Con Decreto del Consiglio dei Ministri presieduto da Romano
Prodi del 10 marzo 1998 nr. 75, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 7
aprile 1998 nr. 81, sono stati autorizzati sette Punti Franchi (Cagliari;
Portovesme; Portotorres; Arbatax; Oristano-Ottana ed Olbia) che, però, non sono
mai stati istituiti.
Sono trascorsi ben 18 anni di inerzie che hanno impedito
alla Sardegna di offrire nuove ed avvincenti opportunità economiche. Anni in
cui si è combattuto con forza la vertenza entrate con lo Stato. Si è chiesto
ripetutamente presenza e sostegno pubblico a fronte degli innumerevoli drammi
che affliggono la Sardegna. Poco e niente si è fatto per rendere produttivo ciò
che è invece a portata di mano e che rientra nei compiti della Regione, delle
province e dei comuni. Sono trascorsi 18 anni e non si è stati capaci di
delimitare le aree dei Punti Franchi autorizzati, impedendo di avviarne la loro
operatività per produrre crescita e sviluppo.
È noto che i vantaggi di tali Punti Franchi riguardano la
fiscalità di vantaggio come la riduzione del costo dell’energia, quindi
maggiori opportunità per gli investimenti. In questi anni trascorsi
inutilmente, tante aziende hanno abbandonato la Sardegna attratti da ambienti
economici e sociali più vantaggiosi. Altre non si sono mai insediate. È la regola
dell’economia: si investe dove conviene. Per citare un esempio concreto, un
noto marchio di ciclomotori agli inizi degli anni 2000 guardò alla Sardegna per
investire nel “costituendo” Punto Franco di Cagliari, ma sono dovuti andar via
stanchi di attendere una risposta istituzionale. Se i Punti Franchi fossero
stati attuati, tante aziende non avrebbero chiuso e altre avrebbero trovato
convenienza ad investire. Nel frattempo, migliaia di operai continuano a vedere
solo lo spettro della disoccupazione.
Continuiamo ad addebitare allo Stato ogni nostro malessere,
senza mai chiederci dove abbiamo sbagliato, quali siano state le nostre
omissioni e quale sia il nostro progetto per la Sardegna di oggi e di domani.
È di questi giorni la novità (già anticipata dal Presidente
Pigliaru) di procedere all’attuazione dei Punti Franchi. Peccato che siano
stati presi “fischi per fiaschi”.
Infatti, la Regione sarda stravolge il contenuto del Decreto
75/98 e scambia i Punti Franchi in Zone Franche non Intercluse. In altri
termini, sceglie di non definire le aree in base al Codice Doganale Europeo, declassa
l'autonomia regionale speciale a quella di una regione a Statuto ordinario
ponendosi in concorrenza diretta con Taranto che già opera con una soluzione
simile senza creare alcun valore aggiunto e nessun elemento economico attrattivo.
Un fatto grave che lascia inalterate le difficoltà a
richiamare investimenti internazionali certamente più interessati a delocalizzare
in vere zone franche. Inutile, i primi a volere disoccupazione e conseguente assistenzialismo
è la classe dirigente. Si tarda a capire che il futuro della nostra economia non
è la riaffermazione del feudalesimo. Esso va ben oltre gli annunci, l’ordinaria
amministrazione e la chiusura interistituzionale.
Riportiamo l’intervento integrale di Mario Carboni:
«Le delibere della Giunta Pigliaru
hanno calpestato i suoi diritti autonomistici, la speranza in un progetto
lungamente desiderato, sfregiata, beffeggiata e infine negata.
E i sardi che l'hanno voluta, hanno lottato decenni, presi
in giro.
Non si doveva realizzare l'antico sogno sardista, e al quale
nessuno rinuncia, di una zona franca fiscale e doganale definita dalle coste
dell'Isola e a disposizione di tutti, ma solamente una tappa intermedia
raggiunta con tanti sforzi con finalmente l'applicazione del decreto
legislativo 75/98 che ha istituito le zone franche a Cagliari, Portovesme,
Oristano, Porto Torres, Olbia e Arbatax.
