"Viviamo in una società ancora suddivisa in caste,
ognuna con proprie regole e con proprie valutazioni morali.
Una classe dominante e una classe dominata, conformista e
ampiamente disposta a difendere pubblicamente il proprio padrone, per poi
mostrarsi delusa nelle confessioni private. La classe dominata si rifiuta di
reagire alla classe dominante, anzi spesso la sostiene con istintive e
contagiose alleanze, invocando soluzioni drastiche nei confronti nel proprio
rinnovato nemico. La classe dominante è, per sua natura e per atteggiamenti,
infinitamente debitrice verso quella dominata. Invertendo l’ordine naturale
delle cose, il dominato pretende ed accetta con carattere disinvolto di essere
da questa persino punito, pensando che non riguarderà mai se stesso, ma gli
altri. Il debitore che punisce il creditore genera, tra l’altro, una sempre più
mediocre conflittualità umana che amplia la dimensione delle schiavitù vecchie
e nuove. Eppure, un’altra via è possibile e doverosa: essere più fecondi;
cercare più nobili ragioni che giustifichino la funzione dell’individuo e del
suo fondamentale ruolo nel processo di evoluzione attivo, razionale e istintivo.
Chi domina apprezza la vita e condiziona quella dei dominati
che, invece, tendono a disprezzarla. Chi domina impone la propria discutibile
morale, trovando sempre nuove servili convergenze tra coloro che vivono
culturalmente la complessità della ribellione democratica e cognitiva. Questo
anche in virtù del fatto che i rappresentati (o chi aspira a diventarlo) della
classe dominata non sono credibili. Anzi sono spesso un evidente maggior danno.
Ampiamente e comunque schiavi di qualcuno o di qualcosa.
Però, è quando tutto sembra perduto che occorre trovare la
serenità di riaprire il gioco, altrimenti destinato ad alimentare il male
assoluto della confusione e del qualunquismo.
Alla tendenza dispotica di affermare in maniera sempre
più esplicita l’interesse puramente elettorale e di potere della classe
dominante e dei rappresentanti (o aspiranti tali) della classe dominata, bisogna
contrapporre una forza propulsiva che riporti la libertà nella comunità
considerata".