La Regione sarda, quest’anno, dedicherà “Sa Die de
Sa Sardigna” ai migranti. L’ennesima scelta ideologica e disarmante dell’Assessore
alla cultura (Sel).
«Sa Die de Sa Sardigna è la festa del popolo
sardo che ricorda l'insurrezione popolare del 28 aprile 1794 in seguito al
rifiuto del governo sabaudo di soddisfare le richieste dell'Isola (Regno di
Sardegna).
I Sardi chiedevano che
venisse loro riservata una parte degli impieghi civili e militari e una
maggiore autonomia rispetto alle decisioni della classe dirigente locale. Il
governo piemontese rifiutò di accogliere qualsiasi richiesta, perciò la
borghesia cittadina, con l'aiuto del resto della popolazione, scatenò il moto
insurrezionale che si concluse con l’allontanamento da Cagliari del viceré
Balbiano e dei suoi dirigenti. Incoraggiati dalle vicende cagliaritane, gli
abitanti di Alghero e Sassari fecero altrettanto».
Una storia di atti eroici, ma anche di immani tragedie.
Fatti che raccontano una Sardegna ancora da studiare e, talvolta, ancora da
scrivere. Aspetti che nulla hanno a che vedere con i migranti e con qualsiasi
fenomeno che si allontani dal tema. Aspetto evidentemente non percepito dalla
Regione sarda ed in particolare dal suo assessore.
Nessuno aveva mai pensato di usare una ricorrenza
storica e culturale così specifica ed importante per affermare l’apoteosi dell’ipocrisia e
del qualunquismo. Per radicalizzare la propria ideologia, già sconfitta dalla storia
e dalla cronaca.
Compito della classe dirigente è quello di contribuire
a dare senso alla storia, restituendo ai fatti il giusto peso. “Sa Die de Sa
Sardigna” non è una festa di partito e nemmeno una sagra di quartiere. Non è la
festa di un centro sociale. Non è nemmeno l’occasione per dimenticare. È una celebrazione
del popolo sardo, voluta per ricordare, approfondire, riflettere ed agire.
Il dramma dei migranti è cosa altrettanto seria, affligge
i cuori e merita azioni responsabili e rispettose della dignità umana. Ma altri
devono essere i momenti di analisi, confronto e soprattutto di azione. Anche perché
parlare di chi arriva stremato non basta: bisogna parlare anche di quanti sono
partiti e continuano a partire come effetto di una classe politica ampiamente sconclusionata
ed incapace di creare opportunità. La stessa che, piuttosto che valorizzare le
risorse della Sardegna per trasformarle in vantaggi economici diffusi, continua
a fare uso distorto della propria funzione per nascondere i propri insuccessi e
per negare il diritto dei sardi a sentirsi nazione.
Si continua ad imporre una ideologia caotica, malsana
ed improduttiva: quella, per la cui essenza, sardi e non continuano a scappare
alla ricerca di fortuna e libertà. La stessa che si limita a “sconfiggere” la
povertà semplicemente dichiarandola illegale, ma scordandosi di agire concretamente
per produrre benessere.
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