Con Cagliari già definita anche se parzialmente da un
successivo decreto del 2001, si dovevano perimetrare le altre e dare contenuti
indispensabili, inviando al Governo le decisioni per i successivi decreti
attuativi.
Si è invece deciso di non perimetrare, di non ritagliare, di
non definire le aree come prescrive il Codice doganale Europeo, cioè delle VERE
zone franche doganali.
Si è scelto di deliberare delle cosiddette "zone
franche non intercluse", cioè un insieme di depositi doganali, come ad
esempio a Taranto, che così si sono dovuti ingegnare non avendo la Puglia come
noi, la previsione dei punti franchi nel loro Statuto regionale.
Si è dato un calcio allo Statuto sardo e alle potenzialità
solo nostre per allinearsi ad un disegno romano che questa scelta ha fatto per
tutti, anche per noi sardi come se fossimo in una regione a Statuto ordinario e
non un isola, con ben altre ragioni e diritti.
Non hanno delimitato nulla, come era loro preciso dovere,ma
si sono inventati una "delimitazione virtuale" a strisce colorate
dipinte per terra.
Non avendo delimitato nulla, nulla dovrebbero inviare al
Governo, che questo aveva chiesto col Decreto 75/89.
Infatti il Governo a nulla serve a realizzare delle zone
franche non intercluse, perché non deve attuare nessun Statuto ma non serve
neppure la Regione, dato che per questa soluzione basta interessare l'Agenzia
delle dogane, che come a Taranto è bastata con proprie decisioni per farla
partire.
Per attuare il nostro Statuto e quindi per far emanare i
successivi singoli decreti previsti per le 5 zone franche sarde rimanenti ,
oltre alla cagliaritana già delimitata , dalla 75/98 , serve l'operatività
della Commissione paritetica per le norme d'attuazione dello Statuto speciale
per la Regione Sardegna, all'interno della quale e con successivi passaggi si
arriva a concordare i testi che saranno emanati dal Governo.
Questo percorso sembra stato saltato dalla Giunta ed il
motivo è semplice, il contenuto deliberato non riguarda delle vere zone franche
bensì dei depositi franchi che sono un'altra cosa rispetto alle Zone Franche Doganali.
C'è anche da osservare che le zone franche non intercluse,
dal 1 giugno 2016 non saranno più permesse perché scade la proroga prevista
dall'ultimo Codice doganale comunitario e quindi non si rischia ma è certo che
le zone franche non intercluse sarde non inizieranno neppure a vagire.
Certo tutto è possibile, anche che il codice venga cambiato
ma è molto difficile che accada.
Accadrà nella migliore delle ipotesi che il passaggio
successivo da molti auspicato da zona franca doganale a zona franca fiscale o
Free zone non potrà realizzarsi e quindi l'attirare capitali e conoscenze e
imprese dall'esterno, oltre che il protagonismo dell'imprenditoria locale non
avverrà.
Queste se ne andranno nelle vere zone franche intecluse che
circondano la Sardegna e spuntano in Europa come funghi, mentre noi rimarremo
impiccati all'assistenzialismo statalista, cioè all'inedia e alla
disoccupazione.
La scelta della Giunta si è concentrata su Olbia e
Portovesme-Sant'Antioco, dimenticando le altre.
In queste due zone sono previste zone franche non intercluse
e quindi parafrasando Lussu nel suo giudizio sull'Autonomia ottenuta e diversa
da quella richiesta, ci si aspettava dalla Giunta non il leone della zona
franca integrale, ma almeno il gatto della zona franca doganale interclusa,
abbiamo avuto in regalo invece il topo della zona franca non interclusa e per
giunta condannato a morte. La sentenza sarà eseguita dal 1 Giugno 2016.
Bisogna rimboccarsi le maniche e continuare nella lotta per
la zona franca sarda sino a quando non si otterrà nella sua interezza, per
questo serve unità d'intenti e non mollare mai».
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