martedì 2 maggio 2017

Destra, sinistra, Movimento 5 stelle. Mah!



Destra, sinistra e Movimento 5 stelle rappresentano i tre pilastri attorno a cui ruota il consenso elettorale. Come sostiene Alfonso Berardinelli, critico letterario e saggista, sono complementari: “l’una nasce dall’altro; l’una si alimenta e cresce sugli errori dell’altro”.

“Dialettica” era un principio filosofico che trova origine in Grecia e si è evoluta fino a stimolare Hegel e Marx. Secondo “dialettica”, “da ogni cosa o qualità nasce il suo opposto” e, talvolta dopo tesi e antitesi nasce una “sintesi superiore” che conserverebbe secondo Marx il meglio dell’una e dell’altra. “Dall’individualismo borghese che paralizza a scopi di profitto privato lo sviluppo delle forze economiche e produttive, sarebbe nata l’antitesi rivoluzionaria e infine, trionfalmente, la società comunista come sintesi superiore, per cui l’individuo è finalmente libero perché la proprietà privata è abolita e tutti i beni sono in comune”. Un dramma, una malattia.
Naturalmente, non è da escludere una “dialettica” senza sintesi: “il sì e il no si aboliscono reciprocamente nel corso di una lotta che permette un solo vincitore e superstite”. Insomma, una presunta maggiore libertà, più uguaglianza, ma senza progresso. Senza ipotizzare sintesi più equilibrate, né la voglia di arricchirsi, né quella di rischiare per scopi personali, né competere per avere il meglio.

Un dato è chiaro: gli opposti sono solo le due facce della stessa medaglia, o la medesima cosa vista da sinistra o da destra. Del resto, secondo la cultura cinese: “non c’è luce senza buio, né caldo senza freddo, né yin senza yang.

Attualmente, la destra vuole essere più a sinistra della sinistra e la sinistra vuole includere la destra. Da un lato, una destra “populista” come conseguenza di una sinistra che trascura o ignora gli umori del popolo. Dall’altro, una sinistra elitaria, dato che “la gente è volgare e la folla è pericolosa”. Del resto “fu la folla a scegliere Barabba contro Gesù; a processare Socrate perché con le sue eterne e provocatorie domande era diventato insopportabile”; a cambiare “registro” contemporaneamente all’incoronazione del nuovo potente.

Il Movimento 5 stelle è un’entità che non vuole essere né destra né sinistra, cioè tutte e due le cose insieme. Infatti, non è più un movimento senza essere neppure un partito. Un fatto politico che dimostra come la dicotomia “destra”/”sinistra” non sia più capace di soddisfare le aspettative. Certo, ci vorrebbe un progetto, una strategia politica e programmatica, una classe dirigente all’altezza delle sfide. Ma anche un modello da perseguire, chiaro, possibile e ispirato alla crescita.

Sono diversi i leader “populisti” che hanno vinto le elezioni contro una sinistra “diventata antipatica sia agli operai che ai disoccupati, e in genere a tutti coloro che vivendo in società in grave crisi di socialità, non vogliono più saperne di accogliere altri stranieri”.

È questa la prova che una cosa nasce dai difetti della cosa opposta. “Se la sinistra ignora che gli appartenenti a una società instabile temono di accogliere nuovi fattori di instabilità, come le masse di migranti e rifugiati, ecco che la destra usa questa cecità dell’avversario per esibire il proprio realismo nel constatare l’esistenza del problema”. Magari in modo barbaro, corresponsabile e senza alcuna soluzione possibile.

Come accade in economia, le paure, sono fatti più che percezioni. Le ideologie non sono più capaci di rappresentare, di esprimere soluzioni ai problemi e creare opportunità. Mentre, i “si dice” e le fake news muovono il mondo.

La destra, dopo la crisi economica di dieci anni fa, non riesce ad imboccare la strada dell’economia sociale di mercato; non riesce a spingere nella valorizzazione delle potenzialità dell’individuo. La sinistra, coglie la palla al balzo e continua a farci credere che lo Stato possa proteggerci e garantirci, senza incoraggiare le imprese a dare lavoro, ma concedendo il diritto a un “reddito di cittadinanza”, aumentando le tasse e tagliando i servizi.

Invece di adoperarsi per avviare le riforme strutturali e attuare politiche economiche, si imitano a vicenda urlando contro l’avversario elettorale e spingendosi fino a suggerire cosa dovrebbe dire l’altro per rappresentare il proprio elettorato disarmato. Quando questo non basta, attaccano l’Europa per il fatto di essere “rigida” rispetto agli accordi che essi stessi hanno sottoscritto. Elaborano “finanziarie” a debito, ma chiedono flessibilità contro una presunta austerità europea. Discutono tra loro “avendo già preso posizione e non per capire o far capire quale sia la linea più ragionevole da prendere”.


Intanto, i problemi aumentano e si aggravano. Entrambi sostengono che “vanno risolti alla radice”. Radice che nessuno vede o fa finta di non vedere. Migrazioni, bassa produttività, tasse troppo alte, degrado ambientale e urbano, socialità in declino, scuola e università allo sbando, omologazione, rimangono problemi affrontati con misure “tampone” ininfluenti. Però, è bene riflettere su un fatto: “chi ha voluto sradicare la radice ha spesso prodotto società agghiaccianti, appunto senza radici”.

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