Destra, sinistra e Movimento 5 stelle rappresentano i tre
pilastri attorno a cui ruota il consenso elettorale. Come sostiene Alfonso
Berardinelli, critico letterario e saggista, sono complementari: “l’una nasce
dall’altro; l’una si alimenta e cresce sugli errori dell’altro”.
“Dialettica” era un principio filosofico che trova origine
in Grecia e si è evoluta fino a stimolare Hegel e Marx. Secondo “dialettica”, “da
ogni cosa o qualità nasce il suo opposto” e, talvolta dopo tesi e antitesi
nasce una “sintesi superiore” che conserverebbe secondo Marx il meglio dell’una
e dell’altra. “Dall’individualismo borghese che paralizza a scopi di profitto
privato lo sviluppo delle forze economiche e produttive, sarebbe nata
l’antitesi rivoluzionaria e infine, trionfalmente, la società comunista come
sintesi superiore, per cui l’individuo è finalmente libero perché la proprietà
privata è abolita e tutti i beni sono in comune”. Un dramma, una malattia.
Naturalmente, non è da escludere una “dialettica” senza
sintesi: “il sì e il no si aboliscono reciprocamente nel corso di una lotta che
permette un solo vincitore e superstite”. Insomma, una presunta maggiore libertà,
più uguaglianza, ma senza progresso. Senza ipotizzare sintesi più equilibrate,
né la voglia di arricchirsi, né quella di rischiare per scopi personali, né
competere per avere il meglio.
Un dato è chiaro: gli opposti sono solo le due facce della
stessa medaglia, o la medesima cosa vista da sinistra o da destra. Del resto,
secondo la cultura cinese: “non c’è luce senza buio, né caldo senza freddo, né
yin senza yang.
Attualmente, la destra vuole essere più a sinistra della
sinistra e la sinistra vuole includere la destra. Da un lato, una destra
“populista” come conseguenza di una sinistra che trascura o ignora gli umori
del popolo. Dall’altro, una sinistra elitaria, dato che “la gente è volgare e
la folla è pericolosa”. Del resto “fu la folla a scegliere Barabba contro Gesù;
a processare Socrate perché con le sue eterne e provocatorie domande era
diventato insopportabile”; a cambiare “registro” contemporaneamente all’incoronazione
del nuovo potente.
Il Movimento 5 stelle è un’entità che non vuole essere né
destra né sinistra, cioè tutte e due le cose insieme. Infatti, non è più un
movimento senza essere neppure un partito. Un fatto politico che dimostra come la
dicotomia “destra”/”sinistra” non sia più capace di soddisfare le aspettative. Certo,
ci vorrebbe un progetto, una strategia politica e programmatica, una classe
dirigente all’altezza delle sfide. Ma anche un modello da perseguire, chiaro, possibile e ispirato alla crescita.
Sono diversi i leader “populisti” che hanno vinto le
elezioni contro una sinistra “diventata antipatica sia agli operai che ai
disoccupati, e in genere a tutti coloro che vivendo in società in grave crisi
di socialità, non vogliono più saperne di accogliere altri stranieri”.
È questa la prova che una cosa nasce dai difetti della cosa
opposta. “Se la sinistra ignora che gli appartenenti a una società instabile
temono di accogliere nuovi fattori di instabilità, come le masse di migranti e
rifugiati, ecco che la destra usa questa cecità dell’avversario per esibire il
proprio realismo nel constatare l’esistenza del problema”. Magari in modo
barbaro, corresponsabile e senza alcuna soluzione possibile.
Come accade in economia, le paure, sono fatti più che
percezioni. Le ideologie non sono più capaci di rappresentare, di esprimere
soluzioni ai problemi e creare opportunità. Mentre, i “si dice” e le fake news muovono
il mondo.
La destra, dopo la crisi economica di dieci anni fa, non
riesce ad imboccare la strada dell’economia sociale di mercato; non riesce a
spingere nella valorizzazione delle potenzialità dell’individuo. La sinistra,
coglie la palla al balzo e continua a farci credere che lo Stato possa proteggerci
e garantirci, senza incoraggiare le imprese a dare lavoro, ma concedendo il
diritto a un “reddito di cittadinanza”, aumentando le tasse e tagliando i
servizi.
Invece di adoperarsi per avviare le riforme strutturali e
attuare politiche economiche, si imitano a vicenda urlando contro l’avversario
elettorale e spingendosi fino a suggerire cosa dovrebbe dire l’altro per
rappresentare il proprio elettorato disarmato. Quando questo non basta,
attaccano l’Europa per il fatto di essere “rigida” rispetto agli accordi che
essi stessi hanno sottoscritto. Elaborano “finanziarie” a debito, ma chiedono
flessibilità contro una presunta austerità europea. Discutono tra loro “avendo
già preso posizione e non per capire o far capire quale sia la linea più
ragionevole da prendere”.
Intanto, i problemi aumentano e si aggravano. Entrambi sostengono
che “vanno risolti alla radice”. Radice che nessuno vede o fa finta di non
vedere. Migrazioni, bassa produttività, tasse troppo alte, degrado ambientale e
urbano, socialità in declino, scuola e università allo sbando, omologazione,
rimangono problemi affrontati con misure “tampone” ininfluenti. Però, è bene
riflettere su un fatto: “chi ha voluto sradicare la radice ha spesso prodotto
società agghiaccianti, appunto senza radici”.
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