Il futuro della nostra città è fondamentalmente legato dalla
nostra capacità di dare ad essa un’anima. Bisogna riscoprire e valorizzare l’identità
come fattore della produzione, per la crescita e lo sviluppo, per sfuggire dai pericoli della
globalizzazione standardizzante. Non basta sentirsi sardi, ma bisogna trasformare
la sardità in un maturo stile di vita. Bisogna passare dal sentimento alla
coscienza.
Il passaggio dal sentimento alla coscienza e quindi alla
volontà di essere è compito anche della politica (intesa come impegno civico) e del
radicarsi di una classe dirigente matura e responsabilmente ambiziosa, indipendente
e per ciò stesso autonoma nel progetto, nelle scelte, nel governo (a tutti i
livelli). Oggi sia la classe dirigente, sia la cultura politica mostrano troppo
spesso la propria inadeguatezza davanti alle sfide che i processi storici
pongono sia ai grandi stati, sia alle piccole nazioni come la nostra. Le città
devono assumere un ruolo propulsivo e di congiunzione, ma anche di attuazione
armonica e cosciente delle promesse progettuali e programmatiche. Devono
amministrare secondo obiettivi di sistema territoriale.
Parole come autonomia, autodeterminazione, sovranità
territoriale, dense di importanti significati rischiano di trasformarsi in
vuoti luoghi comuni, incapaci di mobilitare ed aggregare le coscienze, se
intorno a questi valori fondamentali non si instaura un circolo virtuoso di
progettualità, coerenza, partecipazione, unità di popolo e sua rappresentanza,
rispetto dei diritti di cittadinanza e stima della nazione sarda, per
restituire nobiltà alla politica e per contribuire a risolvere la sua crisi.
Non si può stimare la Sardegna ed al contempo infischiarsi della propria città.
Non si può sperare che le scelte verticistiche producano gli stessi effetti in
qualunque parte dell’Italia. Le differenze sono spesso abissali, per
problematiche, opportunità e per risorse. Così come non si deve aspettare che
la Regione sarda gestisca direttamente problematiche di pertinenza prettamente
territoriale. Il rischio, sarebbe, quello di affievolire la specificità locale
e le sue risorse più intime, affermando nuove forme di centralismo.
L’Unione europea; il suo allargamento; le importanti
opportunità di convivenza e di collaborazione fra popoli, nazioni e stati; una
unificazione europea con forti aspetti non democratici; la permanenza di non
risolte questioni nazionali e regionali e altri fenomeni complessi di questa
natura, hanno reso obsoleti i modi tradizionali di pensare la politica e di
farla; tutto questo mette in crisi grandi e fondate ideologie politiche che nel
loro marasma aprono vere e proprie emergenze nelle democrazie europee e fanno
fare grandi passi indietro al concetto della diversità come valore fondante
della nuova Europa.
I problemi posti da questi scenari europei non possono
essere affrontati, soprattutto in un società fortemente dipendente come la
nostra, dalla politica dei tancati e da una eclissi della progettualità che è
spesso surrogata dalla violenza verbale e dalla aggressività, solo
apparentemente motivata da opposte appartenenze ideali e politiche. Questa
divisione, che ha profonde ripercussioni perfino sullo stato di convivenza
nelle piccole e grandi comunità sarde, proprio perché ingiustificata ed
irrazionale, comporta nel mondo della politica un abbassamento di tensione
autonomista proprio nel momento in cui nella società si manifesta, invece, un
grande desiderio di identità e di sovranità. Le nostre città, per crescere, non
hanno bisogno di urlatori e di rivoluzionari “del fine settimana”, ma di donne
ed uomini che diventino cittadini attivi e cognitivi. Che puntino
all’innovazione ed al rinnovamento, attuandolo secondo una logica
nazionalitaria.
Come rispondere a questo desiderio? Innanzi tutto è
necessario che le forze alternative allo statalismo individuino nei principi
dell’autogoverno il valore principale della loro alleanza sostanziale. Lo
schierarsi secondo la obsoleta geografia parlamentare è assolutamente
insufficiente a determinare le singole identità. Prima viene la volontà di
affermare un progressivo autogoverno e solo dopo si stabilisca la convivenza
delle diverse sensibilità. È illusorio qualsiasi obiettivo di prosperità al di
fuori dell’autogoverno della Sardegna nei campi della cultura, della finanza,
dell’economia e dell’ambiente. È altrettanto necessario che questa coscienza
parta dai comuni e che tra di essi si inizi un dialogo che consenta di lavorare
insieme per creare nuove opportunità, per migliorare i servizi, renderli meno
costosi e per innovare.
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