lunedì 25 aprile 2016

“Sa Die de Sa Sardigna”, dedicata all'ipocrisia



La Regione sarda, quest’anno, dedicherà “Sa Die de Sa Sardigna” ai migranti. L’ennesima scelta ideologica e disarmante dell’Assessore alla cultura (Sel).

«Sa Die de Sa Sardigna è la festa del popolo sardo che ricorda l'insurrezione popolare del 28 aprile 1794 in seguito al rifiuto del governo sabaudo di soddisfare le richieste dell'Isola (Regno di Sardegna).
I Sardi chiedevano che venisse loro riservata una parte degli impieghi civili e militari e una maggiore autonomia rispetto alle decisioni della classe dirigente locale. Il governo piemontese rifiutò di accogliere qualsiasi richiesta, perciò la borghesia cittadina, con l'aiuto del resto della popolazione, scatenò il moto insurrezionale che si concluse con l’allontanamento da Cagliari del viceré Balbiano e dei suoi dirigenti. Incoraggiati dalle vicende cagliaritane, gli abitanti di Alghero e Sassari fecero altrettanto».

Una storia di atti eroici, ma anche di immani tragedie. Fatti che raccontano una Sardegna ancora da studiare e, talvolta, ancora da scrivere. Aspetti che nulla hanno a che vedere con i migranti e con qualsiasi fenomeno che si allontani dal tema. Aspetto evidentemente non percepito dalla Regione sarda ed in particolare dal suo assessore.

Nessuno aveva mai pensato di usare una ricorrenza storica e culturale così specifica ed importante per affermare l’apoteosi dell’ipocrisia e del qualunquismo. Per radicalizzare la propria ideologia, già sconfitta dalla storia e dalla cronaca.
  
Compito della classe dirigente è quello di contribuire a dare senso alla storia, restituendo ai fatti il giusto peso. “Sa Die de Sa Sardigna” non è una festa di partito e nemmeno una sagra di quartiere. Non è la festa di un centro sociale. Non è nemmeno l’occasione per dimenticare. È una celebrazione del popolo sardo, voluta per ricordare, approfondire, riflettere ed agire.

Il dramma dei migranti è cosa altrettanto seria, affligge i cuori e merita azioni responsabili e rispettose della dignità umana. Ma altri devono essere i momenti di analisi, confronto e soprattutto di azione. Anche perché parlare di chi arriva stremato non basta: bisogna parlare anche di quanti sono partiti e continuano a partire come effetto di una classe politica ampiamente sconclusionata ed incapace di creare opportunità. La stessa che, piuttosto che valorizzare le risorse della Sardegna per trasformarle in vantaggi economici diffusi, continua a fare uso distorto della propria funzione per nascondere i propri insuccessi e per negare il diritto dei sardi a sentirsi nazione.

Si continua ad imporre una ideologia caotica, malsana ed improduttiva: quella, per la cui essenza, sardi e non continuano a scappare alla ricerca di fortuna e libertà. La stessa che si limita a “sconfiggere” la povertà semplicemente dichiarandola illegale, ma scordandosi di agire concretamente per produrre benessere.

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