perché non deve attuare nessun Statuto ma non serve neppure la Regione, dato che per questa soluzione basta interessare l'Agenzia delle dogane, che come a Taranto è bastata con proprie decisioni per farla partire.
Per attuare il nostro Statuto e quindi per far emanare i successivi singoli decreti previsti per le 5 zone franche sarde rimanenti , oltre alla cagliaritana già delimitata , dalla 75/98 , serve l'operatività della Commissione paritetica per le norme d'attuazione dello Statuto speciale per la Regione Sardegna, all'interno della quale e con successivi passaggi si arriva a concordare i testi che saranno emanati dal Governo.
Questo percorso sembra stato saltato dalla Giunta ed il motivo è semplice, il contenuto deliberato non riguarda delle vere zone franche bensì dei depositi franchi che sono un'altra cosa rispetto alle Zone Franche Doganali.
C'è anche da osservare che le zone franche non intercluse, dal 1 giugno 2016 non saranno più permesse perché scade la proroga prevista dall'ultimo Codice doganale comunitario e quindi non si rischia ma è certo che le zone franche non intercluse sarde non inizieranno neppure a vagire.
Certo tutto è possibile, anche che il codice venga cambiato ma è molto difficile che accada.
Accadrà nella migliore delle ipotesi che il passaggio successivo da molti auspicato da zona franca doganale a zona franca fiscale o Free zone non potrà realizzarsi e quindi l'attirare capitali e conoscenze e imprese dall'esterno, oltre che il protagonismo dell'imprenditoria locale non avverrà.
Queste se ne andranno nelle vere zone franche intecluse che circondano la Sardegna e spuntano in Europa come funghi, mentre noi rimarremo impiccati all'assistenzialismo statalista, cioè all'inedia e alla disoccupazione.
La scelta della Giunta si è concentrata su Olbia e Portovesme-Sant'Antioco, dimenticando le altre.
In queste due zone sono previste zone franche non intercluse e quindi parafrasando Lussu nel suo giudizio sull'Autonomia ottenuta e diversa da quella richiesta, ci si aspettava dalla Giunta non il leone della zona franca integrale, ma almeno il gatto della zona franca doganale interclusa, abbiamo avuto in regalo invece il topo della zona franca non interclusa e per giunta condannato a morte. La sentenza sarà eseguita dal 1 Giugno 2016.

Bisogna rimboccarsi le maniche e continuare nella lotta per la zona franca sarda sino a quando non si otterrà nella sua interezza, per questo serve unità d'intenti e non mollare mai».

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