mercoledì 2 luglio 2014

Assemini deve diventare una moderna città europea


L’Unione europea costituisce, finora, l’unico esempio di creazione di un contesto politico-istituzionale soprastatuale con il dialogo e la cooperazione fra stati, senza cioè annessioni violente. Questo nonostante la presenza di difetti e talvolta di contrapposizioni anche forti tra i rappresentanti dei diversi stati. Il processo di integrazione europea rappresenta l’evento storico più rilevante che questa nostra parte dell’umanità ha conosciuto fino ad oggi.
La pace tra gli stati dell’Unione è il primo fondamentale beneficio. E’ oggettivo anche il miglioramento generalizzato delle condizioni di vita e di esistenza dei cittadini dell’Unione. L’attuale crisi non deve indurre a rinunciare all’europeismo, ma a risolverne i problemi, rendendo migliore ed uniforme il processo di crescita e sviluppo.
Il processo di integrazione europea, è ben lontano dall’essere concluso e non è certo immune da pecche di varia natura. Ma l’esistenza di queste ultime non può considerarsi motivo sufficiente per rifiutarne il processo e quanto di buono ha finora prodotto, anche per le realtà più marginali quali possono essere le aree deboli e quelle che esprimono le nazionalità senza stato.
Anche se si limitasse l’analisi ai soli problemi di natura socio economica, è appena il caso di notare come negli ultimi anni la maggior parte delle risorse messe a disposizione delle aree deboli dell’Europa (e la Sardegna, con i suoi comuni, è tra queste), provengono proprio dalla politica di coesione socio economica dell’Unione europea. La partecipazione della Sardegna e delle sue realtà territoriali al processo di unificazione dell’Europa è, in sostanza, il tema di maggiore importanza per la politica sarda nel futuro a noi più vicino. Fino ad ora, c’è stata una grave mancanza di interesse nei confronti di quanto a Bruxelles e nelle città sedi di trattati si decideva, spesso interferendo anche in materie per le quali la Sardegna ha potestà legislativa primaria. Una potestà, va detto, di cui i governi centrali non hanno tenuto conto, assumendo che la titolarità della politica estera è costituzionalmente in capo all’amministrazione centrale dello Stato, ma contravvenendo alla norma contenuta nello Statuto speciale che riconosce al Presidente della regione di interviene alle sedute del Consiglio dei ministri, quando si trattano questioni che riguardano particolarmente la regione.
In tutta l’Europa è in atto un movimento di regioni, nazionalità e stati federali che tende a far riconoscere loro un ruolo autonomo nella formazione delle decisioni europee. I governi degli stati nazione, con gradi diversi di fermezza, per lo più si oppongono alla soggettività internazionale non solo delle regioni “ordinarie”, ma anche di quelle legislative e delle nazioni senza stato, temendo, a ragione dal loro punto di vista, che ciò acceleri la definitiva crisi della loro stessa funzione. Se alla moneta unica, seguiranno una politica estera unica, un’unica giustizia ed un esercito europeo, niente resterà che non possa essere governato, con competenze più o meno piene a seconda delle specialità e identità, dalle regioni che, in un’ideale Europa dei popoli, dovranno essere referenti indirette nella formazione delle decisioni europee.
Del resto, lo stato nazione non è più in grado di far fronte a certe sfide globali, come: immigrazione clandestina, criminalità, disoccupazione, esclusione sociale, iniqua redistribuzione dei redditi. A nessuno di questi fenomeni un Paese può dare risposte isolatamente, come riconosciuto dalla Commissione europea. Ed è superfluo, lo stato come lo conosciamo, nella gestione del locale che c’è la tentazione di accampare o con la espropriazione di competenze o con la negazione dell’esistenza stessa di competenze legislative regionali.
La macchina autoreferenziale dello Stato, soprattutto oggi che l’Unione europea è in grado di assicurare standard più alti di quelli offerti dalle sue singole componenti, assorbe una enorme quantità di denaro per la sua auto conservazione, sottraendolo a investimenti che potrebbero agevolmente fare le regioni europee, tenute al rispetto delle stesse norme alle quali sono soggette gli stati. La stessa Regione sarda appare centralista rispetto al bisogno di trasferimento di nuove competenze ai Comuni. La partita si giocherà tutta all’atto della abolizione funzionale delle provincie. Un Comune forte, unito a comuni altrettanto forti potrà incidere nella scelta finale.
Di qui la necessità, sempre più avvertita, del cosiddetto “Stato leggero” che coordini entità fra loro federate, che smetta la finzione ottocentesca della coincidenza fra stato e nazione, che riconosca la sua natura plurinazionale (e oggi anche multietnica) e, infine, che difenda sì l’identità nazionale maggioritaria, ma senza per questo negare o peggio contenere le altre identità nazionali conviventi nel suo territorio.
È all’attenzione di tutti lo scarto di democrazia esistente attualmente in Europa fra la tendenza positiva dell’Unione europea a disegnare un quadro democratico di diritti di cittadinanza e la sua costruzione autoritaria, per lo più fatta al di fuori del coinvolgimento di coloro che sono stati nominati d’autorità cittadini europei. Anche l’allargamento dell’Unione a ben vedere segue questo processo assolutistico.

La strada da percorrere è questa, tracciata dal progetto nazionalitario.

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