giovedì 3 luglio 2014

L’identità è l’arma moderna contro la crisi.


Il futuro della nostra città è fondamentalmente legato dalla nostra capacità di dare ad essa un’anima. Bisogna riscoprire e valorizzare l’identità come fattore della produzione, per la crescita e lo sviluppo, per sfuggire dai pericoli della globalizzazione standardizzante. Non basta sentirsi sardi, ma bisogna trasformare la sardità in un maturo stile di vita. Bisogna passare dal sentimento alla coscienza.
Il passaggio dal sentimento alla coscienza e quindi alla volontà di essere è compito anche della politica (intesa come impegno civico) e del radicarsi di una classe dirigente matura e responsabilmente ambiziosa, indipendente e per ciò stesso autonoma nel progetto, nelle scelte, nel governo (a tutti i livelli). Oggi sia la classe dirigente, sia la cultura politica mostrano troppo spesso la propria inadeguatezza davanti alle sfide che i processi storici pongono sia ai grandi stati, sia alle piccole nazioni come la nostra. Le città devono assumere un ruolo propulsivo e di congiunzione, ma anche di attuazione armonica e cosciente delle promesse progettuali e programmatiche. Devono amministrare secondo obiettivi di sistema territoriale.
Parole come autonomia, autodeterminazione, sovranità territoriale, dense di importanti significati rischiano di trasformarsi in vuoti luoghi comuni, incapaci di mobilitare ed aggregare le coscienze, se intorno a questi valori fondamentali non si instaura un circolo virtuoso di progettualità, coerenza, partecipazione, unità di popolo e sua rappresentanza, rispetto dei diritti di cittadinanza e stima della nazione sarda, per restituire nobiltà alla politica e per contribuire a risolvere la sua crisi. Non si può stimare la Sardegna ed al contempo infischiarsi della propria città. Non si può sperare che le scelte verticistiche producano gli stessi effetti in qualunque parte dell’Italia. Le differenze sono spesso abissali, per problematiche, opportunità e per risorse. Così come non si deve aspettare che la Regione sarda gestisca direttamente problematiche di pertinenza prettamente territoriale. Il rischio, sarebbe, quello di affievolire la specificità locale e le sue risorse più intime, affermando nuove forme di centralismo.
L’Unione europea; il suo allargamento; le importanti opportunità di convivenza e di collaborazione fra popoli, nazioni e stati; una unificazione europea con forti aspetti non democratici; la permanenza di non risolte questioni nazionali e regionali e altri fenomeni complessi di questa natura, hanno reso obsoleti i modi tradizionali di pensare la politica e di farla; tutto questo mette in crisi grandi e fondate ideologie politiche che nel loro marasma aprono vere e proprie emergenze nelle democrazie europee e fanno fare grandi passi indietro al concetto della diversità come valore fondante della nuova Europa.
I problemi posti da questi scenari europei non possono essere affrontati, soprattutto in un società fortemente dipendente come la nostra, dalla politica dei tancati e da una eclissi della progettualità che è spesso surrogata dalla violenza verbale e dalla aggressività, solo apparentemente motivata da opposte appartenenze ideali e politiche. Questa divisione, che ha profonde ripercussioni perfino sullo stato di convivenza nelle piccole e grandi comunità sarde, proprio perché ingiustificata ed irrazionale, comporta nel mondo della politica un abbassamento di tensione autonomista proprio nel momento in cui nella società si manifesta, invece, un grande desiderio di identità e di sovranità. Le nostre città, per crescere, non hanno bisogno di urlatori e di rivoluzionari “del fine settimana”, ma di donne ed uomini che diventino cittadini attivi e cognitivi. Che puntino all’innovazione ed al rinnovamento, attuandolo secondo una logica nazionalitaria.

Come rispondere a questo desiderio? Innanzi tutto è necessario che le forze alternative allo statalismo individuino nei principi dell’autogoverno il valore principale della loro alleanza sostanziale. Lo schierarsi secondo la obsoleta geografia parlamentare è assolutamente insufficiente a determinare le singole identità. Prima viene la volontà di affermare un progressivo autogoverno e solo dopo si stabilisca la convivenza delle diverse sensibilità. È illusorio qualsiasi obiettivo di prosperità al di fuori dell’autogoverno della Sardegna nei campi della cultura, della finanza, dell’economia e dell’ambiente. È altrettanto necessario che questa coscienza parta dai comuni e che tra di essi si inizi un dialogo che consenta di lavorare insieme per creare nuove opportunità, per migliorare i servizi, renderli meno costosi e per innovare.  

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